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Come volevasi dimostrare. Nelle precedenti recensioni, si era parlato abbondantemente del problema che incombe perennemente sulla serie di Peter Nowalk, ossia il suo continuo perdersi in mille giri pindarici che alla fine generano solo caos. Ecco, anche nelle ultime battute di questa quinta stagione, il legal drama della ABC non ha voluto smentirsi, dando prova di essere maestra nel tirare fuori elementi a caso con lo scopo di creare momenti da WTF ma, essenzialmente, riuscendo a provocare solo un’estrema e per niente apprezzata confusione.
Eppure le premesse che avevano concluso lo scorso episodio erano sembrate delle migliori. La “soffiata” della Governatrice che accusava Emmet Crawford, seppur presa con le pinze in quanto da queste parti non ci si può mai fidare del tutto, era sembrata un’ottima soluzione narrativa, riuscendo a creare un colpevole insospettabile ma che, tuttavia, aveva le carte in regola per assumersi tale ruolo senza risultare sconclusionato. Non contento di questa possibilità, però, lo show decide di andare ad intricare ulteriormente la trama, portando come al solito al centro della scena elementi e personaggi che in quest’ottica non hanno il minimo senso di esistere.
Innanzitutto, non si può certo dire che la scoperta finale dell’apparizione in scena di un altro Castillo sia stata così inaspettata: gli input che sono stati lanciati negli scorsi episodi erano seppur minimi, ben visibili; l’attenzione maggiore dedicata ultimamente a Laurel, le sue misteriose telefonate e l’introdurre in mezzo ad ogni discorso la madre ed il padre, hanno lasciato subito intendere come la ragazza stesse per ritornare al centro dell’attenzione portandosi dietro anche la sua famiglia. Tutto questo, però, porta ad un estremo livello di esasperazione in quanto How To Get Away With Murder ripiomba precipitosamente sempre nella stessa trappola: cercando di creare hype e sconvolgere lo spettatore, si ricerca la figura del colpevole in elementi piovuti dal cielo che, buttati così nella mischia senza nessunissima preparazione o spiegazione, appaiono completamente fuori luogo.
Che senso ha dunque la re-introduzione di questi personaggi ad un solo episodio dalla fine della stagione? E che senso potrebbe mai avere il loro coinvolgimento nella morte del padre di Nate? Qualsiasi spiegazione si voglia dare al momento sembra improbabile che possa risultare efficace e soddisfacente per chiudere una stroyline che ci si porta dietro sin dalla scorsa stagione e, soprattutto, con soli 42 minuti rimasti per farlo.
Trama principale a parte, “Make Me The Enemy” si concentra finalmente un po’ di più sui ragazzi che in questa stagione sono stati messi abbondantemente da parte, fino a risultare mere comparse. Purtroppo, però, una delle prime a ritrovare l’attenzione è proprio Laurel che sicuramente avrà un prossimo ruolo chiave dato il coinvolgimento della sua famiglia ma che, fino ad ora, non ha di certo lasciato un buon segno: la sua crescente paranoia negli ultimi tempi iniziava già a risultare pedante, fino a raggiungere l’apice con il tentativo di “vendere” Bonnie. Un personaggio che diventa sempre meno interessante e più lamentevole, i cui presupposti non fanno ben sperare per il season finale.
Laurel a parte, se Asher continua sempre e solo a fungere da spalla, in questo episodio si è persa l’opportunità di mettere anche solo per un attimo in luce Connor, lasciandolo fallire anche in una semplice udienza, seppur il risvolto che ha visto protagonista Oliver è risultato simpaticamente apprezzabile. Ma è soprattutto Michaela da tenere in considerazione, dato che ultimamente continua a lanciare piccoli indizi sul suo passato che, chissà, potrebbero risultare in una trama più articolata ed interessante. Per ora, la Pratt si ritrova con il compito di dar senso al personaggio di Gabriel, che non è impresa da poco, dato che continua anche lui a fluttuare da una trama all’altra senza trovare la sua giusta definizione.
