Le premesse interessanti e accattivanti, che una serie presenta allo spettatore, possono rappresentare un’arma a doppio taglio per la serie in questione. La seconda stagione di Hand Of God sta viaggiando pericolosamente sul filo del rasoio, rischiando per molti versi di deludere il pubblico.
La prima stagione aveva catturato l’attenzione di RecenSerie per due aspetti: il misticismo dilagante, punto di rottura di una normalità di contorno; l’ambiguità morale dei personaggi che, chi prima, chi dopo, si spingevano in azioni deprecabili. Ovvio a questo punto come, catturato l’interesse dello spettatore con questi elementi, questo si aspetterà di vederli sviluppati e approfonditi. A maggior ragione nella seconda stagione la quale, arrivata ben due anni dopo, avrebbe dovuto entrare nel vivo di molte situazioni rimaste in sospeso. Il giudizio di ogni singolo episodio di questo nuovo ciclo, quindi, sarà inevitabilmente condizionato letteralmente da una maggioranza di situazioni che il fan è interessato a vedere, contro la maggioranza di situazioni che lo stesso non vuole vedere. Inutile puntualizzare come nella prima categoria rientrino le diverse azioni poco lecite di Keith o le visioni mistiche di Pernell, nella seconda tutti quegli approfondimenti e introspezioni sulla (grande) quantità di personaggi di contorno, sugli intrighi politici di Bobo, sulla nuova vita aziendale di Crystal.
In questo doppio binario, “Not Writing A Love Letter” presenta una maggioranza rassicurante di scene che rispettano le aspettative dello spettatore, ponendosi sulla scia di quelle famose premesse e promesse con cui Hand Of God si era presentata.
La 2×04 intanto lancia una grandissima rassicurazione allo spettatore, se ce ne fosse mai bisogno: PJ è morto, ok, però il delirio mistico di Pernell continua. Non che nelle precedenti puntate non ci siano stati momenti visionari, però questo quarto episodio dimostra come si voglia realmente investire in una sperimentazione anche scenica nel presentare momenti totalmente metafisici. Lo stato di quasi-ipnosi cui è sottoposto il protagonista potrebbe non essere totalmente originale (i sogni di Dale Cooper in Twin Peaks e di Tony Soprano in The Sopranos regnano ancora incontrastati). Ciò non toglie che la resa scenica è assolutamente di livello, a cominciare dalla scelta del cambio di luci, a contrasto con i colori sbiaditi che caratterizzano la normalità della serie. Il finale, quando Pernell è guidato dal navigatore a salvare Crystal, sembra invece riportare lo spettatore al tipo di dialogo sovrannaturale della prima stagione, giustificando il determinismo delle svolte narrative, proprio con il soggetto della serie stessa, ovvero la guida pseudo-divina che muove le azioni del protagonista.
Il reverendo Paul (deve essere un nome comune per gli uomini religiosi) si trova in un confine tra le sequenze più o meno gradite al pubblico. Essendo così esterno alla storyline principale, facilmente potrebbe essere soggetto a divagazioni tutt’altro che interessanti. Ciò su cui sarebbe necessario puntare, per rendere interessante la sua parentesi narrativa (che da qualche parte porterà), è proprio quell’ambiguità morale che lo caratterizza sin dal primissimo episodio. Il furto così gratuito dell’anello della signora morta, per ristabilire la sua unione con Alicia, sembra legittimare il largo minutaggio riservatogli. Peccato per l’interruzione della gravidanza del personaggio di Elizabeth McLaughlin, se non altro per le larghe porzioni di episodi riservate a questa vicenda nelle prime tre tappe della seconda stagione. Porzioni a questo punto totalmente classificabili nella categoria di tempo riservato a momenti non esattamente corrispondenti a ciò che può catturare l’interesse del fan.
Come detto prima, anche della nuova vita lavorativa di Crystal potrebbe interessare ben poco, soprattutto per la sottotrama a sfondo aziendale che si viene a creare. A confermare il trend positivo di questo episodio, tuttavia, vi è la deriva che prende proprio la sottotrama, questa volta incentrata sulla vicenda del software e, ancora di più, sugli strascichi dell’omicidio di Anne Wu (ma Doc Woo, vuole essere un richiamo fonetico?).
Degno di nota poi lo spazio riservato a Keith, personaggio con moltissime potenzialità forse poco sfruttate. Se da un lato potrebbe essere visto come eccessivo il minutaggio riservato alla pantomima dell’acquisto della casa (la critica verso la gestione del minutaggio serve da riflessione per capire quanto sia giustificata o meno la lentezza narrativa nei vari episodi), dall’altro va a tridimensionalizzare questo personaggio, elevandolo dal ruolo di invasato braccio armato di Pernell. Ruolo cui ritorna prepotentemente nel cliffhanger finale, quando si costituisce per salvare il protagonista, confessando un crimine da lui effettivamente perpetrato. Se, però, come detto nella recensione del primo episodio, la principale trama di questa seconda stagione sembra essere quella del processo, verrebbe da chiedersi quanto questa verrà offuscata e attenuata, rendendo ancora più dispersive le puntate nell’immediato futuro. Non essendo quella del processo, tuttavia, un plot così accattivante se accostato all’aspetto mistico della serie, lo spettatore ottimista potrebbe anche vedere la mossa di Keith come un’utile accantonamento del processo, in favore di storyline di peso specifico maggiore.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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You Can’t Go Back 2×03 | ND milioni – ND rating |
Not Writing A Love Letter 2×04 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.