Lo avevamo già intuito nei primi teaser e in questi ultimi due episodi ne abbiamo la conferma: la seconda stagione di Gomorra risulta essere particolarmente character-oriented. In ogni puntata entriamo dentro il punto di vista di un personaggio diverso, quasi come se tutta questa seconda stagione fosse un’unica serie antologica che racconta un universo con personaggi di volta in volta differenti.
In particolare si può notare come ogni regista di Gomorra (la serie vanta ben quattro registi: Sollima, che fa anche da showrunner, Comencini, Cupellini e Giovannesi) abbia il suo personaggio-feticcio che riempie tutta la puntata, da cui deriva questo schema narrativo character-oriented, divenuto ormai ripetitivo, in cui il punto di vista di un singolo personaggio prende tutta la puntata specifica. Così gli episodi girati da Sollima si concentrano più su Pietro Savastano e Ciro, quelle di Claudio Cupellini su Genny e quelle di Francesca Comencini sui personaggi femminili (sua la puntata di Scianel e le puntate della prima stagione sull’interregno di donna Imma).
Questa volta la realizzazione dei due episodi è affidata alla new entry Claudio Giovannesi, assoldato per questa seconda stagione nel dream-team dei registi di Gomorra. Giovannesi sceglie due personaggi che, finora, avevano fatto semplicemente da comprimari e li assurge a protagonisti e metafore di tuta la serie: il camorrista Gabriele (detto O’ Principe) e Rosario, il braccio destro di Ciro.
Scelta certamente non nuova ma, anzi, che si rifà alla concezione criminale di tutto l’universo di Gomorra e che ne rappresenta l’impronta stilistica e la novità rilevante di tutta questa serie: mostrare non solo una saga familiare mafiosa, come tante ce ne sono state da Il Padrino in poi, ma anche tutto l’impero finanziario e industriale che si cela dietro il sistema mafioso. Più The Wire che non The Sopranos quindi, con un attenzione privilegiata, perciò, non tanto per i grandi boss quanto per le “retrovie del crimine”, per la manovalanza che compie materialmente i crimini. Non è un caso, infatti, che la prima scena del settimo episodio riguardi un complesso sistema di traffico e smercio di droga, organizzato secondo un sistema industriale. La manovalanza del crimine ne rappresenta certamente il lato più pratico e cinico e soprattutto meno romantico del mondo criminale. Quella stessa manovalanza da cui proveniva Ciro Di Marzio nella prima stagione, lui che ora è dall’altra parte del sistema e deve reggere le fila di una fragile alleanza criminale che rischia, giorno dopo giorno, di sfaldarsi a causa delle spinte interne ed esterne che premono per avere il potere.
Si tratta, infatti, di un delicato terreno quello di Gomorra, quasi una specie di Risiko vivente dove i territori sono quelli dei quartieri napoletani. In questo campo di battaglia Ciro deve fare i conti con le spinte propulsive dei camorristi più giovani, desiderosi di ottenere di più (in questo caso rappresentati da Gabriele O’ Principe) e con i tentativi di Pietro Savastano di mettere zizzania tra i componenti dell’Alleanza. Il risultato è un vero e proprio scontro generazionale tra vecchi e giovani, tra chi è salito al potere con la forza e chi preme per fare lo stesso ma ancora più velocemente.
Lo scontro è anche quello tra un vecchio e un nuovo modello di pensiero criminale tra la cooperativa criminale di Ciro (il Track) e la logica capitalista di Pietro Savastano. Ed è proprio quest’ultima che sembra prevalere alla fine di questi due episodi che mostrano il minarsi dei rapporti tra i vari membri del Track.
“La democrazia non funziona se non ci stanno i padroni dei cani con i bastoni.
E, infatti, nel mondo bestiale e animale di Gomorra (tornano i riferimenti agli animali come metafora dei rapporti umani, qui ulteriormente esemplificati dal rapporto di Gabriele con la pantera, quasi una compensazione dopo le parole di Scianel del quarto episodio) a dominare è ancora la vecchia legge del più forte e anche la migliore organizzazione deve fare i conti con l’ambizione personale del singolo che distrugge tutti i rapporti interpersonali. E allora non bastano le buone intenzioni e la diplomazia. Ma in questo contesto la regia di Giovannesi si distingue per un elemento non banale: l’emotività. Se, infatti, gli episodi precedenti erano stati caratterizzati da lentezze e freddezza, qui sembra emergere, improvvisamente, l’elemento emozionale rappresentato dalla vicenda di Rosario, l’amico fraterno di Ciro, messo al bando dal Track e barbaramente ucciso di fronte alla sua famiglia. Quest’ultima scena è stata rappresentata dal regista in maniera tale da suscitare empatia da parte dello spettatore che, vista la vicenda del personaggio, non può non simpatizzare per lui. L’esecuzione, vista da lontano cogli occhi della moglie e girata quasi senza sonoro come un film muto, crea la giusta suspense e angoscia in chi guarda, come mai si era visto finora nella serie. Particolare rilevante è l’uso dei bambini in questo episodio che certamente suscita ancora più simpatia e tenerezza e, nello stesso tempo, ancora più orrore pensando alla banalità del male che sta intorno all’ambiente dove si muovono i nostri protagonisti. Il tutto contribuisce a rendere i personaggi meno bidimensionali rispetto alla prima stagione, in particolare Ciro che in questo episodio risulta un vero e proprio personaggio shakespeariano, combattuto tra i suoi doveri di capo, l’affetto per il suo amico/collaboratore e la protezione della figlia. Per di più qui assume anche il ruolo di “investigatore” mettendosi a cercare il colpevole che ha ucciso il suo amico e il motivo per cui l’ha fatto. Quasi, in un certo senso, come un vero e proprio “poliziotto”, l’unico presente in questa serie peraltro, aggiungendo così una nota di giallo alla vicenda.
Queste sfaccettature dei personaggi e la loro (seppur parziale) umanizzazione sono un aspetto che non era così scontato in una serie il cui imperativo era quello di non mostrare il lato umano dei camorristi, anzi, puntare tutto sulla loro dis-umanizzazione. Qui, al contrario, il loro lato umano torna in maniera prepotente e si prende tutta la scena nel momento, forse, più buio per il Track che si trova sul punto di collassare e con don Pietro che ha deciso di uscire allo scoperto mettendosi apertamente sul piede di guerra contro di esso, in barba alle indicazioni del figlio Ciro.
Questi ultimi due episodi smorzano, infine e finalmente, la passività a cui ci avevano abituato le puntate precedenti e si rivelano ricchi sia di colpi di scena, sia di scene memorabili girate con grande maestria. Per la prima volta la luce presente nella serie non è più solo cupa ma assume diverse sfumature di colore e il ritmo frenetico delle inquadrature girate a mano regala un effetto poliedrico alla serie che dimostra la qualità e lo sperimentalismo del regista.
Da qui in poi, infatti, nessuno può prevedere quello che succederà, ma una cosa è certa: i colpi di scena non mancheranno. Nel frattempo don Pietro Savastano rimane fisso alla finestra del suo bunker come un quadro di Magritte, a fissare l’orizzonte delle Vele di Scampia e a meditare i prossimi piani contro Ciro e il figlio. Non resta che aspettare le sue prossime mosse.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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O’ Track 2×06 | 1.06 milioni – 3.34 share |
Il Principe E Il Nano 2×07 | 1.14 milioni – 3.45 share |
Divide Et Impera 2×08 | 1.08 milioni – 3.38 share |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!