Better Call Saul 2×05 – RebeccaTEMPO DI LETTURA 4 min

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Giunti al consueto giro di boa, Better Call Saul rassicura i fans con un prevedibile quanto meritato rinnovo per una terza stagione, composta dai canonici dieci episodi a cui la serie ci ha abituati. Rinnovo che giunge in concomitanza con uno degli episodi più belli realizzati finora. Un giudizio, quest’ultimo, che non va necessariamente ricondotto all’apparizione di Hector Salamanca, la quale, invece, diventa la proverbiale ciliegina sulla torta al termine di quarantacinque minuti impeccabili sotto ogni punto di vista.
“Rebecca” non è un episodio strutturato per portare avanti il canovaccio narrativo fino ad ora magistralmente ordito da Gilligan e colleghi, bensì racchiude in sé un minuzioso lavoro di scrittura operato non solo sulla storia, conferendole così ulteriore spessore narrativo, ma anche sui personaggi, ai quali viene attribuita, puntata dopo puntata, maggiore personalità e tridimensionalità.
La forza di Better Call Saul, il suo fascino, emergono con estremo vigore fin dalle prime battute dell’episodio. Prendiamo, non a caso, i dieci minuti che precedono la sigla: ciò che caratterizza la messa in scena del breve flashback ambientato nell’oscura casa di Chuck è certamente l’azione tecnico-linguistica portata dalla performance registica, mirata allo svelamento della presenza di qualcuno che orienta i meccanismi di percezione visiva ed emotiva legati al mondo della diegesi. Questo breve prologo, che potrebbe tranquillamente essere estrapolato dalla narrazione per essere usufruito in maniera autonoma come fosse un cortometraggio a sé stante, non fa altro che “svelare” la mano dell’autore nascosta dietro al capolavoro. Gilligan e Gould si confermano un maestro nella gestione della sua creatura, ormai completamente avulsa dall’opera di riferimento, se non per quanto concerne omaggi, cammei, strizzate d’occhio e doveroso autocitazionismo orientato principalmente allo scatenamento di portentose erezioni un vero e proprio rapimento mistico da parte di fanboy e cultori dell’epopea di Heisenberg.
Il segmento narrativo d’apertura, inizialmente mascherato da semplice prequel di quanto succederà dopo la sigla, svela ben presto il suo reale significato. L’imbarazzo e il disagio di Chuck nei confronti del fratello, amplificati dall’atmosfera asettica dell’appena illuminata sala da pranzo, sembrano all’inizio essere frutto unicamente di una presunta gelosia nei confronti della dialettica genuina e della naturale predisposizione ai rapporti sociali dimostrata da Jimmy nel corso della cena. Il suo magnetismo riesce a conquistare perfino Rebecca, molto divertita dalle freddure sugli avvocati, a tal punto da arrivare anch’egli a prendersi gioco della categoria di cui fa parte suo marito, visibilmente infastidito dall’umorismo spicciolo del fratello. Al fattore gelosia, confermato dalla reazione al tentativo fallito di suscitare una risata spontanea da parte di Chuck, si aggiungerà la reale motivazione nascosta dietro il suo comportamento nei confronti di Jimmy, confidata a Kim nel momento più “umano” messo in scena dal personaggio interpretato da Michael McKean e legata alla scomparsa del padre.
Proprio Kim rappresenta l’altro punto di riferimento della puntata, orientata sulle due figure più vicine a Jimmy più che sui due reali protagonisti della serie, in questo caso relegati a personaggi di contorno. Se Chuck incarna, per certi versi, la nemesi del fratello, Kim dovrebbe invece rappresentarne la “cura”, l’esempio da seguire per affrontare la carriera di avvocato senza utilizzare scorciatoie.
Eppure, nonostante l’importante acquisizione ottenuta seguendo le regole, la ragazza finirà per restare relegata al suo lavoro punitivo, mentre Jimmy, continuando ad agire secondo la sua concezione di vita per cui il fine giustifica i mezzi, si ritroverà a non subire conseguenze, mantenendo un’occupazione che pare non importargli quanto dovrebbe. Un elemento, quest’ultimo, che con tutte le probabilità finirà per essere alla base del progressivo processo di metamorfosi che trasformerà Jimmy McGill in Saul Goodman.
I minuti finali dell’episodio invece sono tutti per Mike. La sequenza finale, arricchita dall’apparizione di Hector Salamanca – accolta dal suono di un campanello identico a quello che accompagnerà i suoi ultimi istanti di vita in Breaking Bad – esprime alla perfezione la concezione autoreferenziale sopracitata, volta appunto alla costruzione del se stesso registico in concomitanza del processo creativo, tanto da ricondurre la figura di Vince Gilligan non solo al suo talento autoriale, ma anche ad un vero e proprio brand, un “marchio di fabbrica”, oramai sinonimo di indubbia qualità.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Sequenza d’apertura
  • Eleganza nella narrazione
  • Jimmy, Chuck e Kim: tre figure narrativamente simbiotiche
  • L’entrata in scena di Hector Salamanca
  • In fin dei conti, ogni singolo minuto dell’episodio
  • Nulla

 

Arrivata a metà del suo percorso stagionale, Better Call Saul mette in scena un episodio magistrale, emblema dell’intelligenza autoriale maturata da Gilligan per quanto concerne i meccanismi che stanno dietro alla narrazione. La comparsa di Hector Salamanca funge solo da catalizzatore emotivo, valorizzando l’ottimo lavoro fatto nei primi quaranta minuti della puntata e ricordando a noi spettatori il perché stiamo guardando questa serie e come il successo di Breaking Bad non sia stato un isolato colpo di fortuna mediatico, ma bensì il frutto di una matura competenza registica e autoriale.

 

Gloves Off 2×04 2.19 milioni – 0.9 rating
Rebecca 2×05 1.99 milioni – 0.8 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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