Thomas Shelby è libero. È riuscito a sfuggire a tutto e tutti: ai Peaky Blinders, ai fascisti, alla falsa diagnosi, alla sua famiglia. Perfino a sé stesso. Il character interpretato da Cillian Murphy esce da Peaky Blinders esattamente com’era entrato. Solo che questa volta, non tradendo la poetica e il simbolismo che accompagna da sempre la serie, lo fa in groppa ad un cavallo bianco, non più nero.
Il breakdown di Tommy avvenuto al termine della quinta stagione aveva portato il personaggio ad intraprendere un vero e proprio viaggio di redenzione. Un viaggio iniziato fin dalle primissime battute di questo sesto arco narrativo; una discesa all’inferno che lo ha costretto a fare i conti personalmente con i suoi peccati. La sentenza del dr. Holford, arrivata tra l’altro durante uno dei periodi più sobri e lucidi della vita di Tommy, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, mettendo in discussione la reale utilità della sua crociata in cerca di redenzione. Ora, però, col senno di poi, si può dire che la peggiore delle notizie ha finito per trasformarsi nella migliore delle opportunità. Fatta eccezione per lo stesso dr. Holford, miracolosamente salvato dalla proverbiale campana, nessuno è infatti a conoscenza della “resurrezione” di Tommy. La fede nuziale da lui sfilata poco prima della cruciale rivelazione del fantasma di sua figlia, diventa così prova ulteriore della sua dipartita. Una libertà che certamente verrà sfruttata dal protagonista per architettare la vendetta nei confronti di Mosley e dei suoi colleghi fascisti, ma che al netto delle aspettative in merito alla conclusione del viaggio (televisivo quantomeno) di Thomas Shelby, non può far altro che lasciare lo spettatore un po’ con l’amaro in bocca.
UN FINALE LASCIATO A METÀ
La notizia relativa all’uscita di un film spin-off sulla serie, aveva lasciato presumere l’intenzione di voler continuare la storia in una sorta di era “post Thomas Shelby”, magari incentrata sul figlio illegittimo Duke, concludendo però la parabola discendente del leader degli Shelby nell’unico modo possibile, ovvero con la sua dipartita, al termine di questa sesta ed ultima stagione. A prescindere che avvenisse per mano di Michael, il tubercoloma o uno dei tanti nemici di Tommy.
La verità purtroppo è ben diversa e, come accade sempre più spesso ultimamente, si è deciso invece di optare per un series finale più aperto, e di conseguenza anche meno coraggioso (nessuna morte particolarmente inaspettata prende luogo in questo episodio), utile a spianare il terreno in attesa dell’uscita del film.
Film che finisce per ammantare questo finale di serie al pari della nebbia che avvolge le strade di Birmingham, rendendo così impossibile per lo spettatore percepire una reale sensazione di fine. Un addio posticipato a causa della necessità di mantenere gran parte dei suoi pezzi in gioco in vista della futura pellicola, ma anche molta fretta nel creare nuove dinamiche, sempre per lo stesso motivo. Basti vedere la trasformazione di Duke da giovane zingaro amante della natura a generale spietato delle truppe dei Peaky Blinders, fin troppo rapida e ben poco esplorata per risultare credibile.
IF YOU GET LOST IN THE FOG, THE PEAKY BLINDERS WILL GET YOU
Non mancano comunque tensione ed emozioni. A partire dagli intensi scambi di battute tra Thomas e i membri della sua famiglia, in particolar modo quello col fratello Arthur, resi ancor più commoventi dalla consapevolezza di Tommy di non avere più molto tempo da passare su questa terra. O ancora l’ultimo confronto con Mosley e sua moglie Diana, con quest’ultima intenta a sedurre nuovamente il protagonista nella speranza che la monti sui banchi dei Tory (“If you want to fuck, I’ll fuck. But you’ll have to cross the floor cos I refuse to fuck on Tory benches.”) e il marito impegnato invece a minacciarlo proprio per evitare che se la spassi nuovamente con la futura signora Mosley.
