R.I.P. (Recenserie In Peace) – Desperate HousewivesTEMPO DI LETTURA 6 min

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Un giovedì mattina Mary Alice Young dopo aver preparato la colazione per la sua famiglia, sbrigato le faccende di casa e fatto le sue commissioni, prende un revolver dall’armadio e si suicida. Ben presto le sue vicine di casa, nonchè sue care amiche, scopriranno che la vita di Mary Alice era tutt’altro che perfetta come appariva…

È questo l’incipit del bellissimo pilot di una serie che ha fatto storia entrando nell’immaginario collettivo e facendo dell’espressione “Desperate Housewives” una delle più usate e conosciute del globo, che si abbia visto la serie o meno.

Quanto conosciamo i nostri vicini?
Siamo nel prolifico e lontano 2004, la migliore annata telefilmica che si possa ricordare visto i vari Lost e House, Marc Cherry portava nel lontano 2004 sugli schermi ABC un’idea semplice ma geniale. Già diverse serie avevano raccontato con enorme successo l’universo in rosa, come Sex and The City, ma ora per la prima volta le donne sono mogli, madri e casalinghe, disperate appunto; la città si trasforma in un sobborgo residenziale con i prati curati, con il giornale sulla porta ogni mattina e la staccionata bianca: ed ecco Wisteria Lane, un agglomerato di deliziose villette situate in una fetta di paradiso dove regnano le regole di buon vicinato come prestare lo zucchero e portare muffin appena sfornati. Ma quanto conosciamo in realtà le persone che ci abitano accanto? È questa la domanda su cui parte e si basa Desperate Housewives, che non è un crime, non è un mistery, non ha nulla del drama e non è del tutto comedy. È un misto di generi argutamente mischiati e speziati da tanta ironia e da una buona dose di sano cinismo per cui anche quando i toni si fanno più seri, mai si sfocia in tragedia, passando da scene più serie a pura commedia in due secondi netti.

Le donne di Cherry
Arrivato sugli schermi nel 2004 e proseguito per otto stagioni, Desperate Housewives si compone di un cast corale che vede in prima linea le quattro amiche di Mary Alice, motore propulsore e voce narrante della serie che apre e chiude ogni episodio.
Ciascuna casalinga è modellata su un prototipo ed è così ben scritta che ogni vicenda, che varia da personaggio a personaggio, permette di aggiungere un tassello a personalità già ben stratificate. Marc Cherry è stato ispirato dalla madre per la sceneggiatura di base ed in particolare per i personaggi di Bree e di Lynette (guarda caso i migliori della serie), dove Mrs. Van De Kamp rappresenterebbe la madre di Cherry quando quest’ultimo era nella fase adolescenziale (e forse Andrew proprio Cherry stesso?) con tutte le strette convenzioni dell’alta borghesia.
Lynette, invece, sarebbe il ritratto della signora Cherry quando il giovane Marc era ancora un bambino pestifero come i gemelli Scavo (la scena in cui Lynette abbandona per pochi minuti i figli per strada perchè non sanno comportarsi in auto è un episodio realmente accaduto, frutto della ferrea educazione della signora Cherry).
Nulla togliere a Gabrielle, con la quale Eva Longoria ha sfoggiato una comicità sfavillante e Susan, prototipo della madre single, svampita e pasticciona, ma, pur riconoscendo le doti comiche della Hatcher, purtroppo Susan finisce dopo un pò con il diventare fastidiosa e insopportabile, avendo il grosso difetto di essere l’unico personaggio a non svilupparsi nel corso delle stagioni, la sua storyline girerà sempre, fin dal pilot, intorno a Mike, l’affascinante idraulico la cui unica colpa è quella di essersi trasferito a Wisteria Lane.

Otto stagioni sono tante…
Le prime quattro stagioni sono ottime, pur con qualche carenza di trama nella terza che vede in gran parte l’assenza, dovuta alla maternità, di Marcia Cross la quale nelle sue scene veniva sempre ripresa a mezzobusto o nascosta da casette di zenzero o da altri attori.
Dalla quinta stagione in poi purtroppo le cose cambiano e l’alto livello a cui ci aveva abituato la serie non riesce ad essere mantenuto, il calo (che si fa sentire anche negli ascolti) nulla ha a che vedere con il salto temporale che, seguendo le parole di Cherry, aveva la funzione di distaccarsi dalle vecchie situazioni e di crearne di nuove per assicurare una certa fluidità alla serie evitando la cristallizzazione di personaggi e storyline; l’errore invece, se di errore si vuol parlare, va ravvisato nella trama orizzontale scontata e prevedibile già dal primo episodio.
Le cose migliorano nella sesta e settima stagione, ma non si raggiungeranno più i livelli degli anni passati. Invero l’ottava e ultima stagione aveva un’ottima idea di base che chiudeva perfettamente il ciclo, ritornando alle origini e concludendo in perfetto stile Desperate Housewives: le cose però non sono andate così, lo sviluppo è stato semplicistico, quasi banale e l’ultimo episodio non ha reso giustizia alla serie, risultando frettoloso e lascivo.
Solo un problema di sceneggiatura? Probabilmente si, non è sicuramente la sede per dibatterne, certo è che la stanchezza di anni di lavoro e della pressione proveniente da un cast di primedonne si fa sentire, cosicché un clima non troppo amichevole non giova certo al lavoro da svolgere e non è facile conciliare e accontentare tutte le attrici, specie le più capricciose, rischiando anche di arrivare in un’aula di Tribunale come è accaduto con Nicollette Sheridan.

…Forse troppe
La concretezza dei fatti è che Desperate Housewives ha parecchio deluso e ha perso pian piano lo smalto che la caratterizzava, anche se rimane pur sempre un prodotto godibile e non troppo impegnativo, da vedere per tutti gli appassionati di serie tv.
Per quanto riguarda gli attori, un cast principale ottimo e che si avvale di personaggi secondari altrettanto brillanti (Edie Britt, Rex Van De Kamp, Mrs McCluskey, Victor Lang, Renee Perry, Andrew Van De Kamp, Betty Applewhite e così via..), dove spiccano in particolare i mariti delle casalinghe che svolgono il loro ruolo di spalla in maniera magistrale, tant’è che innegabilmente spesso il telespettatore tende ad empatizzare più con loro che con le rispettive partners (chi in otto anni non si è preoccupato per quel povero Tom costretto a subire le manie di controllo e l’imponente e invasiva personalità della moglie?)
Infine non si può concludere senza menzionare la sigla composta da Danny Elfman, che sfortunatamente dalla quarta stagione in poi viene tagliata, e la superba colonna sonora di Steve Jablonsky e della sua orchestra composta da soli sette violini, elemento fondamentale di Desperate Housewives che quasi si può paragonare alle laugh track, suggella la battuta e chiude la scena, ma all’occorrenza conduce anche i momenti più seri accompagnando le parole di Mary Alice.

Non pretendiamo certo di aver esaustivamente commentato tutto il materiale a disposizione perchè sarebbe impossibile esaurirlo in un paio di pagine, confidiamo più nell’avervi indicato un prodotto di qualità, divertente che non si prende mai troppo sul serio ironizzando brillantemente e con raffinata intelligenza sulle più cupe delle situazioni. Marc Cherry ha portato qualcosa di nuovo, partendo da donne sedute ad un tavolo che parlano di adulterio ed andando ben oltre mostrando cosa ci possa realmente essere dietro un prato perfettamente curato, una staccionata bianca ed il sorriso smagliante del proprio vicino di casa.

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