Un’accesa diatriba dei tempi più o meno recenti vede al centro la presunta inferiorità cronica, in termini qualitativi, delle serie generaliste americane, formate per la maggior parte da 22/23 episodi contro le serie perlopiù cable, a cui si sono aggiunte ormai quelle delle piattaforme streaming (Netflix, Amazon, Yahoo), che nei casi più eccezionali (The Walking Dead) non oltrepassano comunque la soglia dei 16 episodi. Questione che, però, presenta subito una duplice lettura: da un lato, infatti, fonda giustamente le sue ragioni su una precisa organizzazione del percorso di crescita di trama e personaggi, per via della conseguenziale assenza dei cosiddetti “filler” (anche se, proprio prendendo come esempio lo show di zombie della AMC, sappiamo che poi non è del tutto vero); dall’altro mette in luce, in opposizione, una certa “facilità” del modus operandi delle serie via cavo, che non dovendo sottostare alle leggi dei grandi network possono godere di una certa libertà, vedi a proposito il discusso caso di auto-promozione in vista degli Emmy Awards apportato dalla CBS per The Good Wife (che però non ha dato i suoi frutti).
Difficile dire chi ha ragione e chi torto, basta citare il “caso” Person of Interest che, dopo aver per tre stagioni dimostrato che la “qualità” si può mantenere anche nell’arco di una serialità più duratura, ha incontrato il suo primo vero arresto esattamente a causa di questi paletti insiti nella rete stessa, ritrovandosi a dover cambiare le cose in corsa per via dell’abbandono forzato, e momentaneo, di una delle sue protagoniste (la gravidanza di Sarah Shai), per poi trovarsi di fronte un rinnovo “a metà” per una quinta stagione con sole 13 puntate. Ci limitiamo, quindi, a constatare come spesso in questi casi un’unica e vera soluzione non esiste, ma anzi, forse se ammiriamo tanto il palinsesto degli show televisivi statunitensi (beh, non tutto, certo), è proprio per la loro incredibile sfaccettatura e il numero esorbitante di offerte proposte.
Quello che ci preme presentare, perciò, è come certe divergenti opinioni e opposti modi d’intendere e produrre una serie televisiva si possono riscontrare benissimo anche nello show qui analizzato, ossia un The Flash che fino ad ora ha fatto dell’equilibrata ed emozionante coesistenza tra la trama universalmente riconosciuta come “orizzontale” (tanto privilegiata dagli autori degli show via cavo, nonché dai loro estimatori) e quella più procedurale e “verticale” il suo punto di forza più visibile e lodevole. “Rogue Air”, poi, è probabilmente l’esempio più lampante ed esaustivo di quanto affermato fin qui, dato che mette in scena una divisione interna allo stesso episodio mai vista così netta.
La sezione centrale, infatti, è occupata principalmente dal ritorno in scena di Captain Cold, con tanto di sorella al seguito. Rientro, tra l’altro, annunciato fin dal titolo, che riprende direttamente la serie “Rogue“, andata avanti per tutta la stagione. La storyline che vede protagonisti i due fratelli-criminali Snart, recupera l’accordo di tregua col supereroe, consumatosi sul finire di “Rogue Time“, oltre che registra un primo e simpatico cross-over quasi off-screen con Arrow, con il coinvolgimento di Oliver, prima, e dell’ARGUS poi, grazie alle chiamate del facoltoso Barry Allen. La missione “del giorno”, quella del trasporto dei prigionieri meta-umani degli STAR Labs, rappresenta, così, la porzione “verticale” dell’episodio, che non riesce però a convincere del tutto, per più di un motivo. Innanzitutto, proprio per il discorso fatto in fase di presentazione della recensione, difficile non avvertire una certa pesante “rottura” della storyline principale (la lotta al Reverse-Flash), altamente centrale negli ultimi episodi, adesso per gran parte del tempo accantonata, appunto perché bisogna “per forza” protrarre il tutto in occasione del season finale e in qualche modo questo 22° episodio lo si deve riempire. In secondo luogo, poi, risulta ancora piuttosto “forzata” (come avevamo già fatto notare) l’eccessiva fiducia di Barry per Snart, all’epoca riguardo la promessa di mantenere il segreto sulla sua identità segreta, ora addirittura chiedendogli assistenza per un compito tanto delicato (a questo punto, il tradimento “a sorpresa” se lo merita tutto). Legata a quest’ultima considerazione, l’ultimo punto negativo di questa sottotrama vede il chiaro intento degli autori, con probabili imposizioni “dall’alto”, di cercare di accattivare il fandom con il personaggio di Captain Cold, con altrettanti palesi obiettivi di marketing, vista il suo impiego nel cast protagonista del prossimo spin-off “Legends of Tomorrow” (che giustifica, d’altronde, la successiva presenza di Firestorm).
