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Taystee: “You can choose to do what’s right, or you can choose to do what you know is wrong.
And when you make a bad choice, living with what you’ve done can be its own punishment.
But every person that I ever knew ‘Cause you can be sure as shit those skeletons will come back to haunt you.”
But every person that I ever knew ‘Cause you can be sure as shit those skeletons will come back to haunt you.”
La bellissima (e coraggiosa) chiusura di questo sesto episodio sembra quasi voler essere la dimostrazione diretta di come possa colpire “più la penna della spada”. La parola scritta, usata per esprimere le proprie paure represse, i propri sentimenti più nascosti, è infatti il filo conduttore di tutte le diverse storyline della puntata, che dalla piccola aula del corso di Caputo si propaga per l’intero istituto penitenziario, fino a scavalcarne le mura.
Lo spettatore stesso, d’altronde, si può riconoscere nella provocazione dell’insegnante, perché chiunque ha una “persona dell’ascensore” che teme di più di affrontare. Una statistica che aumenta ancor più considerevolmente se poi si vuole espandere il concetto a qualcosa di più astratto, vedi la solitudine “fisica” per Piper, che rifiuta l’idea di trovare piacere in un’altra persona come suggeritole da Alex; l’operazione ai testicoli per Caputo che, oltre alla minaccia alla propria virilità, magari in segreto cova anche dubbi reali sul diventare genitore alla sua età; il dover mentire per l’azienda, pubblicamente e davanti ad una telecamera, nel caso di Ward. Tutti finiscono col venire a patti con i propri timori e limiti, uscendone anche vincitori (chi in modo più maturo di un altro, certo), continuando a portare avanti l’atmosfera conciliante da ultimo atto che sta caratterizzando la serie fin dal primo episodio.
Ma con Orange Is The New Black le gioie non durano mai abbastanza, ormai si sa, e questa stagione, anche per fortuna, non è da meno. Dove allora vengono riversate le sorprese più forti e commoventi sono le storyline che mettono al centro il vero obiettivo dell’esercizio di Caputo, probabilmente il più complesso da raggiungere per una persona, ossia il perdono (offrirlo, riceverlo ma soprattutto chiederlo). Un tema che, dopotutto, è decisamente in linea con lo spirito della serie, che ha raccontato più volte di come sia la società in primis a dimostrarsi incapace di perdonare le colpe altrui.
A farlo subito presente, non a caso, è Maria Ruiz, la cui esperienza in prigione ha regalato solo eventi terribili. Lei che, in fondo, si è ritrovata lì “solo” per aver contraffatto della merce, come continua a ripetere, anche se soprattutto a se stessa. Ciò che infatti non rivela (e a questo ci pensa il flashback di puntata) sono i suoi “skeletons” nell’armadio, le motivazioni che si nascondono dietro il suo crimine. A perseguitarla da allora sono i tradimenti e le bugie ai danni della sua “persona dell’ascensore”, è lei stessa che deve perdonare per aver mandato all’aria tutto. La consapevolezza che infine raggiunge rappresenta il successo della nuova gestione di Ward, nel concederle il primo straccio di “riabilitazione” personale che la prigione avrebbe dovuto in teoria offrirle da tempo.
Condivide con la storyline di Maria la presenza di un’attualissima quanto dibattuta questione “genitoriale” quella che vede protagonista Cindy: è solo il legame biologico a rendere una madre o un padre tale? Confidando nella memoria dello spettatore, gli autori ritirano insospettatamente (e brillantemente) fuori la sua maternità, tra l’altro scegliendo proprio il momento in cui si dà per scontato che la sua “persona nell’ascensore” sia Taystee. La lettera di scuse alla propria di madre, che coincide con il suo rilascio, sembra la perfetta chiusura di un cerchio, che però (come per Caputo) alla fine non si chiude davvero, in un plot twist finale da pelle d’oca, che conferma “solamente” il momento decisamente ispirato degli autori, capaci di districarsi in più livelli di narrazione.
Il percorso di Taystee, a tal proposito, ne è la prova lampante, la quale continua la sua parabole discendente, dopo il tentato suicidio e il tradimento (per ora solo formale) a Ward, personaggio-simbolo, ancor più di Maria, del fallimento del sistema carcerario. Come la società non è stata clemente con lei, così lei non riesce ad esserlo nei confronti della sua ex-migliore amica, finendo con l’essere l’unica di tutti gli altri protagonisti a fallire, a sua volta, l’esercizio di Caputo. Sì perché, anche se solo inconsapevolmente, anch’essa ne prende parte, con l’unica eccezione che la sua “persona dell’ascensore” l’ha appena tragicamente creata.
