Ed eccoci qua, dopo una prima stagione mozzafiato e ben oltre le aspettative, giunti inesorabilmente al season finale di The Fla… ah, no, avete ragione, scusate! Sì, giusto, siamo “solo” al quindicesimo episodio, eppure il nuovo spin-off della CW (che, settimana dopo settimana, sta quasi superando, almeno qualitativamente, la serie “madre”) sforna l’ennesimo episodio al cardiopalma, dai ritmi pazzeschi e frequenti colpi di scena. Svolte di trama che, come detto, qualsiasi altra serie di simile stampo avrebbe tenuto gelosamente in cantiere, da mettere in scena più verosimilmente verso maggio.
Invece no, The Flash, a poco più di metà della stagione, svela nella maniera più definitiva ed inequivocabile possibile, il proprio villain (e questo è solo l’evento più inequivocabile). Perché, per quanto l’identità del “Man In The Yellow Suit” ci era stata mostrata nel cliffhanger di “Fallout“, in più d’uno dubitava sulla reale malignità delle intenzioni del Dottor Wells: ci sarà sicuramente qualcosa dietro! Di Reverse-Flash ce ne sono due! Sono giusto un paio delle tante teorie sul mistero più intrigante della stagione, ora finalmente risolto: Harrison Wells è cattivo e basta, senza particolari attenuanti. Non pochi dettagli mancano ancora all’appello, certo (specialmente su come sia finito ad essere “fuori dal tempo”), ma la parte della questione più importante, ai fini dell’inquadramento del personaggio nelle dinamiche della trama generale, si può dire adesso archiviata. Anche se, ad essere onesti, più che la rivelazione in sé, a colpire fortemente sono i modi con la quale essa arriva.
Dopo ben tre settimane di pausa, dal ritorno dello show ci si aspettava una puntata piuttosto normale, come la prassi televisiva suggerisce. In seguito alla cruciale scoperta, da parte di Barry, riguardante l’omicidio di sua madre e del viaggio temporale che un giorno dovrà compiere per salvarla, di norma avremmo dovuto attendere qualche episodio di ordinaria amministrazione, prima di assistere ad un ritorno rilevante sull’argomento. Ed in fondo, è esattamente la strada che “Out Of Time” (a dispetto del suo titolo) sembra voler seguire fedelmente, per gran parte della sua durata.
L’episodio, infatti, parte nella maniera più classica e procedurale, tipico dell’inizio della serie stessa, con l’introduzione del meta-umano della settimana, collegato familiarmente a quello del “Pilot“, appunto, giunto a vendicare il fratello, ucciso dal Detective West nel medesimo episodio (un collegamento neanche troppo casuale, ma su questo torneremo più avanti). Ciò che ci preme di approfondire è come, da un preciso momento in avanti (ovvero, da quando Wells abbandona Caitlin al bar per catapultarsi agli Star Labs), la trama assuma, meravigliosamente, una piega del tutto imprevedibile. Poiché, prima dell’intenso quarto d’ora finale, i temi appaiono più o meno sempre gli stessi. Il triangolo (ora quadrato) Iris-Barry-Eddie, gelosie da tutte la parti in causa, i consigli di West al figlioccio (irresistibile il discorso su quanto sia assurda la situazione in “casa” da parte del Detective, nel dialogo in macchina); i dubbi su Wells, e le difficoltà ad affrontarli da parte di Cisco, il quale lo vede non solo come mentore, ma anche come figura paterna (curiosi gli accenni, stavolta, alla sua di situazione familiare); e, ovviamente, il caso del giorno, comunque interessante visti i risvolti personali che coinvolgono Joe e la morte dell’ex-partner. Niente di particolarmente nuovo, quindi, se non il progressivo ri-avvicinamento amoroso tra Barry e Iris, da parte di lei a questo giro.