La parte più convincente, al solito, diventa così quella dello scontro con Harrison Wells, che fa da prologo e, successivamente, da epilogo all’episodio. Il conflitto idealistico e moralistico tra i due “velocisti” è quanto di più intrigante e affascinante lo show sia riuscito a realizzare, efficacemente trasposta inoltre in quello più prettamente visivo, tra inseguimenti ad alta velocità e ralenty mai tanto funzionali dai tempi del Matrix dei Fratelli Wachowski (o dei film di Wes Anderson). Il continuo senso di inadeguatezza di Flash nei confronti del suo nemico naturale possiede sempre la sua efficace parte di trasporto emotivo per lo spettatore. Ed è a tale sudato e sofferto dislivello che sembra riferirsi il soddisfatto “I got you” finale di Barry nei confronti del vecchio mentore, per quanto risulti piuttosto fuori luogo, considerando che, per l’ennesima volta, il supereroe protagonista non riesce a sopraffare l’avversario senza usufruire di aiuti esterni. Non ci resta che sperare nel season finale, a questo punto.
I restanti frammenti di “Rogue Time” sono invece invasi dai soliti pregi e difetti di The Flash, incarnati al meglio dai suoi protagonisti, dall’irritante e inutile Iris, vero macigno di questa prima stagione dello “Scarlet Speedster” (name by Cap. Cold, finalmente), ai siparietti irresistibili di Cisco e Caitlin, che rappresentano in pieno lo spirito auto-celebrativo e leggero che caratterizza lo show. Proprio in merito all’atmosfera della serie, ancora una volta, viene fatta presente la differenza di “toni” tra questo e la gemella Arrow (anche se, a quanto pare, ancora per poco), a questo giro addirittura, come detto, con l’entrata in scena diretta di Oliver Queen, rimembrata precedentemente nel dialogo tra Barry e il patrigno West, che regalano sempre momenti intensi e significativi. A chi segue Arrow l’arrivo dell’arciere sarà risultata alquanto straniante, visti certi avvenimenti, ma va riconosciuta agli autori la volontà di rispettare un minimo la continuity, presentandocelo in versione “Al Sah-Him“, aggiungendoci inoltre uno sfizioso rimando al cameo futuro di Flash nel season finale “My name is Oliver Queen”. E comunque, in fondo, in questi casi su simili “incongruenze” si può facilmente sorvolare, dato che gli stessi comics dopotutto sono pieni di esempi del genere, in cui vige lo spirito di puro intrattenimento per il lettore/spettatore (come, tra l’altro, succede negli speciali “multi-dottore” di Doctor Who), dove tutto viene, per una volta, gentilmente concesso affinché ci si possa lasciare andare al “fanboysmo” spinto, divertito e consapevole.
- Quando il “Flash Team” arriva alla Ferris Air a Central City, Barry dice che il complesso è stato chiuso perché “un pilota è scomparso”. Questo è un grosso riferimento ad Hal Jordan, il quale (molto prima di diventare Lanterna Verde) lavorava come test pilot alla Ferris Air; un giorno però, una nave alinea compì un atterraggio di fortuna in prossimità del luogo di lavoro di Jordan, attirando a sé il pilota e invitandolo a prendere il suo posto nel corpo di polizia intergalattico delle Lanterne Verdi: queste, a grandi linee, sono le origini di Hal Jordan come Lanterna Verde, come narrato su Showcase #22 del 1959.
- A seguito di questo easter egg, molti fanno hanno cominciato a speculare sul fatto che Lanterna Verde potrebbe essere introdotto nell’universo DC/CW, magari con il prossimo spin-off Legends Of Tomorrow.
- “Part of my Rogues“. E’ una frase che dice Capitan Cold quando si riferisce alla sua cerchia ristretta di criminali che lui stesso recluta quando vuole fare gruppo e darle di santa ragione a Flash. Nonostante i Rogues siano già apparsi più e più volte, qui Leonard Snart li chiama per la prima volta con questo nome.
- Nonostante abbia fatto già un’apparizione precedente, qui vediamo per la prima volta utilizzare l’anello di Flash, contenente un costume miniaturizzato e pressurizzato che ogni Flash si porta in giro per non portarsi continuamente l’ingombrante costume sotto i vestiti.
- Molti fan, su Internet, hanno realizzato che tutti i supereroi principali che sono stati citati, non solo sono membri della Justice League, ma sono personaggi che hanno fatto parte del team durante l’era conosciuta come “Satellite Era”: cioè dove il supergruppo per eccellenza della DC Comics utilizzava come quartier generale stabile un satellite fluttuante fuori dall’atmosfera terrestre. All’epoca, la formazione era composta da: Batman, Superman, Wonder Woman, Flash, Freccia Verde, Lanterna Verde, Martian Manhunter, Aquaman, Ralph Dibny, Black Canary, Red Tornado, Hawkman, Firestorm, Zatanna e Atom. Escluso qualche nome, che non è ancora apparso e che non è stato nemmeno citato, almeno l’altra metà di questi personaggi è fisicamente apparsa nel Flash/Arrow-verso, oppure lo si è menzionato tramite citazione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Grodd Lives 1×21 | 3.62 milioni – 1.4 rating |
Rogue Air 1×22 | 3.65 milioni – 1.5 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.