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Una prima stagione tutto sommato accettabile aveva contraddistinto l’andamento di Castle Rock lo scorso anno; nell’occasione di quella nuova lo show, passato ad una diversa ambientazione, conserva ancora dei richiami all’eccellente lavoro di Stephen King e alcuni anche a quelli di personaggi che hanno proiettato i suoi testi sul grande schermo, come la scena della passeggiata nel bosco per trovare il cadavere (ripresa ovviamente dall’adattamento di Stand By Me) e un certo fascino letterario.
Sembra semplice, anche per un occhio inesperto, capire la portata degli elementi che gli sceneggiatori stanno a mano a mano inserendo all’interno dello show prendendoli da altre opere di grande fattura, un rischio, se si considera il minestrone riscaldato che potrebbe uscirne, ma potenzialmente anche un plus se tutto dovesse andare per il verso giusto.
Al momento, la storia di Annie ci riporta alle problematiche della sua psiche, anche a quelle fisiche per certi versi ma a dominare sono soprattutto le sue perdite di memorie e di lassi temporali. L’interpretazione di Lizzy Caplan, già ben nota al mondo della serialità per le sue performance in Masters of Sex e Party Down, restituisce alla protagonista di Misery tutte le sue più peculiari caratteristiche: la sua recitazione mette lo spettatore davanti alle balbettanti insicurezze classiche del personaggio e ai suoi ricordi più particolari. Anche Elsie Fisher sembra adatta al ruolo di Joy, specialmente per la capacità di sfaccettare il personaggio in diverse situazioni come la risata vicino al lago; l’eccitazione durante il saluto coi suoi amici; e la confidenza nei confronti della madre legata al letto. L’attaccamento tra le due sembra costruito in maniera complessa: si intravede già un tratto preciso della personalità della madre, che esita a raccontare alla figlia dell’omicidio perché crede che sia il miglior modo per tenerla al sicuro, un refrain classico della Wilkes, un modo che non sembra l’unico che Annie potrebbe essere capace di mettere in atto nel tentativo di proteggere la bambina.
Il legame tra le protagoniste, come tema centrale dell’episodio si fortifica nei minuti finali della puntata in cui Annie, costretta al letto, richiama l’attenzione della figlia per l’emergenza della sua condizione. L’arrivo a questo momento non è eccessivamente convincente a livello di scrittura in quanto la bambina scopre della dipendenza da psicofarmaci da parte della madre soltanto grazie a un topo che ingerisce le sue pillole morendo.
Il paradosso più grande è invece la situazione che allaccia la vicenda di Annie a quella di Paul Sheldon. Il protagonista di Misery non è ancora apparso in Castle Rock, probabilmente non lo farà neppure, ma per la gran parte del pubblico a conoscenza delle vicende del libro di King basato sulla sua storia sarà stato sicuramente divertente vedere Annie legata ad un letto in cerca delle pillole che avrebbero migliorato la sua condizione di prigionia, proprio lo stesso modo in cui Paul legato al letto diventava suo prigionierio nel film tratto da Misery.
Per il resto, gli elementi sembrano ben strutturati, la crescita della ragazzina prende il centro della scena, così come l’inadeguatezza di Annie nel proprio compito materno, troppo grande per lei e per le sue turbe affidate improvvisamente nelle mani della figlia, elementi che mescolandosi creano un contesto di amore tormentato di chi sembra amare genuinamente, per usare la più classica delle frasi fatte, col cuore ma non col cervello.
Manca ancora qualcosa per quello che riguarda la costruzione della storia dei due personaggi principali, ma il contesto attorno a cui ruotano le loro vicende pare ben costruito almeno in termini squisitamente tecnici e a livello attoriale. Possiamo prendere l’esempio di Alison Wright che, nel ruolo di Valerie, concede pieno respiro al personaggio dal primo momento, forse perché si ritroverà presto a non averne più. Considerando quanto visto, infatti, Valerie potrebbe essere uno dei primi interpreti a lasciare la compagnia.
