Emily: “What happened to him?”
Mrs. O’Conner: “I don’t know. Probably got promoted. I fell in love.”
Bruce Miller, showrunner responsabile dell’adattamento del libro di Margaret Atwood, lavora a stretto contatto con l’autrice fin dalla pre-produzione della prima stagione. Ed è un bene se si considera lo schifo prodotto dall’omonimo film del 1990. Nella lungimiranza avuta fin dall’inizio riguardo il possibile proseguo della serie oltre i primi 10 episodi, la visione dell’autrice non poteva che essere indispensabile visto e considerato il modo in cui terminava il romanzo. Per chi non ne fosse a conoscenza, il libro finiva con lo scorso season finale “Night“, pertanto dalla scorsa “June” in poi la serie va verso un territorio completamente inesplorato che deve essere creato da zero. In tal senso è quindi importante (oltre che rispettoso) coinvolgere la Atwood per colmare il gap tra il finale del libro e quanto accaduto in “Night“.
Emily: “Every month, you held a woman down while your husband raped her. Some things can’t be forgiven.”
Il concept stesso delle Colonie di Gilead è un qualcosa che non è mai stato esplorato e, anzi, se si legge il libro si ha quasi la sensazione che non esistano veramente. Le Colonie sembravano essere usate quindi come spauracchio per mantenere l’ordine e tenere soggiogati tutti quanti. Un deterrente, praticamente. Per la prima volta, così come anticipato da Miller in alcune interviste, viene fatta luce su quelli che di fatto sono dei nuovi campi di concentramento in cui le donne muoiono non per il lavoro ma per l’ambiente ostile e avvelenato in cui vivono. E l’effetto scenico, dettato da un (al solito) attentissimo contrasto dei colori di ciascuna “casta sociale”, abbinato ad un buon uso degli effetti speciali è drammaticamente destabilizzante.
Regia e fotografia giocano qui un ruolo cruciale per dare il giusto distacco rispetto alla tetra, ma pur sempre migliore, Boston; inoltre il modo cui Alexis Bledel è riuscita a comunicare, avendo a disposizione uno script fatto di pochissime battute, tramite lo sguardo a tratti (volutamente) perso e altri (volutamente) focoso. Una prova recitativa intensa e paragonabile a quello della collega Elisabeth Moss (fresca di doppio riconoscimento Emmy-Golden Globe) che in “June” ha dato il meglio di sé e che qui condivide l’episodio con una Bledel in stato di grazia. La presenza di Marisa Tomei, come guest star nel ruolo Mrs O’Conner, non è di particolare rilevanza se paragonata alle altre performance ma va comunque riportata per dovere di cronaca.
“Unwomen” è ovviamente ben diverso da “June“, sia per struttura della puntata (divisa tra Emily e June), sia per l’effettivo sviluppo della trama che, infatti, non procede così spedita ma piuttosto si prende una pausa per far digerire gli ultimi avvenimenti. C’è quindi un’espansione più verticale che orizzontale che non disdegna l’approfondimento psicologico di entrambe le protagoniste, tramite flashback o tramite il ritrovamento di vecchi DVD di Friends. Quest’ultimo messo volutamente lì a sottolineare come la realtà di Gilead sia un mondo distopico pur sempre derivante dal nostro. Ed i flashback su Emily e la sua difficoltà nel percepire i drastici cambiamenti in atto sono più che esaurienti come esempio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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June 2×01 | ND milioni – ND rating |
Unwomen 2×02 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.