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Una volta, quando la televisione era la sorella minore e povera del cinema, era assai difficile che un pezzo grosso di Hollywood, un regista già affermato o un attore di successo, prendesse in considerazione l’idea di lavorare in una serie televisiva. Il miracolo operato da David Lynch in quel lontano 1990, da cui non a caso è partita poco per volta la rivoluzione della serialità occidentale, fu appunto un caso isolato. Oggigiorno sembra quasi la norma vedere Scorsese che dirige un pilot della HBO o Anthony Hopkins che corona mezzo secolo di carriera in Westworld, ma un tempo non era affatto così. Semmai era frequente il contrario: giovani attori e attrici raggiungevano una prima celebrità sul piccolo schermo, dopodiché intraprendevano una florida carriera cinematografica senza più guardarsi indietro. E’ successo a Will Smith, che partendo da una sit-com della NBC è arrivato a diventare uno dei volti più noti dello show business americano; oppure a George Clooney, che venti anni fa era il protagonista di ER e adesso può vantare due Oscar nel proprio palmares; o ancora, ma questo è un caso meno noto almeno nel nostro paese, a Jim Carrey, che prima di esplodere nel 1994 con una serie di pellicole comiche a dir poco demenziali era stato protagonista di due comedy, la breve The Duck Factory (1984) e la più lunga In Living Color (1990-1994).
Gli anni sono passati, Carrey ha dimostrato di valere anche come attore drammatico pur non abbandonando il filone comico (basti pensare alle sue interpretazioni del conte Olaf e del Grinch), ha affrontato crisi di depressione, ha vissuto lutti personali, si è lasciato andare a dichiarazioni no-vax non proprio apprezzabili, ha esordito nel mondo della narrativa per bambini, e alla fine è tornato alla televisione, in una sorta di movimento circolare. Dapprima come produttore esecutivo della dramedy I’m Dying Up Here, poi come protagonista di Kidding, che dopo due episodi già si prospetta come uno dei migliori gioiellini di quest’annata televisiva. Si tratta di un ritorno graditissimo, sia perché potrebbe significare il rilancio di una carriera che negli ultimi anni ha un po’ languito, sia soprattutto perché appare evidente che nessun attore può dirsi più adatto di Carrey a interpretare la complessità di un personaggio come Jeff Piccirillo, perennemente diviso tra le tante maschere impostegli dall’esterno, in mezzo alle quali solo a tratti emergono sprazzi di una reale natura ben più oscura e inquietante.
La prima maschera, ovviamente, è quella di Mr. Pickles, il volto bonario e buffo intorno a cui è costruito un imponente impero commerciale e che per nessun motivo può cambiare, al punto che persino una semplice modifica nell’acconciatura del presentatore si traduce in un gigantesco problema che potrebbe mandare all’aria lo show. Mr. Pickles è un’icona pop conosciuta da chiunque, non solo dai bambini: persino i criminali che all’inizio della puntata rubano e smontano l’auto del protagonista si ravvedono non appena scoprono chi hanno derubato, dando vita a una delle poche scene genuinamente comiche viste finora nella serie.
Ma ancora più della maschera di Mr. Pickles, a stare stretta a Jeff è la maschera dell’uomo affabile, composto, tranquillo, da cui tutti si aspettano che sopporti ogni cosa senza reagire e senza sbottare, una maschera che si è costruito in anni di vita tranquilla e che adesso la morte del figlio, il divorzio e il trasloco stanno pian piano sbriciolando. Fallito il tentativo di dare al programma che conduce un taglio più maturo trattando il tema della morte, Jeff dà sfogo al proprio desiderio di ribellione al padre-padrone cambiando nel bel mezzo delle riprese il sesso di uno dei personaggi dello show, una lontra-astronauta che per vent’anni è stata un maschio, e abbandonando il set quando il genitore prova a farlo ragionare. Appurato che l’ex-moglie Jill sta frequentando un’altra persona, uno sconosciuto che rischia di usurpare il posto di Jeff non solo come partner ma anche e soprattutto come figura paterna, il nostro protagonista fa di tutto per avere la possibilità di incontrarlo di persona e dà vita a un confronto tutto sommato civile, ma pieno di frecciatine, provocazioni, attacchi più o meno velati. La maschera di affabilità di Jeff inizia a incrinarsi in presenza di Peter quando tira fuori una macabra storia di re crudeli e donne murate vive e divorate dai topi, che fa il paio col racconto dell’incendio dello zoo rievocato nel pilot dal figlio Will, oppure quando gli affibbia il soprannome Big P, laddove l’ultima lettera è intesa dal diretto interessato come l’iniziale del proprio nome, mentre per Jeff sta per pussy, fighetta, cacasotto: è il piacere perverso di offendere e insultare senza che l’altro se ne accorga e anzi se ne senta onorato, perché non capita tutti i giorni di ricevere un nomignolo da Mr. Pickles.