Lo spettatore stesso, d’altronde, si può riconoscere nella provocazione dell’insegnante, perché chiunque ha una “persona dell’ascensore” che teme di più di affrontare. Una statistica che aumenta ancor più considerevolmente se poi si vuole espandere il concetto a qualcosa di più astratto, vedi la solitudine “fisica” per Piper, che rifiuta l’idea di trovare piacere in un’altra persona come suggeritole da Alex; l’operazione ai testicoli per Caputo che, oltre alla minaccia alla propria virilità, magari in segreto cova anche dubbi reali sul diventare genitore alla sua età; il dover mentire per l’azienda, pubblicamente e davanti ad una telecamera, nel caso di Ward. Tutti finiscono col venire a patti con i propri timori e limiti, uscendone anche vincitori (chi in modo più maturo di un altro, certo), continuando a portare avanti l’atmosfera conciliante da ultimo atto che sta caratterizzando la serie fin dal primo episodio.
Ma con Orange Is The New Black le gioie non durano mai abbastanza, ormai si sa, e questa stagione, anche per fortuna, non è da meno. Dove allora vengono riversate le sorprese più forti e commoventi sono le storyline che mettono al centro il vero obiettivo dell’esercizio di Caputo, probabilmente il più complesso da raggiungere per una persona, ossia il perdono (offrirlo, riceverlo ma soprattutto chiederlo). Un tema che, dopotutto, è decisamente in linea con lo spirito della serie, che ha raccontato più volte di come sia la società in primis a dimostrarsi incapace di perdonare le colpe altrui.
A farlo subito presente, non a caso, è Maria Ruiz, la cui esperienza in prigione ha regalato solo eventi terribili. Lei che, in fondo, si è ritrovata lì “solo” per aver contraffatto della merce, come continua a ripetere, anche se soprattutto a se stessa. Ciò che infatti non rivela (e a questo ci pensa il flashback di puntata) sono i suoi “skeletons” nell’armadio, le motivazioni che si nascondono dietro il suo crimine. A perseguitarla da allora sono i tradimenti e le bugie ai danni della sua “persona dell’ascensore”, è lei stessa che deve perdonare per aver mandato all’aria tutto. La consapevolezza che infine raggiunge rappresenta il successo della nuova gestione di Ward, nel concederle il primo straccio di “riabilitazione” personale che la prigione avrebbe dovuto in teoria offrirle da tempo.
Condivide con la storyline di Maria la presenza di un’attualissima quanto dibattuta questione “genitoriale” quella che vede protagonista Cindy: è solo il legame biologico a rendere una madre o un padre tale? Confidando nella memoria dello spettatore, gli autori ritirano insospettatamente (e brillantemente) fuori la sua maternità, tra l’altro scegliendo proprio il momento in cui si dà per scontato che la sua “persona nell’ascensore” sia Taystee. La lettera di scuse alla propria di madre, che coincide con il suo rilascio, sembra la perfetta chiusura di un cerchio, che però (come per Caputo) alla fine non si chiude davvero, in un plot twist finale da pelle d’oca, che conferma “solamente” il momento decisamente ispirato degli autori, capaci di districarsi in più livelli di narrazione.
Il percorso di Taystee, a tal proposito, ne è la prova lampante, la quale continua la sua parabole discendente, dopo il tentato suicidio e il tradimento (per ora solo formale) a Ward, personaggio-simbolo, ancor più di Maria, del fallimento del sistema carcerario. Come la società non è stata clemente con lei, così lei non riesce ad esserlo nei confronti della sua ex-migliore amica, finendo con l’essere l’unica di tutti gli altri protagonisti a fallire, a sua volta, l’esercizio di Caputo. Sì perché, anche se solo inconsapevolmente, anch’essa ne prende parte, con l’unica eccezione che la sua “persona dell’ascensore” l’ha appena tragicamente creata.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Al sesto perfetto episodio di una stagione che, fin qui, non ne sta sbagliando una, ci sentiamo solo di ringraziare caldamente gli autori, aspettando di poterli benedire per il lavoro complessivo.
Minority Deport 7×05 | ND milioni – ND rating |
Trapped In An Elevator 7×06 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.