Poi, però, arriva la scena probabilmente più emozionante e, allo stesso tempo, tragica che lo show abbia mai proposto fino ad adesso. L’intera scena è montata alla perfezione, dall’ingresso inquietante di Harrison nella stanza, anticipato dal tono lugubre del suo “i’m the reverse“; le lacrime della presa di coscienza di Cisco, che sembra subire fisicamente, parola dopo parola, l’auto-smascheramento da parte dell’uomo chiamato, a quanto pare, Eobard Thawne; lo “you’ve been died for centuries” e l’omicidio crudele e spietato del ragazzo. Aggiungendoci la convincente e toccante interpretazione da parte di entrambi gli attori Thomas Cavanagh e Carlos Valdes, si può indubbiamente affermare che, in futuro, sarà quantomeno difficile raggiungere un livello simile.
A rendere la puntata memorabile, infine, i due aspetti più riconoscibili e validi, quelli che stanno caratterizzando, positivamente, lo stile della serie: ovvero, il continuo “giocare”, da parte del team dei creatori Greg Berlanti/Marc Guggenheim/Andrew Keisberg, sui canoni del genere (sia quello fumettistico quanto quello della tv seriale), e la loro stretta relazione con le aspettative del pubblico. Un’ottica, quindi, in primis metafilmica/metanarattiva. Gli autori dimostrano di conoscere a menadito i punti di partenza di ogni buona storia di supereroi, e dei vari modi di poterla rendere in live-action. Non hanno scelto, però, la strada della “frantumazione” di tali canoni (come loro stessi hanno cercato di fare, tra l’altro, nelle prime due stagioni di Arrow), quanto, piuttosto, quella di abbracciarli pienamente, per poter successivamente applicare piccole ma significative variazioni (come fanno spesso Nolan & co. in Person of Interest). Per intenderci, se da una parte abbiamo il cliché trito e ritrito dell’amore segreto del protagonista verso la propria migliore amica, dall’altra vediamo il soggetto di tale amore a prendere l’iniziativa questa volta, proprio nel momento in cui l’attenzione di chi guarda è spostato su tutt’altre vicende, e così via.
E i fan, i nerd, i follower, o come altro vogliamo denominare il popolo dei “drogati” di fumetti e serie tv (ma non solo) che commentano, quasi in diretta, su forum e social network, occupano in questa dinamica un ruolo sicuramente fondamentale. Nel 2015, infatti, la fruizione “spettatoriale” media si è evoluta enormemente. Sono passati più di dieci anni da quando Lost sconvolgeva il panorama televisivo, o almeno quello più esclusivamente d’intrattenimento (in soldoni, dei canali generalisti, visto che The Wire e Six Feet Under, per esempio, erano già in onda da un po’). Da quei pochi fruitori che si scatenavano sul web a condividere teorie ed argomentazioni, immediatamente dopo la messa in onda dell’ultimo episodio, quindi, si è passati ad una community sempre più vasta, fino ad oggi, dove perfino prodotti di nicchia come Breaking Bad possono contare su un pubblico altamente eterogeneo: tutto questo, per dire quanto sia difficile per degli autori, oramai, sorprenderci. Lo spettatore conosce benissimo gli stilemi degli show, riuscendo ad intuire preventivamente plot twist delle storie e background dei personaggi, pretendendo precise direttive, e allo stesso tempo, infondendo pesanti aspettative.
C’è chi ne è succube, spesso negativamente (Glee, The Walking Dead, tra i tanti), e chi, invece, palesemente ci “gioca”, appunto (Steven Moffat, sia con Sherlock sia con Doctor Who, con risultati altalenanti). “Out Of Time”, infatti, è innanzitutto un consapevole divertissement del team creativo. Gli scrittori sanno ciò che ci aspettiamo e optano per sbatterci in faccia tutto quello che abbiamo sospettato, teorizzato o semplicemente discusso, in queste numerose settimane. In un quarto d’ora, in una folle e stupenda sequenza, in netto collegamento (come anticipato) con quella del “Run, Barry, run!” con cui la serie è cominciata, stravolgono quanto è stato costruito finora. La possibilità che nel prossimo episodio la maggior parte degli eventi, tanto coraggiosi e decisivi, vengano cancellati del tutto è più che concreta, dato il viaggio temporale con cui termina il climax narrativo, e risulterebbe alquanto disonesto ignorarla. Ciò non toglie che quei bellissimi quindici minuti rimangono (come l’identità di Eobard Thawne, almeno dal nostro punto di vista). Perciò, è davvero importante, in fondo, che Cisco sia morto davvero o meno? O, visto che comunque Barry lo sa, che Iris si sia realmente resa conto del suo amore per il migliore amico?
