L’avvento delle piattaforme di streaming e del binge watching ha radicalmente cambiato il ruolo del pilot conferendogli molta meno crucialità. Infatti, il pilot di una serie “tradizionale” (un episodio trasmesso a cadenza settimanale) deve introdurre la storia e i personaggi e la trama ha l’obbligo di entrare subito nel vivo per rimanere impressa allo spettatore. Se non si fa ciò, in special modo l’ultimo punto, il rischio è che, sette giorni dopo, molte persone non si siedano di nuovo sul divano per guardare il secondo episodio. Una settimana può essere molto lunga, soprattutto se si parla di nuovi show nei quali non è ancora entrata in atto l’empatia nei confronti dei vari character, che è un aspetto estremamente importante (quante serie si continuano a guardare solo per abitudine o perché Sheldon è sempre Sheldon e di sicuro Dexter ci stupirà nell’ottava stagione?): ciò che deve spingere a guardare la 1×02 è per forza di cose la storyline, perché non è raro che si faccia fatica anche solo a ricordare i vari nomi dopo la prima puntata (la persona che vi sta scrivendo, ad esempio, ha aperta la pagina Wikipedia di StartUp perché certo di non ricordarsi il nome del personaggio di Martin Freeman).
Tutto questo ragionamento non si pone quando si parla di serie Netflix, Hulu e Crackle (con Amazon il discorso è diverso perché fa scegliere ai proprio clienti i migliori pilot, in modo da produrre una prima stagione soltanto su di loro). Il pilot ha tutto il tempo del mondo per introdurre con calma il contesto, le situazioni e tutto il resto in quanto, 10 secondi dopo la sua fine, partirà un nuovo episodio, e poi un altro, e poi un altro ancora. In questo modo, gli sceneggiatori non sono più assoggettati al dove impressionare per forza al primo colpo, con il rischio di abbozzare in maniera superficiale i personaggi e far avvenire tutto in maniera frettolosa.
Al netto di quest’introduzione, il pilot di StartUp ha sorpreso in maniera leggermente negativa perché a volte troppo affrettato, e con una caratterizzazione non perfetta di alcuni personaggi principali, come Izzy. Detto questo, la serie aveva comunque un gran potenziale, e lo si era notato da subito.
In questo secondo episodio, i difetti iniziano ad essere limitati e le potenzialità ad essere espresse, ma la perfezione è ancora lontana, anche a livello di sceneggiatura. Un esempio lampante è rappresentato dal comportamento di Izzy, la quale vuole creare GenCoin per rendere il mondo un posto migliore e il giorno dopo offre un posto in società ad un mafioso haitiano, invece di restituirgli semplicemente i soldi sottrattigli dal padre di Nick. Questa scelta, oltre che incoerente, è anche priva di senso, in quanto 300.000 dollari non erano fondamentali per il futuro della società e non c’era alcun motivo per entrare in affari con Ronald Dacey. Certo, tutto ciò viene spiegato nel finale, quando lo stesso Dacey dice ai suoi due soci che, allo stesso modo in cui lui è venuto a reclamare i soldi, lo faranno anche altri, quindi la sua protezione sarà fondamentale. Il problema però è che, avendolo detto il personaggio di un ottimo Edi Gathegi, né Nick né Izzy ci avevano pensato, e si ritorna dunque alla sensazione di forzatura per far entrare il character definitivamente nella storyline principale. Continuando a parlare di Dacey, sin da subito è stato il character che è spiccato di più, sia grazie alla recitazione che grazie ad un contesto, quello delle mafie centramericane nelle periferie statunitensi, molto ben realizzato.
Se per Nick ed Izzy non aveva senso, al contrario, per lui l’ingresso in GenCoin è provvidenziale, perché intravede finalmente una via di uscita dal suo quartiere, dove le persone lo rispettano solo sulla carta (vedi uccisione del prigioniero nonostante il suo ordine di tenerlo in vita) e dove sta per iniziare una grandissima faida contro le altre gang. Nonostante sia molto attaccato alla sua comunità, il suo distaccamento verso la piega quasi primordiale e brutale presa dal leader Jey-Jey e dai suoi uomini è evidente quando, la sera, tutti strillano nella loro lingua natia dopo “l’entrata in guerra”. Tutti tranne Ronald. Un’altra importante motivazione è data dal voler salvaguardare il figlio (il discorso tra di loro è senza dubbio il momento più riuscito dei due episodi) ed evitare che entri definitivamente nel mondo della malavita. Un ruolo fondamentale nella sua sua scelta è stato svolto, ovviamente, dalla sparatoria nella quale Touile ha seriamente rischiato di morire sotto gli occhi del padre. Non è da escludere, inoltre, che prima o poi proverà ad impossessarsi totalmente della società.
Se dal lato haitiano tutto procede a gonfie vele, lo stesso non si può dire del duo Nick-Izzy. Se di alcune incoerenze della ragazza si era già parlato prima, non ultima il volersi avvalere del peggiore dei trucchetti finanziari che in teoria lei vorrebbe eliminare col suo progetto, il ragazzo, fino ad ora, si è segnalato principalmente per un livello molto basso di carisma e personalità, come se non riuscisse a prendere in mano la situazione. In pratica, Nick ha tutto quello che una persona nella sua posizione non dovrebbe avere: nel binomio di GenCoin, Izzy dovrebbe programmare e lui gestire il tutto mentre, fino ad ora, ha fatto tutto la ragazza, una programmatrice impulsiva e con un carattere non conciliante non è l’identikit perfetta di un manager. La speranza è che, con l’arrivo di Dacey, Nick inizi ad acquisire spessore.
Chi ha fatto meno progressi in questo episodio è stato l’agente Phil Rask, ma c’è stata la possibilità di confermare le impressioni avute sul suo personaggio. Era abbastanza prevedibile che la sua carriera fosse ad un vicolo cieco (anzi, si tratta di un cliché abbastanza usato) e che i suoi colleghi (quelli nei nuovi uffici, non i pochi rimasti nei vecchi, come lui) non lo rispettino. Questa situazione, infatti, è funzionale a dargli rabbia e rancore, in modo da essere ancora più agguerrito nel trovare Andrew Talmam per poi, probabilmente, imbattersi nella GenCoin.
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.