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Si sta arrivando a grandi passi verso la metà della stagione e Messiah, finora, continua a non voler scoprire tutte le sue carte. È una scelta che ha il suo perché, ovviamente, ma può creare dissapori nel pubblico (pagante) che, dopo 4 episodi, comincia a reclamare qualche informazione in più. Dello show di Petroni al momento non si sa ancora moltissimo e della figura di Al-Masih ancora meno, ovvero: dietro tutto il misticismo e alcuni “miracoli” che sembrano creati un po’ ad-hoc (il bambino colpito dal proiettile e “guarito” in “Tremor“) e un po’ a culo (la chiesa salvata dall’uragano nella scorsa “The Finger Of God“) si nasconde in realtà qualcos’altro che sembra essere ben più spiegabile. Ed è qui, nel dubbio tra fede e scienza indagine investigativa, che la serie sguazza.
Se le tempistiche di viaggio tra Israele e New Mexico possono essere considerate, con tutto il diritto, molto borderline (viste le ore di volo), allora l’idea di un fantomatico teletrasporto (e di conseguenza di un potere divino) può essere serenamente contemplata. Almeno fino alla scoperta del volo privato.
“Trial”, come da titolo, mette in mostra il processo per legittimare la permanenza su suolo americano di Al-Mssih, un processo che, vista l’importanza mediatica, non si svolge solo in aula ma anche, se non solo, fuori. Le pressioni esterne della CIA sono ovvie, tuttavia è il risultato che sorprende, se si vuole anche in positivo visto che mostra un esito alquanto diverso da quanto in genere avviene in realtà.
Se le tempistiche di viaggio tra Israele e New Mexico possono essere considerate, con tutto il diritto, molto borderline (viste le ore di volo), allora l’idea di un fantomatico teletrasporto (e di conseguenza di un potere divino) può essere serenamente contemplata. Almeno fino alla scoperta del volo privato.
“Trial”, come da titolo, mette in mostra il processo per legittimare la permanenza su suolo americano di Al-Mssih, un processo che, vista l’importanza mediatica, non si svolge solo in aula ma anche, se non solo, fuori. Le pressioni esterne della CIA sono ovvie, tuttavia è il risultato che sorprende, se si vuole anche in positivo visto che mostra un esito alquanto diverso da quanto in genere avviene in realtà.
Al-Masih: “I’d like to say something: no one decides where they were born. Our birthplace was decided by fate. You were born here I was born there. What divides us? A border is an idea decided by the lucky. Today you sit in the seat of the fortunate. Just remember what put you there. Fate. What is fate but the hand of God?“
Questo breve monologo parla abbastanza da solo ed esprime l’ideologia dietro lo stile di vita molto misterioso, ma piuttosto pacifico del presunto Messia: è tutta una questione di destino perché, attraverso il destino si manifesta la volontà divina. Che la si pensi allo stesso modo o che la si reputi completamente errata, rimane comunque uno di quei concetti che non possono essere verificati, ma che sono anche altamente interessanti da discutere.
Il pregio della serie di Michael Petroni continua infatti ad essere questo costante ondeggiare tra momenti in cui si cominciano ad avere delle certezze (vuoi nei confronti del Messia, vuoi dal punto di vista investigativo) ad altri in cui queste certezze, faticosamente acquisite, si sgretolano sotto il peso di una nuova prospettiva. Il confronto tra Al-Masih ed Eva Geller è un ottimo esempio perché parte in un modo (parlando di tutte le persone guidate al confine e poi abbandonate lì) ma finisce in un altro (Al-Masih sembra conoscere il nome della Geller senza una spiegazione logica “Eva it’s okay. It’s okay to cry” e questo pone tutto su un piano più mistico), seguito poi da un altro twist (il braccialetto col nome) che riporta la prospettiva dello spettatore, e della Geller, in uno stallo voluto.
Resta quindi a ciascuna persona, sia essa un character o un mero spettatore, provare a prendere una parte e capire dove stia la verità. Ed è una possibilità che viene concessa solo dalle serie che hanno una scrittura pensata e decorosa, cosa che sembra appartenere anche a Messiah. Fortunatamente.
Il pregio della serie di Michael Petroni continua infatti ad essere questo costante ondeggiare tra momenti in cui si cominciano ad avere delle certezze (vuoi nei confronti del Messia, vuoi dal punto di vista investigativo) ad altri in cui queste certezze, faticosamente acquisite, si sgretolano sotto il peso di una nuova prospettiva. Il confronto tra Al-Masih ed Eva Geller è un ottimo esempio perché parte in un modo (parlando di tutte le persone guidate al confine e poi abbandonate lì) ma finisce in un altro (Al-Masih sembra conoscere il nome della Geller senza una spiegazione logica “Eva it’s okay. It’s okay to cry” e questo pone tutto su un piano più mistico), seguito poi da un altro twist (il braccialetto col nome) che riporta la prospettiva dello spettatore, e della Geller, in uno stallo voluto.
Resta quindi a ciascuna persona, sia essa un character o un mero spettatore, provare a prendere una parte e capire dove stia la verità. Ed è una possibilità che viene concessa solo dalle serie che hanno una scrittura pensata e decorosa, cosa che sembra appartenere anche a Messiah. Fortunatamente.
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“Trial” è un buonissimo episodio, non esente da difetti ma quanto meno fruibile a tutti e scorrevole in tutti i suoi 49 minuti. E si mantiene pure la voglia di continuare il binge-watching…
The Finger Of God 1×03 | ND milioni – ND rating |
Trial 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.