UNA PREMESSA
Quando utilizziamo il termine fan-service, spesso lo facciamo con un’accezione negativa. Il nostro approccio alle serie TV è talmente illuminista e verista che disprezziamo qualsiasi sbocco Romantico (voluta la maiuscola), ignoriamo e talvolta disdegniamo il proverbiale brivido lungo la schiena, come fosse tabù, peccato, tentazione. Ma in teoria facciamo anche bene. La scelta di seguire un vero e proprio romanzo diviso in capitoli è un investimento di tempo nella nostra effimera vita, che almeno sia scritto bene! Che almeno si sappia quello che si sta facendo, senza indorarci la pillola, toccando il profondo dei nostri sentimenti.
Game Of Thrones chiude questa sesta stagione e si prepara a vivere le battute conclusive della sua gloriosa carriera, almeno questa è la sensazione e le voci che trapelano. Ma Game Of Thrones chiude anche un lunghissimo capitolo caratterizzato da trame in lentissimo divenire, da frustrazioni non da poco, da shock improvvisi e – attenzione attenzione – da 0 fan service. Ovvio, c’è stata qua e là la battutina di Tyrion, il sorrisetto di Cersei, la cavalcata sul drago di turno: piccoli fan-service sparpagliati qua e là (presenti anche in questo episodio, nessuno dice di no) utili unicamente a nutrire e rimpolpare il marchio GoT, impresso nell’immaginario popolare. Noi qui parliamo dei fan-service grossi, delle svolte di trama pilotate dal desiderio unico di soddisfare lo stomaco del pubblico. Anzi, forse abbiamo proprio avuto a che fare con una serie che ha fatto “dell’anti fan-service” la sua ragione artistica (la 1×09 ne è il manifesto). Eppure, la percezione per molti fan è stata diversa in questo sesto anno.
Si sta forse sposando la tesi che questa sesta stagione sia piena di fan-service (di quelli grossi), ergo la si sta condannando? No. Si invita, piuttosto, tutti quanti ad analizzare un elemento della frase soprastante: “sesta stagione”. Siamo alla fine della sesta stagione. Forse la misura era anche colma per smuovere definitivamente le pedine.
Questa intera recensione considererà l’assassinio di Lord Frey, la regata di Daenerys, il boom iniziale, l’acclamazione di Jon Snow a King Of The North, il suicidio di Tommen, l’ascesa al trono di Cersei (eh sì, anche questa cosa potrebbe soddisfare lo spettatore, in forma perversa e contorta), Samwell che cita Belle in “La Bella E La Bestia”, la scoperta di Bran, come inevitabili conseguenze di 6 stagioni che a livello di tempistiche hanno pienamente rispettato gli standard della HBO. La valutazione finale è una conseguenza del rifiuto di considerare tutto ciò come fan-service, oltre che dal grado di soddisfazione estetica derivata dal risultato scenico che rende Game Of Thrones una serie con pochi eguali.
Chiunque non sia legittimamente d’accordo per quanto riguarda la lettura sui fan-service, potrà girare totalmente la valutazione. Da adesso in poi la recensione punterà all’analisi delle porzioni di episodio, estraniandosi dal discorso sopracitato.
L’ACQUA FA MALE, IL VINO FA CANTARE, OVVERO: COME IMPARAI A NON PREOCCUPARMI E AD AMARE LA BOMBA
L’intera sequenza iniziale di “The Winds Of Winter” sembra voler battere i pugni sul tavolo e far valere la supremazia televisiva che GoT sta subendo, rispetto alla sua natura letteraria. In passato, alcuni fattori della serie (la potenza dei colpi di scena, la recitazione degli ottimi attori britannici, gli intrighi, la regia e le importanti scenografie) non rendevano necessari virtuosismi televisivi tipici di serie completamente diverse.
L’apertura della 6×10 è un continuo susseguirsi di messaggi trasmessi dalle inquadrature. Nei volti degli attori, nelle musiche (anche se la parte pianistica è forse troppo “out of character” per una serie come GoT), nella successione delle prime immagini è già scritto tutto ciò che avrà modo di accadere di lì a poco. La freddezza e la calma di Cersei, l’insicurezza crepuscolare di Tommen, la spavalderia dell’High Sparrow: ogni immagine iniziale rimanda all’immediato futuro, soddisfacendo così anche un’antica visione di Bran sull’utilizzo dell’Alto Fuoco.
Game Of Thrones ricorre ad un alto grado di appagamento estetico. Dal grottesco pseudo-cesaricidio nei confronti di Pycelle, allo straziante (quanto soddisfacente) progredire di Lancel nella “cantina”, al momento colmo di claustrofobia interno al tempio. Spesso la serie ha voluto alternare la suspense di una battaglia (con un predominio dell’azione), con un processo o un qualche momento predominante all’interno di una corte (con il predominio della parola). La decima puntata sembra proprio seguire questo parallelismo, soprattutto dopo la precedente, quasi ci troviamo a tifare per Cersei. Giustizia nei suoi confronti non può essere compiuta in questo modo da personaggi più odiosi di lei.
La catena, però, si interrompe in maniera alquanto brutale. Come a voler spezzare uno schema della serie, esplode tutto. Cersei non piange più il figlio che non ha potuto reggere una situazione più grande di lui, non si fa proclamare semplicemente reggente, ma attua un vero e proprio golpe. Quasi mantenendo la coerenza, in maniera ironica e grottesca, con la predominanza femminile della stagione, ponendo soprattutto le basi per un futuro a senso unico, dove il villain dovrà essere degno di questo nome.