Sembra semplice, anche per un occhio inesperto, capire la portata degli elementi che gli sceneggiatori stanno a mano a mano inserendo all’interno dello show prendendoli da altre opere di grande fattura, un rischio, se si considera il minestrone riscaldato che potrebbe uscirne, ma potenzialmente anche un plus se tutto dovesse andare per il verso giusto.
Al momento, la storia di Annie ci riporta alle problematiche della sua psiche, anche a quelle fisiche per certi versi ma a dominare sono soprattutto le sue perdite di memorie e di lassi temporali. L’interpretazione di Lizzy Caplan, già ben nota al mondo della serialità per le sue performance in Masters of Sex e Party Down, restituisce alla protagonista di Misery tutte le sue più peculiari caratteristiche: la sua recitazione mette lo spettatore davanti alle balbettanti insicurezze classiche del personaggio e ai suoi ricordi più particolari. Anche Elsie Fisher sembra adatta al ruolo di Joy, specialmente per la capacità di sfaccettare il personaggio in diverse situazioni come la risata vicino al lago; l’eccitazione durante il saluto coi suoi amici; e la confidenza nei confronti della madre legata al letto. L’attaccamento tra le due sembra costruito in maniera complessa: si intravede già un tratto preciso della personalità della madre, che esita a raccontare alla figlia dell’omicidio perché crede che sia il miglior modo per tenerla al sicuro, un refrain classico della Wilkes, un modo che non sembra l’unico che Annie potrebbe essere capace di mettere in atto nel tentativo di proteggere la bambina.
Il legame tra le protagoniste, come tema centrale dell’episodio si fortifica nei minuti finali della puntata in cui Annie, costretta al letto, richiama l’attenzione della figlia per l’emergenza della sua condizione. L’arrivo a questo momento non è eccessivamente convincente a livello di scrittura in quanto la bambina scopre della dipendenza da psicofarmaci da parte della madre soltanto grazie a un topo che ingerisce le sue pillole morendo.
Il paradosso più grande è invece la situazione che allaccia la vicenda di Annie a quella di Paul Sheldon. Il protagonista di Misery non è ancora apparso in Castle Rock, probabilmente non lo farà neppure, ma per la gran parte del pubblico a conoscenza delle vicende del libro di King basato sulla sua storia sarà stato sicuramente divertente vedere Annie legata ad un letto in cerca delle pillole che avrebbero migliorato la sua condizione di prigionia, proprio lo stesso modo in cui Paul legato al letto diventava suo prigionierio nel film tratto da Misery.
Per il resto, gli elementi sembrano ben strutturati, la crescita della ragazzina prende il centro della scena, così come l’inadeguatezza di Annie nel proprio compito materno, troppo grande per lei e per le sue turbe affidate improvvisamente nelle mani della figlia, elementi che mescolandosi creano un contesto di amore tormentato di chi sembra amare genuinamente, per usare la più classica delle frasi fatte, col cuore ma non col cervello.
Manca ancora qualcosa per quello che riguarda la costruzione della storia dei due personaggi principali, ma il contesto attorno a cui ruotano le loro vicende pare ben costruito almeno in termini squisitamente tecnici e a livello attoriale. Possiamo prendere l’esempio di Alison Wright che, nel ruolo di Valerie, concede pieno respiro al personaggio dal primo momento, forse perché si ritroverà presto a non averne più. Considerando quanto visto, infatti, Valerie potrebbe essere uno dei primi interpreti a lasciare la compagnia.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Quanto presentato finora mette Castle Rock nella condizione di poter creare quantomeno un buon prodotto. Lo show si presenta a tratti anche in maniera divertente e pare essere pieno di risorse, un po’ indietro per quanto riguarda gli espedienti di scrittura ma comunque al passo e degno del proprio background. Tutto quello che gira intorno al lago, un luogo fondamentale in tutti i racconti di King, merita di essere preso in considerazione.
New Jerusalem 2×02 | ND milioni – ND rating |
Ties That Bind 2×03 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.