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Maggio è il mese della festa della mamma, una celebrazione civile che, in alcuni paesi del mondo, ringrazia e onora la figura della madre e della maternità. Chi sceglie di diventare madre saprà sicuramente che, durante tutto il corso della vita, la priorità fondamentale sarà sempre il benessere e la felicità del proprio figlio, senza se e senza ma. Sicuramente la maternità non deve annullare l’essenza stessa della donna, ma la divide in due parti ugualmente importanti, così che ogni sua azione e decisione sia data e spinta dall’amore incondizionato per la propria prole. Quando una madre pensa al futuro di un figlio, se lo immagina sempre roseo e spera di riuscire a far fronte a qualsiasi tipo di difficoltà; promette a se stessa di stargli vicino, di aiutarlo e comprenderlo, qualunque siano le sue inclinazioni e scelte personali di vita.
Una mamma, però, non potrebbe mai immaginare che un figlio possa, invece, diventare qualcuno dal quale bisogna difendersi e difendere gli altri. Una persona totalmente diversa dalle aspettative che si avevano mentre lo si stringeva tra le braccia e lo si guardava regalare i primi sorrisi. Può, dunque, una madre accettare e amare il proprio figlio, anche quando quest’ultimo si trasforma in un mostro? Qual è la sottile linea di demarcazione tra istinto di protezione e consapevolezza della realtà? Centinaia di studi di sociologia e psicologia annoverano tra le principali cause di un comportamento violento, un rapporto malsano con i genitori (siano essi il padre o la madre o entrambi) e come una persona viene cresciuta, ma non sempre le cose vanno in questo modo. Anche dal sentimento più puro, può nascere il seme della follia. Come si sente, quindi, una madre quando guarda negli occhi il proprio figlio e non lo riconosce più? Non riconosce colui che ha cresciuto, coccolato, amato?
Questa domanda rappresenta il fil rouge dell’ottavo episodio di Into The Dark, serie horror targata Hulu, che ritorna con il suo abituale appuntamento mensile. La trama di “All That We Destroy” vira sul genere sci-fi e ci presenta la genetista Victoria Harris che tenta di mitigare gli istinti omicidi di Spencer (suo figlio) attraverso la ripetuta clonazione di una sua vittima. La storia attinge a diversi prodotti di genere fantascientifico che trattano la tematica della clonazione per scopi non positivi. Basti pensare al romanzo di Kazuo Ishiguro, “Never Let Me Go”, nel quale dei cloni umani, creati in laboratorio, vengono utilizzati come donatori di organi sani per gli esseri umani malati, oppure, sulla stessa falsariga, il film “The Island” di Michael Bay.
La dottoressa Harris, accecata dall’amore per il proprio figlio ed incapace di affrontare la cruda realtà, decide di aiutarlo in solitaria e concentra tutti i suoi sforzi e le sue ricerche nel tentativo di redimere il ragazzo e trovare una cura per la sua furia omicida. Una cura, però, che oltre a non sortire alcun tipo di effetto, viola qualsiasi legge di etica e civiltà, considerando la persona clonata come misera carne da macello. Ashley, questo il nome della ragazza vittima di Spencer, è costretta a rinascere ogni giorno e a subire ogni giorno la stessa tragica fine, strangolata dalle mani del suo assassino, che sembra non provare alcun tipo di rimorso e pentimento. Spencer, infatti, ha sempre mostrato segni di squilibrio e violenza, fin da piccolo, ma l’idea di perfezione di Victoria lo hanno reso, ai suoi occhi, un cucciolo indifeso da salvare. Il rimando a Black Mirror e alla sua critica nei confronti della tecnologia, portata all’estremo e utilizzata per scopi nefasti, è lampante, così come innegabile è l’omaggio ad altre relazioni madre-figlio dai risvolti macabri, come Jason e Pamela Vorhees di Venerdì 13.
Il potenziale della puntata è innegabile, così come la scenografia e l’ambientazione scelte per l’episodio: una casa isolata, immersa in un panorama desertico, un arredamento minimalista e nordico che contrasta con il caos emotivo di Victoria, ma anche dello stesso Spencer. Peccato che la lungaggine della puntata e l’epilogo troppo telefonato non aiutino la visione che risulta scorrevole e digeribile per i primi tre quarti di minutaggio, salvo poi scadere nel banale. Buone anche le interpretazioni degli attori, nonostante troppi tempi morti e qualche scena nonsense.