WINTER IS HERE
Un enorme capitolo si è chiuso, anche tralasciando il discorso dell’abbandono della base cartacea. Non si può più scherzare sulla sfiga degli Stark, ma soprattutto certi slogan vanno abbattuti. L’inverno è già arrivato, lo dice una Sansa completamente trasformata a un Jon che non viene più etichettato come bastard, mentre da un’altra parte Arya incomincia ad utilizzare la sua nuova carriera per togliersi qualche soddisfazione.
Gli status quo iniziano a cambiare. È come se si fossero poste le basi per l’inizio di una nuova serie. Il disordine degli avvenimenti nelle precedenti stagioni (se da una parte vi era un cambio, dall’altra vi era una fase di stasi, in forma alternata) porta ad un improvviso e coincidente rinnovamento nello status dei personaggi. Come se avessimo assistito ad un enorme prequel di sei stagioni.
Sempre a dimostrazione che tutto è cambiato, altri personaggi scoprono le carte. Baelish compie una delle dichiarazioni più strane di sempre e ci pone sul chi vive per l’immediato futuro. Tornando a quanto detto nella premessa, è soggettivo per ogni spettatore considerare questo improvviso cambio come un risultato, una goccia che ha fatto traboccare il vaso, o come un radicale cambio di tempistiche e di scrittura, quasi forzata. Sta di fatto che Littlefinger ci offre una delle tantissime aperture verso trame della prossima stagione.
In ogni caso, la base è solida. Gli Stark hanno (momentaneamente) posto un punto a mesi e mesi di perculate sui social network.
MIO CUGINO, MIO CUGGINO: TIME AND RELATIVE DIMENSION IN SPACE
A proposito di Stark, a proposito di aperture verso la prossima stagione: dopo qualche episodio di assenza torna Bran.
Bran Stark ha rappresentato il simbolo di novità di questa sesta stagione. È stato già detto più volte come l’occhio rivolto al passato sia stato un momento di forte rottura nei confronti del tempo lineare della serie. Il tempo sembra essere stato protagonista di questa sesta stagione, ed è proprio il tempo che questa volta decide di rendersi deus ex machina per una rivelazione particolare. Proprio poco prima di assistere con somma soddisfazione alla proclamazione di Jon a King of the north – non più uno Snow qualsiasi, bensì uno Stark – il suo vero nome rimbalza da un’altra parte.
Da applausi il risultato scenico della sovrapposizione tra il primo piano del neonato di Lyanna e lo sguardo severo di Kit Harington (dite quello che volete sulle sue doti attoriali ed espressive ma probabilmente quella è la parte che è stata assegnata all’attore e la sta portando avanti in maniera sontuosa). Da decidere, invece, se è da applausi la conveniente scoperta per lo spettatore. In questo modo non si perderà, neanche in questo nuovo corso dello show, l’immagine di Jon come personaggio fuori posto, anche se sempre più in veste di protagonista. La natura sempre più televisiva e meno “romanzata” della serie ha ceduto alla tentazione di rendere trasparente un meccanismo di narrazione: i due momenti potevano essere forse dislocati in punti diversi della stagione.
Ma a proposito di tempo. Saltano agli occhi gli spostamenti sempre più rapidi di alcuni personaggi. Da Varys a Lady Olenna, fino ad Arya. Non un difetto della narrazione, vederli convenientemente nel posto giusto al momento giusto, quanto fonte di una riflessione su quello che è uno dei marchi di GoT. Il parallelismo delle varie vicende, dislocate in punti molto lontani tra loro, non è detto che risenta di una relatività esclusivamente spaziale. La mancanza di riferimenti temporali, oltre ai rapidi (ai nostri occhi) spostamenti di alcuni personaggi, ci spinge a credere che i vari eventi non avvengano in stretta contemporaneità gli uni con gli altri. E che se per una stagione intera (più o meno) abbiamo assistito al viaggio di Jaime e Brienne, non è detto che la narrazione debba indugiare sui viaggi di Varys, Arya o altri. È vero, c’è stato un grande incremento di questo “stratagemma” proprio in questo season finale. Lo si veda come una licenza poetica (che ha comunque, come detto, una sua plausibile giustificazione) utile a confermare il cambio di marcia, che piaccia o no, che porterà al vicino(?) finale di una storia tanto complessa e articolata che persino la sua base letteraria si è arenata.
Che poi, andando a stringere, tutto sto casino per raccontare un ricambio generazionale.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Sebbene sia molto complicato e lungo analizzare ogni singolo frammento di episodio, in realtà la percezione della 6×10, ma di tutta la sesta stagione in generale, si basa su un semplice dualismo: chi vede il fan-service, chi non lo vede. Nessuno ha torto, nessuno ha ragione. Considerate la valutazione finale come flessibile, come già detto, da poter rivoltare completamente qualora si voglia allontanare il piacere estatico di certe scene come fosse il male televisivo. O, più semplicemente, fan-service.
The Battle Of Bastards 6×09 | 7.6 milioni – 3.8 rating |
The Winds Of Winter 6×10 | 8.9 milioni – 4.4 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.
compimenti come al solito per l'ottima recensione,l'unica cosa su cui non sono d'accordo è sulla scena iniziale, il pianoforte come colona sonora l'ho trovato perfetto e a mio avviso ha portato un po di originalità e freschezza, per il resto sono daccordissimo
Grazie per i complimenti!
La parte pianistica è indubbiamente di rottura rispetto ai soliti schemi, secondo me però "stona" per un solo motivo. Il tipo di sonorità utilizzata ha un piglio più moderno e "pop" (quasi alla Allevi) della azzeccatissima colonna sonora solita, contraddistinta da archi a tracciare melodie "piratesche" e dal sapore medievale. Visto che in serie via cavo spesso sanno utilizzare benissimo il silenzio, per quello ho storto un po' il naso.
Ma stiamo veramente guardando il capello 🙂
si credo che qui finisca l'oggettività e inizi il gusto personale