The Deuce 1×06 – Why Me?TEMPO DI LETTURA 6 min

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Patience, brother, patience.”


Quando, parlando di The Wire, molti analisti facevano notare che la “vera serie” partiva solo dal quarto episodio in poi, il suo creatore David Simon non la prendeva benissimo. Secondo l’autore ed ex-giornalista, in soldoni, l’impatto enorme di quella fatidica puntata non avrebbe mai potuto sortire lo stesso effetto, senza il necessario preambolo delle precedenti tre, magari più lente e introduttive. Ecco “Why Me?” (1×06) di The Deuce possiede la stessa efficacia e rappresenta lo stesso turning point di “Old Cases” (1×04) di The Wire.
Prima di procedere con l’approfondimento dell’ultima puntata, forse è necessaria una breve digressione proprio sul ruolo della storica “pazienza” di cui lo spettatore televisivo dovrebbe preventivamente auto-munirsi di fronte ad una narrazione seriale. In sintesi, in un’epoca in cui tanto la qualità quanto la quantità di prodotti televisivi “degni” hanno ormai raggiunto una dimensione così spropositata, e di conseguenza lo spettatore deve per forza di cosa far fronte a un’incredibile selezione se vuole ancora avere una benché minima vita sociale, questa “attesa” ha ancora un senso? In un’era in cui Mr. Robot, Legion o Westworld ti spiattellano il meglio che possono offrire, riuscendo nell’immediato ad esser definiti “capolavori” (o perlomeno meritevoli di indubbio interesse), già col singolo episodio pilota, davvero vale ancora la pena “aspettare”? Un così complicato quesito non può avere una sola e indiscutibile risposta.
Probabilmente quella più giusta, al solito, sta nel mezzo, ovvero che se il livello della programmazione di storia e sviluppo dei personaggi è tanto alto da meritare più “tempo” del necessario, allora sì, ne vale ancora la pena. Basti pensare a Breaking Bad o, per tornare a capolavori HBO del passato recente, The Sopranos, che sbattono in faccia la vera e torbida natura dei propri protagonisti, segnando al tempo stesso un punto di ritorno per tutto il panorama televisivo, solo a narrazione abbondantemente inoltrata. Per cui sì, dipende dal tipo di storia che si vuole raccontare, vedi la lenta e progressiva trasformazione da “Mr. Chips a Scarface” di Walter White/Heisenberg che Vince Gilligan intende mettere in scena per estremi gradi; ma in fondo anche dal come questa viene portata avanti, e quindi se per arrivare al punto ci si deve “sorbire” quintali di parole appartenenti alla sofisticata penna di David Simon & co., o virtuosismi artistici dei vari (in tutti i sensi) James Franco e Maggie Gyllenhaal, non è in fondo poi tutta questa tragedia.

Why Me?


Eppur si muove, verrebbe allora da dire per questa “Why Me?”, la quale, come si diceva, è la risposta perfetta al tempo “speso” fin qui ad aver seguito le numerosissime vicende di questo affresco d’epoca formato da papponi, prostitute, boss mafiosi e poliziotti corrotti, depressi porno-filmaker e cameriere mezze nude. Tutto infatti comincia ad intrecciarsi e convergere verso una grande storyline comune. Un esempio? Le direttive dall’alto della polizia che sconvolgono l’ordine prestabilito del “marciapiede” della Deuce: come potevano avere una tale efficacia per lo spettatore, se quest’ultimo non fosse stato preventivamente a conoscenza nel dettaglio di quale fosse quell’ordine, adesso sovvertito? Se tutto sembra propendere verso una “crisi dei papponi”, in quale altro modo si poteva comprendere l’entità della loro caduta, se non attraverso un’estrema e approfondita caratterizzazione di questi individui?
Ed è così che in un simile scenario sono coloro che, fino ad adesso, sono stati quasi spettatori, per quanto ambigui e in qualche modo complici, di tale “ordine” iniziano ad avere la propria ribalta. “Why Me?” è infatti la domanda di Vincent, ritrovatosi proprietario di un locale e di un bordello già sulla via del successo, al suo benefattore Pipilo, ma vale per gli altri protagonisti “sulle retrovie”. Vedi Candy, prostituta anti-conformista contro la gestione dei “protettori”, che diventa quasi “musa” del regista Harvey e magari protagonista all’interno di un settore, quello del porno, pronto ad esplodere. La sua rivalsa comincia da qui, sentenziata da quel “non ci tornerò più”, alla sua vecchia vita, al voler essere più di una “prostituta da dizionario” ma imprenditrice di un business in crescita. Vedi l’agente Alston, che non vuole essere più un semplice “informatore”, spettatore in prima fila di fatti e misfatti delle forze dell’ordine, ma protagonista di un’inchiesta giornalistica (proprio come la collaborazione Simon/giornalista-Burns/poliziotto che diede vita a The Wire) pronta a sovvertire l’ordine dell’omertà. Le pareti precarie fissate da Darlene nell’ultima scena, allora, assumono la valenza di metafora proprio della precarietà, oltre che esistenziale, dell’ordine sociale fino a quel momento costituito.

