La prima stagione ci lasciava continuamente pieni di domande. Qualcuno era contento delle domande, qualcun altro non riusciva a tollerarle e, in preda all’isteria, sbraitava contro Lindelof, contro Lost, contro i misteri, chiedendo a gran voce risposte. Risposte che si ostinavano a non arrivare, la razionalità degli spettatori incominciava a vacillare, fino a che – puf! – una grande fetta di popolazione seriale svanì nel nulla.
Fu così che la seconda stagione si fece strada tra un manipolo di gente in festa che, dopo aver fatto decantare gli eventi apparentemente random della prima stagione, era pronta ad accogliere un insieme di ulteriori riflessivi momenti mistici e simbolici. Siamo rimasti in pochi, è vero, ma sicuramente soddisfatti. Al giro di boa di questa seconda (speriamo non ultima) stagione, l’ambientazione presentataci risulta estremamente meno dispersiva e disorientante della precedente.
La zona geografica è delimitata. Anzi, la zona geografica è forse protagonista morale di questo capitolo. Il racconto crea discontinuità tra un episodio e l’altro grazie ad una partita di tennis continua che vede botta e risposta tra Kevin&Nora, Sam&Erika, Matt&Mary, compresa la digressione tra Laurie ed il figlio Tom (che a quanto pare, vista la telefonata a Nora, avrà di che proseguire). Tutto ci è quindi più familiare, raggiungibile e razionalizzabile. Potremmo addirittura identificare la stagione 2 come una stagione 1, incentrata sull’unico mistero della sparizione delle tre ragazze. Un po’ come in “Picnic A Hanging Rock”, film del 1975 diretto da Peter Weir, tratto dal romanzo della scrittrice australiana Joan Lindsay. Anche in quel caso vi era una sparizione (proprio di tre ragazze) che non avrebbe mai trovato spiegazione.
Eppure “Lens”, alla faccia dei disertori, all’inizio ci mostra un’altra faccia della medaglia. Una faccia che tutti si aspettavano sin dai primi episodi e che raramente ci era stata mostrata. Se nella scorsa recensione si era parlato di Desmond, non si può, in “Lens”, non tirare in ballo il lostiano Daniel Faraday. Colui che armato di bloc notes era venuto a darci un po’ di spiegazioni fisiche qua e là sulla misteriosa isola. Ecco quindi che un bizzarro scienziato si imbuca in una comitiva di giapponesi solo per andare a vedere la casa della scomparsa Evie e per studiare accuratamente Nora, l’unica tanto distratta da perdersi tre familiari tutti insieme. Ci risvegliamo dal torpore estatico. La fantascienza sta piano piano arrivando, pronta a sciogliere le riserve tenute dalla dolce inconsapevolezza tenuta finora. No, niente. Erano degli invasati religiosi che attribuivano a Nora una specie di possessione demoniaca. “Suck it all”, sembrano dirci gli sceneggiatori burloni.
Eppure aumentano le nostre pulci nell’orecchio sul fatto che qualcosa venga lontanamente suggerito. Lo intuiamo dalla semplice equazione del primo episodio: tre nuovi abitanti a Jarden = tre persone scomparse. Tre, esattamente come i familiari di Nora. Alzi la manco chi ancora non ci aveva mai pensato. Ma lo intuiamo anche perché, in un solo monologo, Erika ci spiega tutta una serie di inquadrature inspiegabili viste nella premiére. Quasi una scaramanzia dell’intera cittadina spingeva gli abitanti a ripetere i gesti del – per loro – miracoloso 14 ottobre. La donna vestita da sposa, lo sgozzatore di capre, la stessa Erika che seppelliva uccelli: tutto assume un’aura razionale, seppur sempre in un’atmosfera straniante e mistica.
Il dialogo tra Erika e Nora, indubbiamente, segna il picco dell’episodio. Per tutta la 2×06 si era girato intorno alle due figure femminili, senza darci modo di capire chi fosse la vera protagonista. Tanto si girano intorno che alla fine avviene il confronto. La regia disegna alla perfezione le caratteristiche delle due. I primi piani riservati ad Erika sono fermi, con lo sguardo fisso della donna, il colore della sua pelle e dei suoi occhi in perfetta armonia con lo sfondo circostante. Nora, al contrario, è quasi sempre rappresentata su metà schermo, o con un’inquadratura meno statica, lasciando intendere una minore serenità, un senso di colpa impercettibile, irrazionale e perenne che la disturba – e infatti incespica pronunciando la parola “lens”. Erika ha appena perso la figlia, Nora ha perso tre familiari tre anni fa. La prima, nella sua sofferenza, ha modo di razionalizzare la perdita, mettendo a fuoco un insieme di azioni insignificanti e minuscoli aspetti del quotidiano. La seconda non riesce ancora a pensare alle sue perdite, è convinta di essere andata avanti ma così non è. Se Erika, infatti, afferma fermamente di non ricordare le ultime parole di Evie, Nora non riesce neanche a pensare alle ultime parole dei suoi figli, senza scoppiare in un pianto irrefrenabile. Ma è proprio Nora che indossa un finta cinica maschera, che però cade immediatamente. Lo scontro tra personalità, solo accennato e messo in scena da sequenze parallele, si esplicita con il dialogo e si mette in moto con i sassi alla finestra.
E in tutto questo Kevin dovrà pagare le conseguenze della sua rivelazione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
No Room At The Inn 2×05 | 0.62 milioni – 0.3 rating |
Lens 2×06 | 0.63 milioni – 0.3 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.