“It’s possible because, this morning in New York City at 6am, the Wall Street Stock Exchange crashed like a steam train. We were most definitely on board.”
Dopo quasi due anni di lontananza dal piccolo schermo torna Peaky Blinders, gioiello made in UK andato in onda in anteprima sul canale inglese BBC One lo scorso 25 agosto e nei prossimi mesi disponibile anche su Netflix. Dopo la magistrale chiusura della scorsa stagione, con Thomas intento ad affrontare la sua nascente carriera politica all’interno del partito laburista inglese e i Peaky Blinders alle prese con le solite problematiche interne alla famiglia, la trama compie l’oramai “consueto” salto temporale, approdando nel bel mezzo della Grande Depressione, con il crollo di Wall Street e la conseguente crisi finanziaria che sconvolse l’economia mondiale alla fine degli anni Venti.
Mentre la maggior parte degli show televisivi – gangster drama o meno, poco importa – scelgono di proseguire la narrazione seguendo pedestremente il regolare trascorrere del tempo, lo show di Steven Knight ha sempre mostrato una certa propensione al “salto temporale” – soprattutto in avvio di stagione – evidenziando così una preferenza per l’apertura di nuove storyline stagionali in grado di conferire ogni anno una rinnovata vitalità alla serie. Già da un paio di stagioni lo show sembra voler muoversi verso ovest, approdando su suolo americano, ma al termine di questa première l’impressione è che si voglia attendere ulteriormente concentrando l’attenzione ancora un po’ sulla “east coast” e sulla situazione generale della famiglia Shelby e della loro compagnia.
Esattamente come si aprì la serie nel settembre 2013, troviamo Thomas in sella al suo cavallo – accompagnato qui dall’oramai iconica Red Right Hand di Nick Cave in sottofondo – approcciarsi lentamente allo spettatore guidato soltanto dal ripetuto e incessante squillare di un telefono pubblico. In quell’occasione il leader degli Shelby si affidò alla superstizione – ed al soffio magico di una ragazzina a cui aveva appena donato del denaro – e proprio come allora, anche adesso, la fortuna sembra essere un valore fortemente radicato all’interno del character, sempre fiero di mostrare la sua estrazione gipsy, fortuna che questa volta viene affidata ad un lancio di moneta per decidere cosa fare con la nuova minaccia rappresentata dagli Angels of Retribution. Questo gruppo sembra costituire uno dei possibili antagonisti di stagione, insieme al collega parlamentare di Tommy, Sir Oswald Ernald Moseley (interpretato da Sam Claflin) – fondatore nel 1932 dell’Unione Britannica dei Fascisti, formazione politica di estrema destra vicino al Partito Nazionale Fascista di Mussolini – rimasto molto colpito dal discorso tenuto dal leader degli Shelby riguardo il crollo di Wall Street e probabilmente interessato più al Thomas Shelby criminale piuttosto che al Thomas Shelby laburista.
“Fuck the stock market!”
Questo primo episodio appare realizzato con la consueta cura dal punto di vista estetico. Regia e fotografia cooperano alla perfezione sfociando nell’oramai scontato tripudio per gli occhi con cui la serie ci vizia da anni. Ogni sequenza brilla di luce propria e l’alternanza continua tra vecchio (le immagini) e nuovo (la musica, in forte contrasto per il suo evidente anacronismo) non fa altro che rendere la visione ancor più magnetizzante. In più di un’occasione le atmosfere ricordano quelle di The Handmaid’s Tale (serie televisiva targata Hulu e basata sul racconto distopico “Il racconto dell’ancella” sulla quale speriamo di non dover fornire ulteriori informazioni in questa sede), per nulla dissimile dal punto di vista prettamente visivo.
Entrambe le serie infatti sono riuscite nell’impresa di creare un’estetica molto “personale”, facilmente riconoscibile, caratterizzata da interni fumosi, ambienti poco illuminati e opulenti, avvolti da una strana aura in grado di farci percepire il disagio dei personaggi che vi si muovono all’interno. Il carisma di ogni singolo character fa sì che nessun segmento narrativo risulti noioso, scontato o ripetitivo, il dualismo continuo tra lato umano e consapevolezza di essere un membro della famiglia Shelby è sempre presente: basti pensare a Thomas e il suo costante desiderio di essere preso in considerazione non soltanto perché leader di un’organizzazione criminale – le dinamiche qui presentate ricordano molto la breve ascesa politica di Pablo Escobar raccontata in Narcos – o ad Arthur, costretto a sottostare alla leadership di suo fratello minore e alle prese con le lamentele della moglie Linda nonostante il ruolo di direttore da lui occupato.
Ora si spera soltanto che Knight tenga fede alla parola data e chiuda la serie prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale. Una mossa, quella di rivelare “la destinazione”, molto importante dal punto di vista prettamente spettatoriale, così da consentire a chi guarda di non concentrarsi troppo sul destino dei vari personaggi ma soltanto sull’arco narrativo stagionale. A prescindere da come andrà avanti, Peaky Blinders è già riuscita a ritagliarsi uno spazio all’interno della storia televisiva contemporanea, rappresentando una delle migliori scelte possibili nell’oramai sconfinato archivio Netflix e senza dubbio l’unico show inglese in grado di reggere il confronto con le produzioni ad alto budget made in USA.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Company 4×06 | 4.44 milioni – ND rating |
Black Tuesday 5×01 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.