L’ultima run di Inside No. 9 è iniziata in grande stile con un distopico racconto (“Boo To A Goose”) e ora Pemberton e Shearsmith vertono sul thriller cupo, addentrandosi nelle trame più sanguinolente dello show. Qualche piccola discrepanza narrativa, con alcuni buchi che aiutano gli sceneggiatori a consegnare il colpo di scena al pubblico, ma si tratta di piccolezze che passano in secondo piano tenuta in considerazione la caratura dello show e l’alto livello generale sempre raggiunto.
Si tratta di una puntata che si mostra agli occhi dello spettatore a pezzi, denudandosi in favore di un intimismo tra i due personaggi (come di consueto magistrali) che cercano di conoscersi, studiarsi e successivamente avere il sopravvento l’uno sull’altro.
La puntata prende il titolo dal problema etico del carrello ferroviario che rappresenta il punto centrale dei dialoghi tra i due protagonisti.
NON INTERVENIRE O SPORCARSI LE MANI?
Si percepisce l’intenzione di voler riversare sul personaggio interpretato da Pemberton tutte le disgrazie occorse all’uomo (Shearsmith) che aveva in precedenza salvato dal suicidio. Ma si tratta di un’applicazione della legge del taglione estrema, senza esclusione di colpi e in un certo tal senso prevedibile. Un plot twist che colpisce a metà quindi, soprattutto per il fantomatico “coniglio” estratto dal cilindro, ossia il figlio di Blake tenuto nascosto, sepolto vivo, chissà dove.
Cercando di presentare brevemente la sinossi, questo secondo episodio di Inside No. 9 racconta di un padre di famiglia, la cui figlia si è recentemente suicidata, che prende di mira il terapista della ragazza sicuro che quest’ultimo non abbia fatto nulla per aiutarla quando stava espressamente chiedendo aiuto. Da qui il collegamento al dilemma etico: non fare nulla e lasciare che il carrello travolga cinque persone, oppure intervenire e decretare la morte di una sola persona?
L’APPROCCIO AL DILEMMA ETICO: L’IGNAVIA
La casa di Blake, il terapista, diventa il luogo della narrazione – il civico numero 9. Il doppiogioco del personaggio di Shearsmith, questo cupo e imprevedibile uomo che ha tentato di suicidarsi, è abbastanza palese. Vuoi per la semplicità con cui i cliché del genere vengono gettati addosso al pubblico, vuoi per i precisi dialoghi che sembrano puntare ad un avvenimento del passato comune tra i due personaggi in scena.
Come detto, quindi, si tratta di un colpo di scena non sconvolgente o d’impatto (come lo è stato quello di “Boo To A Goose”), ma che trae la sua forza dai dettagli che si aggiungono per colpire in maniera più forte chi sta guardando la puntata. Complice anche le tematiche del suicidio, della vendetta personale di un padre e, in conclusione, non dell’omicidio ma dell’ignavia. Molto scenografica, poi, la conclusione della puntata con il fuoco che avvolge il misterioso padre/vendicatore e Blake, lasciato in balia del proprio destino, mentre il figlio si ritrova, come Ryan Reynolds, sepolto in un punto imprecisato e impossibile da localizzare.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Un secondo episodio che, messo a confronto con il precedente, convince un po’ meno. Ma si sta veramente parlando di piccoli dettagli e non di vere e proprie imperfezioni. Inside No. 9 resta uno show da gustarsi sempre e comunque e la capacità di scrivere una bella storia da parte dei due sceneggiatori è qualcosa di veramente incredibile.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.