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Al termine della visione del season finale di Poldark si prova una sensazione di compiutezza, al punto che, se non fosse stata già annunciata una quinta stagione, sarebbe lecito sospettare di aver assistito ad un vero e proprio series finale.
Per l’occasione si sceglie di aprire l’episodio con un flashback del 1780, tanto più straniante quanto più se si pensa a tutto quello che è cambiato in quei due decenni. Guardando per pochi istanti a quei personaggi così ingenui e ignari del futuro, a quelle versioni più giovani di Ross, Francis e George con gli sguardi calamitati dallo splendore del grande amore della loro vita, lo spettatore non può che provare tenerezza e nostalgia, ma anche un senso di tristezza al pensiero di tutta quella felicità perduta, di tutte le difficoltà e i dolori che si sono succeduti da allora; né si può dimenticare che c’è ancora tutto un episodio dopo quel flashback e in cinquanta minuti di cose ne possono succedere. E ne succedono, purtroppo. E per fortuna. Succedono sia cose belle sia brutte, a ricordarci che la vita non è tutta rose e fiori ma nemmeno una perenne valle di lacrime.
Non è un caso che il season finale, l’episodio che segna l’uscita di scena della signora Warleggan ex-vedova Poldark, sia il più Elizabeth-centrico della stagione. Si è voluto rendere giustizia ad una figura che può non suscitare simpatia o incontrare il gradimento di chi guarda, ma che è stata centrale in molte dinamiche narrative di queste quattro stagioni e meritava decisamente, poco prima di lasciarci per sempre, più spazio di quello che i precedenti episodi le avevano concesso. Il ritorno dei sospetti di George sulla paternità di Valentine non ha fatto altro che riportare bruscamente in primo piano il dramma di una madre e di una moglie messa di fronte non solo alla più spinosa delle situazioni, ma anche ai peggiori sensi di colpa: non tanto per la scappatella con Ross, quanto per le ricadute che tutta la vicenda avrebbe sull’innocente figlioletto Valentine, che già inizia a sperimentare il disprezzo dell’uomo che fino a poco prima si comportava da padre amorevole e che andrebbe incontro ad un destino ancora peggiore se i sospetti si rafforzassero. Elizabeth finisce per essere un personaggio incredibilmente drammatico e intenso perché riconquista la serenità familiare sacrificando la propria vita, garantisce un futuro al figlio che non vedrà mai diventare uomo dopo aver dato alla luce una figlia che ugualmente non vedrà crescere e lascia solo un marito che, pur tra mille dubbi, perplessità e tentennamenti, non ha mai smesso di amarla sinceramente. Certo, se fosse sopravvissuta ai postumi del parto anche Elizabeth ci avrebbe guadagnato dall’aver definitivamente convinto George che Valentine era biologicamente figlio suo, ma sarebbe ingiusto vedere un fine puramente egoistico dietro il comportamento della donna e ignorare le ragioni di una moglie e di una madre che ha pagato un attimo di smarrimento col suo amore di gioventù più di quanto meritasse.
Similmente, sarebbe piuttosto facile ma ingiusto dare addosso al futuro lord Warleggan (che ironia ricevere la notizia del conferimento del cavalierato poco prima di perdere la moglie!) e dire che gli sta bene. A differenza di figure come Whitworth e Adderley, dipinte esclusivamente di nero, come puri e semplici villain, George è sempre apparso più complesso, sicuramente più crudele, subdolo e pericoloso ma anche più umano. Le interazioni con Elizabeth e con Valentine, almeno prima che i sospetti rinascessero, servivano proprio a portare alla luce il lato meno meschino e più dolce, più sincero di un uomo che non cova solo rancore, ambizione e desiderio di vendetta nel proprio cuore. Con questo non si vuole certo riabilitare la figura di George, che resta nel complesso un individuo moralmente miserabile e biasimevole sotto quasi ogni punto di vista; però è difficile non provare un minimo di pietà di fronte alla patetica figura dell’uomo che dalla vita ha ottenuto ricchezze, potere, influenza e si vede portare via da un crudele destino l’unica persona che abbia davvero amato, rimanendo a fissarne il cadavere con la figlioletta Ursula in braccio e Valentine che timidamente ne cerca la mano. George non versa lacrime, non si lascia andare a pianti liberatori, è una maschera di imperturbabilità e di autocontrollo che dà a Ross la notizia della morte di Elizabeth con voce monocorde, inespressiva, quasi fosse una cosa da poco, una sciocchezza; ma poi la rabbia, la frustrazione, la rassegnazione, il rimorso, tutto questo amalgama di sentimenti traspare (sempre in maniera contenuta, veramente aristocratica) nelle parole con cui si chiede che senso abbia l’universo intero se non c’è più l’unica persona con cui avrebbe voluto condividere ogni cosa. Forse da questo trauma George uscirà rinnovato, forse migliorerà come essere umano, forse saprà essere un buon padre anche dal punto di vista affettivo ed emotivo oltre che economico; o forse rimarrà lo stesso stronzo di sempre, forse peggiorerà ancora di più e sfogherà sui più deboli e sull’odiato Ross il proprio dolore; quel che è certo è che la morte di Elizabeth lo segnerà profondamente, così come segnerà la coscienza di Ross, in parte responsabile a sua volta di quella tragedia. Con la differenza che Ross ha accanto a sé la sua Demelza, a cui lo lega un rapporto d’amore coniugale irto di ostacoli, di passi falsi, di errori ma anche resistente alle intemperie della vita, ai tradimenti, ai fraintendimenti; invece George è solo, tremendamente solo, adesso che ha perso l’unica donna che riuscisse a vedere qualcosa di buono in lui.
