Arriva il grand final e Castle Rock si mantiene fino all’ultimo episodio fedele alla sua natura: un mistero che si rivela essere solo un altro mistero. In breve, un perfetto finale “alla King”, che non dovrebbe stupire troppo gli amanti del genere, soprattutto alla luce degli stravolgimenti dell’episodio precedente che avevano fatto dubitare di uno scioglimento completo della trama in una sola ultima puntata. Si può comunque cercare di capire se qualche parte del mistero è stata svelata e, soprattutto, quali sono le vere domande sulle quali la serie invita a riflettere. Dopo alcune puntate episodiche e di confusi raccordi, quest’ultima fa la quadratura del cerchio dedicando qualche minuto ad ogni personaggio e dando un epilogo, seppur aperto, alle vicende di ciascuno. Tutti riprendono dal punto in cui erano stati lasciati nella storyline principale tranne il protagonista, Henry, con cui si torna all’iniziale scena in tribunale e alla domanda che, adesso, sembra più essere rivolta a se stesso: “How much doubt is reasonable […] to take someone’s life?”. In questa puntata, dunque, uno dei principali temi che vengono affrontati è il dilemma dell’omicidio.
Tutti i protagonisti hanno ucciso qualcuno a Castle Rock ed ognuno affronta il dramma in maniera differente. Il primo assassino rivelato della stagione era stata la figura di Molly che, anche se guidata più dalla sua sensitività che dalla sua coscienza, è apparsa perfettamente consapevole delle sue azioni assumendosene la responsabilità, confessando e chiedendo perdono. Per quanto fragile e paranormale, si conferma essere il personaggio più integro della serie, uno che fa i conti con la propria coscienza ma che non si arrende alle proprie colpe e passa la stagione a salvare la vita alle persone. A seguire, viene Ruth, senza dubbio il capitolo più riuscito di Castle Rock, alla quale l’Alzheimer non risparmia il delitto di Alan.
La forza con la quale la vediamo prendere coscienza di avere ucciso l’amore della sua vita è la stessa che le impedisce di buttarsi giù dal ponte, aggrappandosi a quei momenti in cui i viaggi nel passato la riportano da lui: un ricongiungimento destinato a ripetersi in eterno nella sua memoria e del quale ci viene regalato un finale perfetto con la tomba comune nel cimitero di Harmony Hill; scena che possiamo immaginare identica nell’universo parallelo, come se l’epilogo di Ruth e Alan ricongiungesse le due realtà nel tempo e nello spazio. Infine, risolvendo ogni mistero circa i fatti che danno inizio alla vicenda, vi è Henry: sì, è stato lui ad uccidere suo padre. A costituire il movente dell’Henry ragazzino è la rivelazione del reverendo Deaver, fatalità che viene enfatizzata dalla citazione biblica, austera e drammatica, che dà proprio il titolo alla puntata:
“For the wages of sin, is death.”
Tuttavia, la scena è collocata nella parte iniziale dell’episodio, mentre Henry si trova svenuto sul volante e al suo risveglio non sembra ricordarsi nulla. Fino alla fine, assordato dal suono dello schisma, con la pistola puntata alle spalle e costretto a ripercorrere gli stessi passi di 27 anni prima, sembra che recuperi la memoria del tragico accaduto, ma non ne abbiamo nessuna conferma esplicita. Forse è proprio la non-accettazione del suo passato che lo porta, in un momento di forte stress, a vedere nel ragazzo di Shawshank il male impersonificato con fattezze demoniache. Si tratta di un’interpretazione plausibile (ma non certo l’unica) se si guarda al personaggio di Henry per come lo si è conosciuto durante tutta la stagione: amareggiato da una carriera piatta, impotente di fronte alla malattia della madre, ma soprattutto realista fino all’ostinazione.
È il paradosso di Castle Rock, i personaggi che accettano la paranormalità sono quelli più compiuti e fedeli a se stessi, che accettano la realtà per come la vedono, mentre Henry finisce per essere vittima delle gabbia che lui stesso si è costruito (“Some cage of his-own making” citando il suo monologo finale), condannandosi consciamente o inconsciamente per i suoi crimini attraverso la re-incarcerazione del ragazzo di Shawshank. Tenere in vita il prigioniero è il compromesso perfetto per un’esistenza meschina che si vuole punire per le proprie colpe ma vuole sopravvivere scaricandole su qualcun altro; lo stesso aveva fatto Lacy per cercare di dare una giustificazione alla propria vita vuota, arrivando addirittura ad accusare il ragazzo di Shawshank per non avere avuto figli. In questo disarmante ritorno all’inizio, l’ultima vittima sembrerebbe essere nuovamente il vero Henry Deaver, incatenato in questa dimensione non sua nella quale viene usato come capro espiatorio per i peccati altrui.
Tuttavia, il re del mistery ha seminato molti indizi che lasciano spazio a un’interpretazione totalmente diversa, complice della quale si riconferma l’abilità di Bill Skarsgård, che rimane fino alla fine indecifrabile. Molti quesiti infatti rimangono apparentemente senza risposta, primo fra tutti la scia di sangue che il prigioniero di Shawshank si lascia dietro e dalla quale trae spesso diretto vantaggio. In quest’ultimo episodio, la violenza del suo potere esplode come mai prima d’ora nel momento del bisogno, facendo pendere la bilancia decisamente più dal lato dell’utilizzo consapevole che da quello della semplice sventura. L’impressione generale è rafforzata da un’efficacia persuasiva che non si era ancora vista e che fa leva (forse con malignità) sulle fragilità di Molly per arrivare ad Henry.
“You believe me, don’t you?”
Da questa prospettiva, il ragazzo riesce ad operare in maniera letteralmente diabolica per distruggere vite, anche là dove sembra difficile arrivare: l’incorruttibile Alan Pangborn trucidato da Ruth, il direttore Lacy spinto al suicidio dal tormento, la buona Molly (che credevamo sarebbe stata ricompensata da una storia d’amore con Henry) finisce per vivere una vita solitaria e deprimente, ed infine Henry, condannato al senso di colpa, per il quale l’ultimissima battuta getta le sorti di un tragico destino:
“After a while, you forget which side of the bars you’re on. That’s what warden Lacy used to say. […] Look how things turned out for him.”
Il finale di questa prima stagione di Castle Rock lascia quindi magistralmente sospesi tra sentimenti contrastanti nei confronti dei protagonisti, dirigendo il pubblico verso diverse interpretazioni della trama che si diramano tra universi paralleli divisi tra reale e paranormale. E’ risaputo che non si avranno risposte nella seconda stagione, trattandosi questa di una serie dichiaratamente antologica, ma è proprio l’inquietudine scaturita dal mistero e dall’orrore ad appagare lo spettatore amante del genere e amante di King.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Magari Castle Rock ci rivelerà qualche segreto sul caso Henry Deaver in futuro, lasciandoci (nella migliore delle ipotesi) con qualche domanda in più.
Henry Deaver 1×09 | ND milioni – ND rating |
Romans 1×10 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.