Dopotutto, adesso che Flash è tornato nel passato, in diretta, per la prima volta, urge una domanda decisamente più succosa ed intrigante: sarà Terminator o Ritorno al Futuro? (considerando il titolo dell’episodio come un indizio, chissà, forse la seconda…)
- In una scena dell’episodio, Joe e Eddie entrano nell’appartamento numero 123. E’ un omaggio a The Flash #123 del 1961, conosciuto anche con l’alias di Flash Of Two Worlds. In questo numero, i lettori DC scoprono l’esistenza del multiverso e popolato da numerose Terre alternative; in particolare, in questa storia, si viene a conoscenza che un Flash esiste almeno in ogni universo alternativo, ma spesso può darsi che non si tratti di Barry Allen. Sul numero, i lettori riconoscono Jay Garrick, il Flash della Golden Age nonché di Terra 2.
- Fa il suo debutto ufficiale il vero Mago Del Tempo: Mark Mardon. Anche se la cosa è stata un po’ rivisitata nella serie televisiva, presentando Clyde come predecessore di Mark in questo ruolo, il serial rimane comunque fedele nel presentare il fratello di Mark come precursore dei poteri climatici. Di fatti, è proprio Clyde che scopre un modo per controllare i cambiamenti climatici, prima che la sua vita venisse stroncata da un attacco cardiaco. Mark Mordon prese gli appunti del fratello deceduto e costruì una bacchetta (si, come le bacchette magiche) in grado di controllare il tempo e si diede al crimine. Compare per la prima volta su The Flash #110 del 1960.
- Tuttavia, tale bacchetta viene usata come oggetto per fermare il Mago Del Tempo e neutralizzare i suoi poteri, classificandola come citazione più o meno esplicita.
- Compare per la prima volta il fantomatico fidanzato del Capitano di polizia Singh; nei fumetti, il suo moroso è Hartley Rathaway.
- Come abbiamo meglio spiegato nella recensione di “The Man In The Yellow Suit“, esiste più di un personaggio che ha vestito i panni dell’Anti-Flash, ma il primo di questa stirpe di “Flash al contrario”, è stato proprio Eobard Thawne, che qui rivela la sua identità. La frase detta da “Harrison Wells” stessa riguardo all’essere un “lontano parente”, è un riferimento al fatto che quest’ultimo proviene dal futuro; più precisamente, dal 25° secolo.
- E’ possibile che l’immagine che Barry vede quando corre, o sia la sua immagine residua (come mostra Wells/Thawne), oppure si un altro Flash di un altro universo. Sono innumerevoli gli esempi in cui il Velocista Scarlatto (in ogni sua incarnazione), correndo ad una velocità disumana, ha infranto le barriere del tempo e dello spazio, ritrovandosi poi in altri mondi e in altri tempi. Qualche esempio? Nel crossover non in continuità Avengers/JLA, Wally West riuscirà a correre ad una velocità tale da catapultarsi nell’Universo Marvel.
- La morte di Cisco vi ha scioccato? Beh, così doveva essere. Nei comics il personaggio è meglio conosciuto con l’alias di Vibe, ma fu un personaggio che nei fumetti fu più utile da morto, che da vivo. Proprio come la sua controparte televisiva, Vibe era un pezzo di pane sempre di buono umore e intriso di buoni sentimenti; quando la Justice League apprenderà della sua morte improvvisa, la sua dipartita scaverà nel resto del gruppo una profonda tristezza e depressione, a causa dello shock improvviso. Poi, ovviamente, si riprenderanno, ma la sua morte è sempre ricordata con molto rammarico: proprio come sarà la morte di Cisco nel serial di Flash.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Fallout 1×14 | 3.7 milioni – 1.4 rating |
Out Of Time 1×15 | 3.6 milioni – 1.3 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.