Eppure le premesse che avevano concluso lo scorso episodio erano sembrate delle migliori. La “soffiata” della Governatrice che accusava Emmet Crawford, seppur presa con le pinze in quanto da queste parti non ci si può mai fidare del tutto, era sembrata un’ottima soluzione narrativa, riuscendo a creare un colpevole insospettabile ma che, tuttavia, aveva le carte in regola per assumersi tale ruolo senza risultare sconclusionato. Non contento di questa possibilità, però, lo show decide di andare ad intricare ulteriormente la trama, portando come al solito al centro della scena elementi e personaggi che in quest’ottica non hanno il minimo senso di esistere.
Innanzitutto, non si può certo dire che la scoperta finale dell’apparizione in scena di un altro Castillo sia stata così inaspettata: gli input che sono stati lanciati negli scorsi episodi erano seppur minimi, ben visibili; l’attenzione maggiore dedicata ultimamente a Laurel, le sue misteriose telefonate e l’introdurre in mezzo ad ogni discorso la madre ed il padre, hanno lasciato subito intendere come la ragazza stesse per ritornare al centro dell’attenzione portandosi dietro anche la sua famiglia. Tutto questo, però, porta ad un estremo livello di esasperazione in quanto How To Get Away With Murder ripiomba precipitosamente sempre nella stessa trappola: cercando di creare hype e sconvolgere lo spettatore, si ricerca la figura del colpevole in elementi piovuti dal cielo che, buttati così nella mischia senza nessunissima preparazione o spiegazione, appaiono completamente fuori luogo.
Che senso ha dunque la re-introduzione di questi personaggi ad un solo episodio dalla fine della stagione? E che senso potrebbe mai avere il loro coinvolgimento nella morte del padre di Nate? Qualsiasi spiegazione si voglia dare al momento sembra improbabile che possa risultare efficace e soddisfacente per chiudere una stroyline che ci si porta dietro sin dalla scorsa stagione e, soprattutto, con soli 42 minuti rimasti per farlo.
Trama principale a parte, “Make Me The Enemy” si concentra finalmente un po’ di più sui ragazzi che in questa stagione sono stati messi abbondantemente da parte, fino a risultare mere comparse. Purtroppo, però, una delle prime a ritrovare l’attenzione è proprio Laurel che sicuramente avrà un prossimo ruolo chiave dato il coinvolgimento della sua famiglia ma che, fino ad ora, non ha di certo lasciato un buon segno: la sua crescente paranoia negli ultimi tempi iniziava già a risultare pedante, fino a raggiungere l’apice con il tentativo di “vendere” Bonnie. Un personaggio che diventa sempre meno interessante e più lamentevole, i cui presupposti non fanno ben sperare per il season finale.
Laurel a parte, se Asher continua sempre e solo a fungere da spalla, in questo episodio si è persa l’opportunità di mettere anche solo per un attimo in luce Connor, lasciandolo fallire anche in una semplice udienza, seppur il risvolto che ha visto protagonista Oliver è risultato simpaticamente apprezzabile. Ma è soprattutto Michaela da tenere in considerazione, dato che ultimamente continua a lanciare piccoli indizi sul suo passato che, chissà, potrebbero risultare in una trama più articolata ed interessante. Per ora, la Pratt si ritrova con il compito di dar senso al personaggio di Gabriel, che non è impresa da poco, dato che continua anche lui a fluttuare da una trama all’altra senza trovare la sua giusta definizione.
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Alla fine l’episodio si guadagna comunque un Save in quanto riesce a farsi guardare senza annoiare. A questo punto, i nuovi risvolti potranno o dar vita ad una soddisfacente risoluzione o buttare definitivamente tutto in vacca. Al season finale della prossima settimana l’ardua sentenza.
Where Are Your Parents? 5×13 | 2.57 milioni – 0.6 rating |
Make Me The Enemy 5×14 | 2.57 milioni – 0.5 rating |
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.