Dopo otto episodi, Pachinko conclude il percorso della sua seconda stagione, lasciando negli spettatori la soddisfazione per aver assistito all’ennesima prova delle sue qualità artistiche, tecniche e narrative.
Ad una storia delicata e divisa realisticamente tra gioie e dolori, si aggiunge infatti l’eccellenza tecnica del prodotto di Apple TV+ che grazie ad una regia, fotografia e colonna sonora di egregia fattura, ha confezionato episodi squisiti per il palato degli spettatori.
Ora, con una storia ben lontana dall’essere ancora completata, così come indica il libro di Min Jin Lee da cui è tratta la serie, si spera solo in un imminente rinnovo.
“I wonder sometimes why do some people in this world manage to survive while others do not? Is it those who find their shadows and those who don’t? Because a body cannot live without its shadow. Those shadows tell us where we are. Whatever it is, you and I are here. Though so many of those we have loved are gone, we are here sitting at this table.”
BAEK NOA OGAWA MINATO
Protagonista indiscusso dell’episodio è senza dubbio Noa. Il figlio di Sunja e Hansu si è pian piano ritagliato il suo spazio negli ultimi episodi, lasciando presagire un’importanza maggiore all’interno della trama.
Chi si aspettava solo risvolti professionali inerenti scuola e lavoro per questo personaggio, però, sarà rimasto fortemente sorpreso dallo sviluppo inaspettato degli eventi. Non che la rivelazione riguardo il suo vero padre biologico fosse inaspettata da un punto di vista narrativo, ma di sicuro Pachinko riesce a rendere inaspettate, e dunque fortemente d’impatto, le conseguenze.
Tutto acquista ulteriore valore, per una caratterizzazione di Noa che si rende ancora più peculiare. Un ragazzo che in realtà non ha ereditato minimamente il carattere di Hansu e la sua intraprendenza verso gli affari, ma molto più votato a rifarsi al padre che lo ha cresciuto e a seguirne i valori. Ecco quindi che la sua decisione estrema risulta fortemente organica per il personaggio. Abbandonare tutto e tutti, dagli studi universitari alla famiglia, e assumere una nuova identità lontano anche dalla verità, crea un’evoluzione degli eventi straordinaria nell’economia del racconto, favorita come sempre da un’eccezionale resa scenica e attoriale.
PACHINKO
Un altro elemento elegante di questo racconto è sicuramente la chiusura di un cerchio che rimanda sempre a “Pachinko”. Il termine pachinko indica infatti un gioco d’azzardo giapponese nato, per l’appunto, nel post seconda Guerra Mondiale.
É una sala di pachinko quella che negli anni ’80 gestisce Mozasu, ed è sempre una sala di pachinko quella in cui Noa, ormai sotto le sembianze di Ogawa Minato, trova lavoro sul finire di questa stagione per costruirsi una nuova vita.
Come se non bastasse, lo sguardo più attento che quest’episodio ha riservato alla versione più giovane di Mozasu ha mostrato ancora una volta uno stretto rapporto con una sala pachinko. Da questo punto di vista, poi, sembra che la serie sia pronta a dare maggior spazio anche a questo personaggio. Il focus ottenuto in “Chapter Sixteen” sia negli anni ’50 che negli anni ’80, lascia infatti trasparire un filo conduttore per una storia che deve ancora essere mostrata.
CONSEGUENZE
Sempre con la sua classe narrativa, questo season finale ha mostrato in maniera quasi violenta l’impatto delle conseguenze sui personaggi. La decisione di Sunja e Hansu di tenere nascosta la vera paternità di Noa al ragazzo ha avuto un impatto enorme su quest’ultimo, allontanandolo dalla famiglia e lasciando, appunto, Sunja e Hansu a fare i conti con le conseguenze, seppur ognuno per motivazioni diverse.
Conseguenze che attraversano i decenni e arrivano anche negli anni ’80 colpendo Solomon. Come ripetuto più di una volta nelle scorse recensioni, la sua storyline quest’anno è stata abbastanza povera di contenuti, tuttavia, i tragici risvolti finali potrebbero portare il ragazzo a dover fare i conti anche con sentimenti più profondi rispetto al mero affare lavorativo. Sperando che questo dia una scossa alla sua trama futura.
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Pachinko chiude dunque la sua seconda stagione lasciando aperte molte porte e prospettive per i suoi personaggi. Una storia che ha ancora tanto da raccontare e che il pubblico non vede l’ora di scoprire.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.