Questa particolare storyline è l’unica a rimanere effettivamente aperta ma, nel caso non venga ripresa in futuro dal film, ci pensa la storia a dare allo spettatore le risposte di cui ha bisogno: quattro anni dopo il matrimonio con Diana Mitford avvenuto a Berlino (1940), infatti, il neo eletto primo ministro britannico Winston Churchill fece imprigionare i neo sposini per aver commesso atti pregiudizievoli per la sicurezza del regno. L’Unione Britannica dei fascisti venne quindi bandita e la coppia non raggiunse mai il potere tanto agognato.
Molto significativa anche la distruzione della sua abitazione. Un atto di forza nei confronti dell’establishment ma soprattutto un gesto simbolico nei confronti di quell’aristocrazia a cui lui desiderava appartenere, ma che non l’ha mai realmente accettato a causa del suo sangue gipsy, oltre che ultimo desiderio di Lizzie nella speranza di potersi lasciare alle spalle la prematura morte della figlia Ruby.
E regalare le sequenze più elettrizzanti, però, sono le storyline dedicate ad altri due Shelby: il tentativo (prevedibilmente fallimentare) di far saltare in aria il fratello messo in atto da Michael e la meravigliosa sparatoria nella nebbia tra Arthur e i membri dell’IRA a Garrison Lane.
Nel primo caso, nonostante la prevedibilità del suo esito, è possibile percepire tutta la tensione del momento, vissuta prima attraverso gli occhi e i pensieri di Michael antecedenti l’esplosione e poi tramite le parole e il sangue freddo di Tommy nel momento del confronto finale col nipote. Ad impreziosire il tutto la consueta apparizione di Alfie Solomon, uno dei momenti sempre più attesi nei finali di stagione di Peaky Blinders, impegnato a sottolineare per l’ennesima volta quanto poco gli importi delle questioni personali di Tommy e confermandosi ancora il cinico ed avido criminale che è sempre stato. Giunto al tanto agognato atto finale della sua Opera, e forte della sua condizione di “someone who has been dead for a number of years“, Alfie termina col suggerire a Tommy la migliore delle vie d’uscita: abbandonarsi al dolce tocco della morte e godersi la libertà che ne consegue. Un dialogo che, come spesso accade negli scambi di battute tra i due protagonisti, non aggiunge nulla alla narrazione ma regala uno dei momenti più coinvolgenti della puntata.
Nel secondo caso invece, lo spettatore viene soprattutto irretito dal fascino delle oscure e nebbiose strade di Birmingham, rese ancora più indecifrabili da immagini profondamente inquietanti, una su tutte la bambina che si aggira nel bel mezzo della sparatoria mentre la mamma preoccupata la mette in guardia sui Peaky Blinders, quasi si trattasse di un gruppo di demoni. Il tocco di Anthony Byrne qui si nota più che mai. La durata extra (l’episodio dura infatti un’ora e venti) ha consentito al regista di dedicare il giusto tempo alle sequenze d’azione dell’episodio, regalando ad Arthur forse il momento più epico all’interno di questo finale di stagione. E a Billy Grade un’uscita di scena molto più coinvolgente del previsto se si pensa all’inevitabilità del suo triste destino da spia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Quello che doveva essere un addio si è trasformato invece in un arrivederci. Peaky Blinders termina qui il suo viaggio televisivo e si prepara a concludere sul grande schermo, questa volta si spera in maniera definitiva, il percorso iniziato da Thomas Shelby nell’oramai “lontano” 2013. C’è un po’ di delusione nell’avvertire questa sensazione di finale a metà, ma come al solito la qualità del prodotto si attesta a livelli altissimi. Non sono mancate le emozioni e i colpi di scena, questo è certo, ma tant’è che adesso si dovrà attendere almeno per un paio d’anni (a voler essere ottimisti) prima di poter assistere al vero finale dell’opera di Steven Knight.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.