Siamo ormai agli sgoccioli di questa sesta stagione e Homeland, con tutta la calma del mondo, decide finalmente di entrare nel vivo della storia. Non è il caso di “Alt.Truth”, ennesima puntata preparatoria, costruita in maniera tale da risvegliare i sensi dello spettatore solo negli ultimi minuti; l’onere spetta invece a “Sock Puppets”, episodio che preannuncia la tanto attesa resa dei conti finale con il sempre viscido Dar Adal, confermando, inoltre, la regola secondo la quale Homeland riesce a toccare i picchi qualitativi più elevati soltanto quando viene estratta una pistola.
La forza della serie, direte voi, non risiede certo nella componente action. Il vero elemento di pregio è senza dubbio l’intricato ordito narrativo intessuto attorno a geopolitica e complotti internazionali. Tutti d’accordo. O quasi. La vera forza del telefilm è da sempre rappresentata dal giusto mix di queste due componenti, accuratamente dosate nelle prime stagioni del telefilm, finendo poi con la supremazia della seconda a discapito della prima soprattutto a partire dalla precedente annata.
Il primo di questi due episodi si presta benissimo per mostrare il difetto appena menzionato. Molto introspettiva e focalizzata sul consueto riavvicinamento stagionale che, ciclicamente, vede Saul e Carrie collaborare per sconfiggere la minaccia di stagione, “Alt.Truth” non può certo essere annoverato tra gli episodi migliori di questa stagione. A salvarlo, in parte, contribuisce la sequenza finale, adrenalinica al punto giusto anche se dagli esiti abbastanza prevedibili. Sequenza che inoltre ci porta inevitabilmente a riflettere sul personaggio di Quinn, croce e delizia di una stagione che lo ha visto, di nuovo, stuprato dal punto di vista della caratterizzazione e privato della dignità che spetterebbe al suo character in virtù del ruolo centrale da lui occupato nelle precedenti stagioni, ma che, al contempo, rappresenta l’unica via d’uscita dalla situazione di scarso coinvolgimento spettatoriale che quest’anno la serie ha mostrato fin dalla première. Constatazione abbastanza triste se pensiamo che il personaggio di Rupert Friend avrebbe già dovuto esaurire il suo naturale ciclo all’interno della serie e invece si ritrova a dover salvare la situazione vestendo i panni del Rambo invalido di turno.
Mettendo da parte per un attimo l’estrema facilità con la quale sia possibile trafugare un vero e proprio arsenale bellico utilizzando una bottiglietta di Evian e un tubo di gomma, il segmento narrativo dedicato a Quinn, tra alti e bassi, culmina, in “Sock Puppets”, con il faccia a faccia più atteso dal pubblico. Anche stavolta Dar Adal ne esce illeso, anche se un po’ ammaccato, ma la telefonata intercettata nei secondi finali conferma ogni potenziale dubbio sul coinvolgimento del direttore operativo della CIA, evento che noi tutti ci auguriamo possa portare finalmente alla fine della sua carriera e alle innumerevoli manipolazioni politiche da lui perpetrate nel corso di questi anni.
La presidente Keane si ritrova al centro di due fuochi, mostrando ben poco polso rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un presidente eletto e credendo ad ogni storia propinatagli senza la benché minima esitazione. Nulla di cui stupirsi comunque. Il personaggio non ha mai seriamente imposto la sua presenza scenica in virtù del ruolo di spicco assegnatole, configurandosi sempre e comunque come semplice comprimario. In “Sock Puppets” il suo scopo si risolve principalmente nel permettere ai personaggi principali, in particolare lo storico triangolo Carrie – Saul – Dar Adal, di arrivare ad un confronto da lungo tempo rimandato, confronto che auspicabilmente porterà al crollo del fragile castello di carte costruito dal viscido pelato della CIA.
Questo nono episodio si rivela anche un vero e proprio tuffo nel passato, reso possibile grazie alla sequenza d’apertura girata a camera fissa durante la quale Carrie ricorda il padre di sua figlia senza mai nominare apertamente il suo nome. Prima che la sesta stagione prendesse il via, sul web giravano diversi articoli che anticipavano una svolta di qualche genere sulla “questione Brody” e sul problema dell’assenza paterna. Il ritorno negli Stati Uniti ha permesso a Carrie di vivere a stretto contatto con sua figlia, mettendo in primo piano il suo ruolo di madre e consentendo agli autori di sollevare nuovamente la questione relativa alla sua storica inadeguatezza a tal proposito. Sono lontani i tempi in cui, per lavoro, Carrie non si sarebbe fatta problemi a mettere sua figlia su un aereo per spedirla via da Berlino, ancora più lontani sono i tempi delle fantasie infanticide, eppure, il suo passato da genitrice inadeguata finisce col riemergere, toccandola nel profondo, fino a rievocare i tremendi dubbi passati sulla maternità e i sensi di colpa mai superati per la morte del padre di Frannie.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Imminent Risk 6×07 | 1.44 milioni – 0.5 rating |
Alt.Truth 6×08 | 1.27 milioni – 0.4 rating |
Sock Puppets 6×09 | 1.26 milioni – 0.5 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.