Ma il mondo non è fatto solo di dolore e di sofferenza e non a caso il matrimonio di Drake e Morwenna è posto a suggello di una stagione che ha fatto penare non poco i suoi personaggi. Per questi due sfortunati amanti è un epilogo che ha tutto il sapore dell’happy ending ma non rinuncia a qualche sfumatura amara, data dal ricordo sempre vivo delle tribolazioni affrontate dai due e dalla consapevolezza di quanto sia difficile ripartire: del resto, l’amore che Morwenna e Drake decidono di coltivare insieme si preannuncia come puramente spirituale e privo, almeno finché la ragazza non avrà superato certi traumi, della componente carnale. D’altro canto, però, come dice Dwight a Caroline, l’amore ha l’incredibile potere di guarire le ferite dello spirito meglio di qualsiasi medicina; e se lo dice il medico più talentuoso di tutta la storia della televisione, a cui bastano un’occhiata o un’annusata per capire di quale malattia soffra il paziente o quale intruglio abbia assunto, possiamo stare tranquilli che ci sia della verità in tali affermazioni!
Per l’occasione si sceglie di aprire l’episodio con un flashback del 1780, tanto più straniante quanto più se si pensa a tutto quello che è cambiato in quei due decenni. Guardando per pochi istanti a quei personaggi così ingenui e ignari del futuro, a quelle versioni più giovani di Ross, Francis e George con gli sguardi calamitati dallo splendore del grande amore della loro vita, lo spettatore non può che provare tenerezza e nostalgia, ma anche un senso di tristezza al pensiero di tutta quella felicità perduta, di tutte le difficoltà e i dolori che si sono succeduti da allora; né si può dimenticare che c’è ancora tutto un episodio dopo quel flashback e in cinquanta minuti di cose ne possono succedere. E ne succedono, purtroppo. E per fortuna. Succedono sia cose belle sia brutte, a ricordarci che la vita non è tutta rose e fiori ma nemmeno una perenne valle di lacrime.
Non è un caso che il season finale, l’episodio che segna l’uscita di scena della signora Warleggan ex-vedova Poldark, sia il più Elizabeth-centrico della stagione. Si è voluto rendere giustizia ad una figura che può non suscitare simpatia o incontrare il gradimento di chi guarda, ma che è stata centrale in molte dinamiche narrative di queste quattro stagioni e meritava decisamente, poco prima di lasciarci per sempre, più spazio di quello che i precedenti episodi le avevano concesso. Il ritorno dei sospetti di George sulla paternità di Valentine non ha fatto altro che riportare bruscamente in primo piano il dramma di una madre e di una moglie messa di fronte non solo alla più spinosa delle situazioni, ma anche ai peggiori sensi di colpa: non tanto per la scappatella con Ross, quanto per le ricadute che tutta la vicenda avrebbe sull’innocente figlioletto Valentine, che già inizia a sperimentare il disprezzo dell’uomo che fino a poco prima si comportava da padre amorevole e che andrebbe incontro ad un destino ancora peggiore se i sospetti si rafforzassero. Elizabeth finisce per essere un personaggio incredibilmente drammatico e intenso perché riconquista la serenità familiare sacrificando la propria vita, garantisce un futuro al figlio che non vedrà mai diventare uomo dopo aver dato alla luce una figlia che ugualmente non vedrà crescere e lascia solo un marito che, pur tra mille dubbi, perplessità e tentennamenti, non ha mai smesso di amarla sinceramente. Certo, se fosse sopravvissuta ai postumi del parto anche Elizabeth ci avrebbe guadagnato dall’aver definitivamente convinto George che Valentine era biologicamente figlio suo, ma sarebbe ingiusto vedere un fine puramente egoistico dietro il comportamento della donna e ignorare le ragioni di una moglie e di una madre che ha pagato un attimo di smarrimento col suo amore di gioventù più di quanto meritasse.