Ognuno, in fin dei conti, è solo il pappone di qualcun altro.


“Why Me?” è, poi, anche l’episodio del fatidico incontro tra il porno e i papponi, con l’entrata di C.C. sul set. Due mondi fin qui, per l’appunto, divisi ma pronti a scontrarsi. Un’alleanza perfetta sulla carta, vedi “non è la prima volta” recitato da Lori riguardo al fingere piacere nel rapporto davanti alla macchina da presa; vedi la proposta di Larry a Darlene:”it’s about to be the movies or the ho-house”. Due realtà che, invece, nel profondo, si possono rivelare anche decisamente inconciliabili, vedi quel “e se volessi dei figli?” della ragazza. Una linea di confine, quindi, continuamente ambigua, vedi la libertà e il controllo della propria vita ricercata ancora dalla stessa Darlene, professata proprio di fronte all’uomo che decide tutto per lei. La libertà agognata da Candy, già sulla strada, trovata al contrario proprio in quel settore che, specie se si pensa ai giorni nostri, vedrà pornostar produttrici di se stesse, oltre che tra i più ricchi al mondo (profetico, in questo caso, Harvey: “chissà dove potremmo arrivare, no?”). Quel porno sinonimo di rivoluzione e libertà sessuale agognati dai collaboratori di Vincent, tanto per la donna-Abigail, quanto per l’omosessuale Paul, non a caso inquadrati a parlarne nella stessa scena.
Ma quanto c’è di vero in questa libertà? Le losche manovre di Pipilo, che dalla strada si spostano al tribunale, sembrano appunto voler rappresentare l’altro lato della medaglia. Dalla questione delle macchinette al bordello, tutto sembra procedere secondo i piani “di qualcuno”, che sia Pipilo, che siano funzionari della legge, che siano le stesse forze dell’ordine (la tangente richiesta nel finale). In questa apparente commistione di ruoli, ognuno, in fin dei conti, è solo il pappone di qualcun altro. Pipilo di Frankie e Vincent, i “superiori” di Pipilo per lo stesso boss, Harvey di Candy, il poliziotto della giornalista (e viceversa).
The Deuce è stata presentata come una serie sul porno made by HBO (a proposito, ricordate lo slogan-parodistico “It’s not porn, it’s HBO”? Beh, tutto vero adesso). Giunto alla sesta puntata, lo sta diventando per davvero, ma assolutamente non nel modo che ci si aspettava.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • La svolta è arrivata
  • “Masturbatorium”, anche se l’idea più geniale ce l’aveva avuta Peter Griffin
  • Le avventure di White e Black Franky
  • Il doppio epico James Franco finora batte il doppio altrettanto epico (forse un filo più “facile”, visto quant’era caricato) Tom Hardy di Legend. Ma il memorabile doppio Armie Hammer di The Social Network quello no, non lo batte nessuno
  • “So, you my teammate? – How much dick you gonna suck tonight, pretty boy?”
  • ll monologo di Pipilo, finale, in risposta alla domanda di Vincent
  • Il montaggio della “crisi dei papponi”
  • David Simon, non ti possiamo criticare manco stavolta 

 

Citando l'”awimawe awimawe” odiato da Frankie: il leone non è più addormentato. The Deuce è pronto a spiccare il volo. Ma non ditelo a David Simon.

 

What Kind Of Bad? 1×05 0.88 milioni – 0.3 rating
Why Me? 1×06 0.81 milioni – 0.2 rating

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