Quando si va a commentare o nel nostro caso, più tecnicamente, recensire un episodio di Game of Thrones, vanno messi in conto, volenti o nolenti, tutti quegli aspetti extra-scenici che ormai circondano il fenomeno. Il fatto che ci si trovi difronte ad una delle serie più seguite, discusse e, conseguenzialmente, più “social” del panorama televisivo odierno (a tal livello si può ritrovare solo The Walking Dead della AMC), per forza di cose comporta innumerevoli premesse e complicati approcci. Se una serie diventa tanto seguita, infatti, forse addirittura come mai prima d’ora, da un pubblico tanto eterogeneo, fatto di fedeli lettori della saga cartacea, storici appassionati che ne rimarcano la “scoperta” fin dal pilot e spettatori dell’ultima ora, le stesse direttive di una produzione o il lavoro degli autori non possono che adeguarsi di conseguenza. I confini diventano, così, sottilissimi: come accontentare l’orda dei “supporters” senza scadere nel fanservice (Tyrion che “gigioneggia”), e, dalla parte del “critico”, in che modo lo si può riconoscere? Oppure, quando il cosiddetto “filler”, al quale così frettolosamente si usa ormai urlare, è davvero tale e palese (l’amplesso di Sam e Gilly), o è invece solo una frustrazione del fruitore impaziente? Insomma, quando la “massa” può considerarsi tanto imponente da influenzare non solo lo sviluppo di una serie, ma gli stessi contenuti delle opinioni su di essa?
Noi di Recenserie ci prefiggiamo sempre di essere il più obiettivi possibile, eppure, risulta difficile discostarsi dalla personale soggettività, specialmente se caricata di un bagaglio tanto pesante quanto può essere quello che si porta dietro lo show tratto dai romanzi di George R.R. Martin.
Impavidi, vogliamo comunque provare, perciò partiamo inizialmente da una precisa constatazione: la “lentezza”, o, perlomeno, l’assenza di colpi di scena giudicati degni o di rilevanti avanzamenti delle storyline, lamentati in questa prima parte di stagione, in realtà, per quanto potenzialmente giusti, dimostra una certa dimenticanza di quelli che sono gli stilemi della serie. Game of Thrones, dopotutto, ha da sempre fatto della dilazione della trama la sua caratteristica principale, con il graduale quanto centellinato sviluppo dei protagonisti e quello ragionato e altrettanto flemmatico delle varie sottotrame, sfociando però in un ripido e sconvolgente crescendo negli episodi finali (che coincidono, Oberyn “you raped my sister” Martell a parte, con l’ormai celebre “Episodio 9”). Lo show della HBO, in sintesi, tanto “veloce” in fondo non lo è mai stato, anche se, complice il materiale letterario di partenza, il privilegiare specifici personaggi “mainstream”, l’incartamento in qualche storyline inventata un po’ buttata lì (vedi Dorne), va ammesso che una certa rilassatezza resta comunque innegabile.
“The Gift” vale così quasi come sunto di quello che si è cercato di dire fino ad ora. Presentando coraggiosamente (quasi) l’intera totalità delle storyline di questa stagione (la sola Arya a parte sigh!), l’episodio conferma in pieno la prassi oramai ben rodata dal team creativo dell’accoppiata Benioff & Weisse, caratterizzatasi, quindi, dallo strizzare l’occhio ai lettori e appassionati più esigenti, ammiccare con quello rimasto a quelli che vogliono vedere sesso, violenza e rock’n roll, dosando il tutto in un ragionato, graduale (come detto, spesso anche troppo) e vorticoso climax ascendente.
Piuttosto, geometricamente l’episodio si può sezionare in tre archi narrativi, quasi del tutto indipendenti l’uno dall’altro, realizzando in toto quell’atmosfera di storia “globale” di un intero universo che libri e serie televisiva, almeno in questo, concordano nel voler raccontare. A Nord, si colloca così la prima parte la quale, a sua volta, si divide tra le location del Castello Nero dei Guardiani della Notte e Grande Inverno occupato dai Bolton, legati però da tradizioni (la lotta ai Bruti), parentele (Sansa-Jon, con tanto di riferimento diretto quanto emozionante da parte di Ramsay all’ignara sorella Stark) ed ideali (lo Stannis salvatore dei Guardiani, prossimo avversario della casata “usurpatrice”).
