“My watch is ended.”
È stato l’evento più atteso del 2016, infestando i sogni persino di Obama: la morte/non morte di Jon Snow ha tenuto per 1 anno col fiato sospeso l’intero universo seriale. Una “angoscia” del tutto iconica perché, nonostante la ormai consolidata reputazione di Game Of Thrones, alla definitiva fine del Bastardo di Winterfell non ci credeva davvero nessuno. Tuttavia, nel momento clou della scorsa puntata, la scontata resurrezione è stata per lo più etichettata come “affrettata”. Nella recensione di “Home” si era già ampiamente accennato al cambiamento che lo show lasciava intravedere dietro questa atipica scelta da parte degli sceneggiatori che, in cinque stagioni, avevano fatto dell’arte del procrastinare il motto della serie.
Eppure, dietro un evento così importante avvenuto solo al secondo episodio, c’è una motivazione del tutto comprensibile e decisamente anche apprezzabile (soprattutto per gli estimatori dell’action) che viene spiegata da una semplice frase dello sceneggiatore Dave Hill: “C’era troppa azione in arrivo per Jon Snow per poter rinviare troppo la resurrezione”. Gli eventi accaduti nei primi due episodi della stagione non hanno quindi lo scopo di essere considerati, ai fini della storia, come un traguardo ma sono semplicemente il punto di partenza, magari verso una nuova fase dello show stesso. Jon Snow torna in vita, mantenendo lo stesso colore degli occhi a differenza della pericolosa usanza dalle parti della Barriera e si prepara così a dare vita ad un nuovo capitolo della sua storia.
In attesa di futuri e concreti sviluppi, quello a cui si assiste in “Oathbreaker” sembra comunque un’altra fase di inevitabile passaggio: la vendetta consumatasi a Castle Black era dovuta nonostante, dopo averlo a lungo detestato, nel momento del congedo definitivo si debba dare merito al personaggio di Alliser Thorne, villain neanche poi troppo e coerente fino alla fine. Diversa invece si presenta la situazione del ex Lord Commander: se ci si aspettava che del regno dei morti tornasse una versione più “oscura” di Jon Snow si rimarrà delusi perché le sue caratteristiche tipiche sembrano essere ancora tutte lì, con una presentazione del suo ritorno, a livello emotivo, in una versione molto più realistica rispetto a chi poteva aspettarsi “altro”. Ma per “altro” ci sarà ancora tempo e per questo la fine dell’episodio rappresenta quel punto di partenza a cui si accennava prima: le dimissioni da Night Watch, neanche troppo illegittime, sanciscono un grosso cambiamento per il personaggio di Jon che ottiene così la possibilità di immergersi pienamente nel gioco ripassando dal via. In fin dei conti, il giuramento dei Guardiani della Notte inizia proprio con un “Hear my words and bear witness to my vow. Night gathers, and now my watch begins. It shall not end until my death” e, visto che la morte c’è effettivamente stata, Jon Snow è sciolto da ogni vincolo.
Jon Snow: “I did what I thought was right and I got murdered for it. And now I’m back. Why?”
Davos Seaworth: “I don’t know. Maybe we’ll never know. What does it matter? You go on. You fight for as long as you can. You clean up as much of the shit as you can.”
Se gli avvenimenti presso la Barriera rientrano nella categoria “entusiasmanti ma immaginabili”, è comunque il Nord a mantenere il centro della scena in questo inizio di stagione, con Ramsey Bolton protagonista indiscusso in quanto gli eventi susseguitesi a Winterfell sono da classificare come i più inaspettati e assolutamente pregevoli visti finora. Dopo lo sterminio in casa Bolton della scorsa puntata, la carrambata di giornata vede riapparire, dopo ben due stagioni di assenza, il figlio più bistrattato degli Stark, Rickon. Il colpo di scena rappresentato da questo “regalo”, unito alla sempre più presenza di nobili del Nord al fianco di Ramsey, è uno dei motivi che innalzano la storyline del Nord su un livello differente e superiore rispetto alle altre trame che si dipanano e che, con tutti questi elementi sul piatto, dimostra perché prendersela con comodo questa volta era la mossa sbagliata.