Una mamma, però, non potrebbe mai immaginare che un figlio possa, invece, diventare qualcuno dal quale bisogna difendersi e difendere gli altri. Una persona totalmente diversa dalle aspettative che si avevano mentre lo si stringeva tra le braccia e lo si guardava regalare i primi sorrisi. Può, dunque, una madre accettare e amare il proprio figlio, anche quando quest’ultimo si trasforma in un mostro? Qual è la sottile linea di demarcazione tra istinto di protezione e consapevolezza della realtà? Centinaia di studi di sociologia e psicologia annoverano tra le principali cause di un comportamento violento, un rapporto malsano con i genitori (siano essi il padre o la madre o entrambi) e come una persona viene cresciuta, ma non sempre le cose vanno in questo modo. Anche dal sentimento più puro, può nascere il seme della follia. Come si sente, quindi, una madre quando guarda negli occhi il proprio figlio e non lo riconosce più? Non riconosce colui che ha cresciuto, coccolato, amato?
Questa domanda rappresenta il fil rouge dell’ottavo episodio di Into The Dark, serie horror targata Hulu, che ritorna con il suo abituale appuntamento mensile. La trama di “All That We Destroy” vira sul genere sci-fi e ci presenta la genetista Victoria Harris che tenta di mitigare gli istinti omicidi di Spencer (suo figlio) attraverso la ripetuta clonazione di una sua vittima. La storia attinge a diversi prodotti di genere fantascientifico che trattano la tematica della clonazione per scopi non positivi. Basti pensare al romanzo di Kazuo Ishiguro, “Never Let Me Go”, nel quale dei cloni umani, creati in laboratorio, vengono utilizzati come donatori di organi sani per gli esseri umani malati, oppure, sulla stessa falsariga, il film “The Island” di Michael Bay.
La dottoressa Harris, accecata dall’amore per il proprio figlio ed incapace di affrontare la cruda realtà, decide di aiutarlo in solitaria e concentra tutti i suoi sforzi e le sue ricerche nel tentativo di redimere il ragazzo e trovare una cura per la sua furia omicida. Una cura, però, che oltre a non sortire alcun tipo di effetto, viola qualsiasi legge di etica e civiltà, considerando la persona clonata come misera carne da macello. Ashley, questo il nome della ragazza vittima di Spencer, è costretta a rinascere ogni giorno e a subire ogni giorno la stessa tragica fine, strangolata dalle mani del suo assassino, che sembra non provare alcun tipo di rimorso e pentimento. Spencer, infatti, ha sempre mostrato segni di squilibrio e violenza, fin da piccolo, ma l’idea di perfezione di Victoria lo hanno reso, ai suoi occhi, un cucciolo indifeso da salvare. Il rimando a Black Mirror e alla sua critica nei confronti della tecnologia, portata all’estremo e utilizzata per scopi nefasti, è lampante, così come innegabile è l’omaggio ad altre relazioni madre-figlio dai risvolti macabri, come Jason e Pamela Vorhees di Venerdì 13.
Il potenziale della puntata è innegabile, così come la scenografia e l’ambientazione scelte per l’episodio: una casa isolata, immersa in un panorama desertico, un arredamento minimalista e nordico che contrasta con il caos emotivo di Victoria, ma anche dello stesso Spencer. Peccato che la lungaggine della puntata e l’epilogo troppo telefonato non aiutino la visione che risulta scorrevole e digeribile per i primi tre quarti di minutaggio, salvo poi scadere nel banale. Buone anche le interpretazioni degli attori, nonostante troppi tempi morti e qualche scena nonsense.
Jason Blum e Hulu regalano ancora una volta un horror a basso budget sotto forma di serie tv, che porta a casa il risultato senza infamia e senza lode. Forse sarebbe il caso di ridurre la lunghezza degli episodi in favore di una migliore qualità e di un ritmo di narrazione più omogeneo. Si sente, inoltre, la mancanza di una vena comica che aiuterebbe a stemperare la componente horror ed eleverebbe il climax di molte scene.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“All That We Destroy” esplora l’emotività di una madre alle prese con un figlio incapace di provare amore o qualsiasi sentimento positivo. Jaime Lannister direbbe: “the things we do for love” e avrebbe ragione.
I’m Just Fucking With You 1×07 | ND milioni – ND rating |
All That We Destroy 1×08 | ND milioni – ND rating |
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Se volete entrare nelle sue grazie, non dovete offendere: Buffy The Vampire Slayer, Harry Potter, la Juventus. In alternativa, offritele un Long Island. La prima Milf di Recenserie, ma guai a chiamarla mammina pancina.
Salve, Michela, non so se entrerò nelle Vostre grazie, visto che, Buffy a parte, su Harry Potter e Juventus non ci siamo proprio… Ma l’alternativa virante sul Long Island non è affatto male; potrei offrirtene uno. (per cominciare).
Ma, ironia a parte, veniamo al sodo: concordo su tutto quanto letto, tranne che sulla necessità o volontà d’inserire una vena comica.
Ma, al netto di ciò, mi complimento con te per la recensione ben espressa.