Al Castello Nero si consuma l’ennesima vittima, Aemon Targaryen, stavolta in maniera del tutto atipica (di vecchiaia), figura tra le più tragiche dell’universo narrativo, come gli ultimi frettolosi riferimenti a Daenerys hanno cercato di ricordare. Oltre al fatto che il suo essere, dopo la morte nella stagione passata di Mormont, ultimo “positivo” esponente della vecchia guardia per i due protagonisti, Jon e Sam. Tali considerazioni rendono la scena della sua dipartita e del successivo funerale l’apice, per questo forse troppo precoce, di questa sottotrama. L’altrettanto ennesima partenza di Jon, le gesta amorose ed eroiche del “Distruttore” Tarly, nonché gli insani e terribili “rituali” di Melisandre, rischiano di annacquare una storyline, quella del Nord, che proprio in questa prima parte di stagione stava trovando (dopo una colpevole e duratura trascuratezza) la sua degna dimensione.
Discorso diverso per la parentesi a Grande Inverno, che, dopo le (esagerate) polemiche per la violenza dell’episodio scorso, continua a rappresentare la mossa più azzeccata degli sceneggiatori, in termini di cambiamenti dal materiale di base di quest’anno. Tanto lo sconvolgente “tradimento” di Theon/Reek nei confronti della sorellastra, che dimostra come sia profonda la sua trasformazione (a discapito di chi lo voleva “ribelle” la settimana trascorsa), quanto i tentativi e le stoccate di Sansa Stark, lontana anni luce (malgrado tutto) dalla vittima inerme vista nei suoi primi anni passati alla Corte di Approdo del Re, sono gli esempi più efficaci e convincenti della magistrale evoluzione (in positivo e in negativo) dei personaggi.
A far da ponte tra Nord e Sud, in primis, c’è la breve tappa a Dorne, che ancora soffre il suo essere in perenne fase di “presentazione”. Dopo l’inverosimile intrusione di Jaime e Bronn, adesso tocca assistere al quasi avvelenamento dell’ultimo per mano di una delle Serpi delle Sabbie, della quale viene approfondito così il background, in modo di sicuro più gradito stavolta, almeno per il pubblico maschile. Legate alla missione di Jaime, almeno a parole, le preoccupazioni e gli inganni di “mamma” Cersei che regala, a proposito, un momento comunque piuttosto intenso, con Tommen, che vuole dire tanto sulla sua caratterizzazione e che difficilmente viene fuori nei suoi sotterfugi di potere.
Sotterfugi che la mandano invece alla rovina, ed è per questo che ad Approdo del Re e alla Baia degli Schiavisti, ultimo arco narrativo, avvengono le vere e decisive svolte che si distinguono tra l’altro per l’arguto gioco del titolo con il doppio “gift” delle trame. Plot twist che colpiscono entrambi, poi, per il modo in cui arrivano. Nella Capitale, a tenere banco sono, senza dubbio, l’incontro/scontro tra due mostri sacri come Jonathan Pryce, che interpreta l’Alto Passero, trasudando carisma da tutti i pori, e Lena Headey, a cui ormai si è più abituati. Nel caso di Meereen, se il preambolo della “vendita” della strana coppia Tyrion-Jorah presenta qualche difetto, di gran lunga emozionante e coinvolgente risulta la battaglia nella Fossa e il coming out del Folletto agli occhi della Regina. Era ora, praticamente per entrambi i colpi di scena.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Unbowed, Unbent, Unbroken 5×06 | 6.24 milioni – 3.1 rating |
The Gift 5×07 | 5.40 milioni – 2.5 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.