“At last
my love has come along
my lonely days are over and life is like a song.”
Sembra un parallelismo strano eppure, a chi scrive, appena letto il titolo di questo ventitreesimo episodio, è venuta in mente At Last, una delle canzoni più note di Etta James. Con queste parole l’interprete cantava una rinascita, Grey’s Anatomy tenta lo stesso intitolando proprio così la penultima puntata di questa dodicesima stagione. In realtà però si tratta di un paradosso piuttosto ironico, perché quello che mette in scena “At Last” è un affresco di “infezione” – quella di cui parla la dottoressa Grey all’inizio dell’episodio – e cambiamento. Mentre Etta James si strugge e strugge lo spettatore con la sua voce calda, Grey’s Anatomy tormenta gli spettatori e i suoi personaggi come il più terribile serial killer, spariglia le carte e le rimette in ordine senza criterio alcuno.
Continuano a dirsi che “Va tutto bene”, ma in realtà nel mondo di Meredith Grey nulla è a posto; tutti i personaggi sono messi a confronto con i propri fantasmi, costretti a prendere una posizione, ora, adesso, non domani, come se non ci fosse più tempo. La sensazione è quella di una macchina senza conducente che non sa né dove sta andando né il motivo per cui sta continuando la corsa.
Si parla dunque di infezioni, da una parte quella che colpisce noi a cui viene apparecchiata una tavola fintamente imbandita che in realtà nasconde carcasse di personaggi-zombie con più niente da raccontare, dall’altra quella dei personaggi che dicono e fanno tutto e il contrario di tutto.
Il corpo di Meredith è “in setticemia”, la sta covando dentro da molto tempo e continua a mangiarla, lentamente ma inesorabilmente. Crede di esserne guarita, invece è lì, pronta a scattare. Lo spiega lei stessa: già negli scorsi episodi il passato (la coperta di Derek) aveva bussato alla sua porta, era comunque rimasto lì (il post-it sul letto), ricordandole il suo grande amore, qui ancora una volta i ricordi, come un’infezione, la tormentano logorandola (il camper del Dottor Stranamore).
La vendita del camper di Derek – da parte di Owen – luogo in cui tutto è nato e da cui poi tutto ha preso il volo ha due significati: da una parte ennesima testimonianza di un’era finita, dall’altra questione di scrittura e di scelta narrativa: la continua riproposizione del già visto – Owen vende il camper per andare a convivere con Amelia come Derek aveva fatto con Mer.
Il piano del racconto e quello spettatoriale si mescolano ancora una volta: Meredith urla addosso alla sorella Shepherd tutto il fastidio e la rabbia per il suo comportamento (la donna vuole rubare la vita del fratello, il lavoro, la sicurezza, di Cristina Yang l’ex fidanzato), noi proviamo lo stesso avvilimento, lo stesso fastidio per una stagione di cui non si sentiva la necessità.
“Ohh, yeah, yeah
At last,
the skies above are blue
My heart was wrapped up in clover
the night I looked at you.”
Etta James canta cieli blu, Grey’s Anatomy invece mostra storie infelici, drammi sentimentali, morti e incidenti aerei, narra un male che con molta probabilità non porterà mai a tali cieli. Così Callie lascia definitivamente (o no) Penny, Alex continua in una triste coazione a ripetere a chiedere (per l’ultima volta?) in sposa Jo, Stephanie ancora una volta resta scottata e ferita, Owen e Amelia sembrano voler far le cose seriamente sposandosi. Soli, disperati e profondamente arrabbiati, ma il pubblico ormai non ha più compassione per loro, forse ne ha per se stesso, intrappolato in questo supplizio di Tantalo.
E’ un’infezione dunque anche quella che vive il pubblico che, come in quelle storie d’amore malate, continua a guardare uno show ormai involuto in se stesso, rattrappito e mollemente adagiato sul nulla e sull’oblio. E’ un nulla che straccia la storia stessa, fatta sempre dalle medesime cose (amplessi fugaci, liti fastidiose, ripicche inutili e interventi sempre uguali), che manca di coerenza e accelera forzatamente storie già prive di senso – fino ad ora invece aveva riscaldato un pasto che ripeteva continuamente i soliti eventi.
“I found a dream
that I could speak to
A dream that I
can call my own
I found a thrill
to press my cheek to
A thrill that I never known.”
La puntata termina con un coupe de theatre che sorprende poco in realtà – da tempo era nell’aria l’avvicinamento tra Meredith e Riggs – e che metterà in atto molte altre dinamiche di scarsa importanza (solo per citarne alcune, quella tra Meredith e Maggie e quella tra Stephanie e Amelia). Non si tratta di un sogno come nella canzone, bensì di una ripicca (verso Amelia) che fa emergere nuovamente il carattere fortemente immaturo di questi personaggi – lo stesso carattere che hanno la sorella Sheperd o anche Stephanie, rimasta di nuovo sola a causa della paura di soffrire.
“You smile
Ooh and then the spell was cast
And here we in heaven
for you are mine
at last.”
Non si tratta di amore, non ci sono scelte fatte con coscienza, ma solo una storia cucita e ricucita per accontentare un po’ tutti. Il finale di “At Last” lascia l’amaro in bocca perché la sensazione è che dalle penne di Grey’s Anatomy sarebbe potuta uscire qualunque altra balzana possibilità. È un paradosso dunque ripensare alla canzone di Etta James in cui c’è dolore e coraggio, amore e rinascita, coscienza e autodeterminazione nella scelta, mentre qui tutto questo manca.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Mama Tried 12×22 | 7.66 milioni – 2.0 rating |
At Last 12×23 | 7.77 milioni – 2.1 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.