Tuttavia, l’accelerata della situazione al Nord non significa aspettarsi la stessa cosa anche altrove e la testimonianza è l’apparente staticità generale. Quello visto finora si può definire un cambio di ruolo a 360° rispetto alle prime stagioni perché, dove nei primi tempi si assisteva ad una lenta conquista di momenti interessanti al Nord e dalle parti della Barriera mentre tutta l’azione era concentrata al Sud, adesso la situazione è completamente capovolta. King’s Landing si rinchiude sempre più in una lunga e faticosa costruzione di movimento, dove Cersei e Jaime sembrano le ombre di quelli che erano un tempo, mentre sembra sbucare in punta di piedi al centro della scena, ma non in una luce prettamente positiva, la figura di Tommen. Intanto, High Sparrow continua a regnare sovrano grazie all’immenso Jonathan Pryce.
Per il resto, le storyline di “Oathbreaker” vedono la regina del procrastinamento Daenerys momentaneamente bloccata in quel di Dosh Khaleen mentre Varys e Tyrion tentano di risanare la situazione politica e sociale lasciate dalla rivolta. A tal proposito, non si può non rimanere un po’ perplessi per l’attenzione rivolta a quest’ultimo: Peter Dinklage darà anche il suo meglio mentre beve e sguazza nel disagio ma mantenere per più puntate il minore dei Lannister in una situazione di continuo stallo appare un crimine sia contro il personaggio che con le potenzialità narrative. 50 minuti sono sempre stati molto stretti alla serie e l’alternanza delle storyline si rende necessaria per mantenerle tutte in vita, in contemporanea però è lecito porsi delle domande sulle scelte operate da Benioff e Weiss che, volutamente, tralasciano situazioni più interessanti per virare su altri character e location. In tal senso, dopo le apparizioni random e alquanto mistiche della scorsa puntata che ci ricordavano l’esistenza dei Greyjoy, assistiamo a ritorni decisamente meno mistici come quello di Sam e compagna, per poi ritornare all’apice dell’episodio grazie ad altri due Stark.
La nota positiva arriva dalla storyline di Arya finalmente ad un punto cruciale e di svolta: la formazione della ragazza sembra avviarsi verso una definitiva conclusione del tutto ignota e completamente da scoprire e, proprio per questo assolutamente intrigante. Ben venga d’ora in avanti un minutaggio più corposo se destinato a “I am No One“.
In “Oathbreaker” però, il momento più importante se lo aggiudica Bran che riesce nell’arduo compito di apportare alla storia, seppur solo attraverso un flashback, qualcosa di davvero esaltante. Il suo ritorno in questa stagione era uno dei più attesi (secondo solo a quello di Jon Snow) e le capacità che sta acquisendo iniziano ad assumere sempre maggior rilevanza sia nel presente che nel passato e, di conseguenza, nel futuro. Potrà sembrare strano ma quanto visto in questa puntata è uno dei punti più alti di hype raggiunti finora dell’intera saga: i viaggi nel passato sono sempre ricchi di conoscenza e rivedere Ned Stark (seppur in una versione decisamente meno suggestiva) in un duello con La Spada dell’Alba, Arthur Dayne che in A Song Of Ice And Fire è passato alla storia, ha riempito quei pochi minuti di una magia unica. A livello di serie sarà bastato il mistero che avvolge la Tower of Joy a far raddrizzare i sensi ma a livello di leggende, che da anni ormai circondano la saga di George Martin, l’attesa, la suspense e la promessa di un potenziale stravolgimento dell’intera storia bastano per lasciare con l’hype a mille a chiedersi con Bran “what’s in the tower?”.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Home 6×02 | 7.29 milioni – 3.7 rating |
Oathbreaker 6×03 | 7.28 milioni – 3.7 rating |
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.
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