Similmente, sarebbe piuttosto facile ma ingiusto dare addosso al futuro lord Warleggan (che ironia ricevere la notizia del conferimento del cavalierato poco prima di perdere la moglie!) e dire che gli sta bene. A differenza di figure come Whitworth e Adderley, dipinte esclusivamente di nero, come puri e semplici villain, George è sempre apparso più complesso, sicuramente più crudele, subdolo e pericoloso ma anche più umano. Le interazioni con Elizabeth e con Valentine, almeno prima che i sospetti rinascessero, servivano proprio a portare alla luce il lato meno meschino e più dolce, più sincero di un uomo che non cova solo rancore, ambizione e desiderio di vendetta nel proprio cuore. Con questo non si vuole certo riabilitare la figura di George, che resta nel complesso un individuo moralmente miserabile e biasimevole sotto quasi ogni punto di vista; però è difficile non provare un minimo di pietà di fronte alla patetica figura dell’uomo che dalla vita ha ottenuto ricchezze, potere, influenza e si vede portare via da un crudele destino l’unica persona che abbia davvero amato, rimanendo a fissarne il cadavere con la figlioletta Ursula in braccio e Valentine che timidamente ne cerca la mano. George non versa lacrime, non si lascia andare a pianti liberatori, è una maschera di imperturbabilità e di autocontrollo che dà a Ross la notizia della morte di Elizabeth con voce monocorde, inespressiva, quasi fosse una cosa da poco, una sciocchezza; ma poi la rabbia, la frustrazione, la rassegnazione, il rimorso, tutto questo amalgama di sentimenti traspare (sempre in maniera contenuta, veramente aristocratica) nelle parole con cui si chiede che senso abbia l’universo intero se non c’è più l’unica persona con cui avrebbe voluto condividere ogni cosa. Forse da questo trauma George uscirà rinnovato, forse migliorerà come essere umano, forse saprà essere un buon padre anche dal punto di vista affettivo ed emotivo oltre che economico; o forse rimarrà lo stesso stronzo di sempre, forse peggiorerà ancora di più e sfogherà sui più deboli e sull’odiato Ross il proprio dolore; quel che è certo è che la morte di Elizabeth lo segnerà profondamente, così come segnerà la coscienza di Ross, in parte responsabile a sua volta di quella tragedia. Con la differenza che Ross ha accanto a sé la sua Demelza, a cui lo lega un rapporto d’amore coniugale irto di ostacoli, di passi falsi, di errori ma anche resistente alle intemperie della vita, ai tradimenti, ai fraintendimenti; invece George è solo, tremendamente solo, adesso che ha perso l’unica donna che riuscisse a vedere qualcosa di buono in lui.
Ma il mondo non è fatto solo di dolore e di sofferenza e non a caso il matrimonio di Drake e Morwenna è posto a suggello di una stagione che ha fatto penare non poco i suoi personaggi. Per questi due sfortunati amanti è un epilogo che ha tutto il sapore dell’happy ending ma non rinuncia a qualche sfumatura amara, data dal ricordo sempre vivo delle tribolazioni affrontate dai due e dalla consapevolezza di quanto sia difficile ripartire: del resto, l’amore che Morwenna e Drake decidono di coltivare insieme si preannuncia come puramente spirituale e privo, almeno finché la ragazza non avrà superato certi traumi, della componente carnale. D’altro canto, però, come dice Dwight a Caroline, l’amore ha l’incredibile potere di guarire le ferite dello spirito meglio di qualsiasi medicina; e se lo dice il medico più talentuoso di tutta la storia della televisione, a cui bastano un’occhiata o un’annusata per capire di quale malattia soffra il paziente o quale intruglio abbia assunto, possiamo stare tranquilli che ci sia della verità in tali affermazioni!
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Si sarebbe potuta spendere qualche parola di più su Ross e Demelza, ma per questioni di tempo e di lunghezza della recensione si è preferito evitare. Speriamo ci sia perdonata questa mancanza, anche perché il season finale è stato talmente dominato dalle figure di Elizabeth e George e dal loro dramma da far passare quasi tutto il resto in secondo piano. E quando un’opera che sembrava inizialmente incentrata soltanto sulle paturnie e sui problemi di cuore di un ex-soldato della rivoluzione americana riesce a dare così tanto risalto e umanità persino al suo villain, merita applausi e nient’altro.
Episode 7 4×07 | ND milioni – ND rating |
Episode 8 4×08 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.