Per ora Jeff Piccirillo non è esploso, non ha lasciato che la rabbia, la frustrazione e il dolore avessero il sopravvento sulla maschera di gentilezza che ancora indossa, non ha cercato uno scontro diretto con Peter, non si è rasato tutti i capelli, non ha stravolto il proprio show, non è andato oltre qualche isolato e tutto sommato innocuo atto di ribellione contro il padre. Eppure i germi della catastrofe ci sono tutti, a cominciare dall’ossessione per Jill ai limiti dello stalking, che si traduce sovente in piccoli gesti distruttivi e apparentemente irrazionali, dal rubinetto rotto al forno lasciato acceso, dalla torta calciata via con foga al gesto mimato di rigare l’auto di Peter. Ed è in questo che consiste il bello della narrazione che Carrey, Holstein e Gondry stanno mettendo in scena: non c’è nulla di eclatante e di veramente distruttivo finora, nulla che lasci intuire in quale direzione si evolverà la storia o in quali modi esploderanno le tensioni e i malumori che si stanno accumulando. Il discorso vale per Jeff così come vale per Deirdre, i cui tentativi di affrontare la questione dell’omosessualità del marito falliscono ancora miseramente, e per Will, che da bravo adolescente reduce da un trauma elabora il lutto in modi inquietanti tanto quanto gli sfoghi di rabbia repressa del padre. Dove condurrà questo circo di umane miserie ancora non si sa, ma una cosa è certa: se Kidding manterrà questa qualità avrà diritto a un posto nel gotha della serialità americana.
Ma ancora più della maschera di Mr. Pickles, a stare stretta a Jeff è la maschera dell’uomo affabile, composto, tranquillo, da cui tutti si aspettano che sopporti ogni cosa senza reagire e senza sbottare, una maschera che si è costruito in anni di vita tranquilla e che adesso la morte del figlio, il divorzio e il trasloco stanno pian piano sbriciolando. Fallito il tentativo di dare al programma che conduce un taglio più maturo trattando il tema della morte, Jeff dà sfogo al proprio desiderio di ribellione al padre-padrone cambiando nel bel mezzo delle riprese il sesso di uno dei personaggi dello show, una lontra-astronauta che per vent’anni è stata un maschio, e abbandonando il set quando il genitore prova a farlo ragionare. Appurato che l’ex-moglie Jill sta frequentando un’altra persona, uno sconosciuto che rischia di usurpare il posto di Jeff non solo come partner ma anche e soprattutto come figura paterna, il nostro protagonista fa di tutto per avere la possibilità di incontrarlo di persona e dà vita a un confronto tutto sommato civile, ma pieno di frecciatine, provocazioni, attacchi più o meno velati. La maschera di affabilità di Jeff inizia a incrinarsi in presenza di Peter quando tira fuori una macabra storia di re crudeli e donne murate vive e divorate dai topi, che fa il paio col racconto dell’incendio dello zoo rievocato nel pilot dal figlio Will, oppure quando gli affibbia il soprannome Big P, laddove l’ultima lettera è intesa dal diretto interessato come l’iniziale del proprio nome, mentre per Jeff sta per pussy, fighetta, cacasotto: è il piacere perverso di offendere e insultare senza che l’altro se ne accorga e anzi se ne senta onorato, perché non capita tutti i giorni di ricevere un nomignolo da Mr. Pickles.
Per ora Jeff Piccirillo non è esploso, non ha lasciato che la rabbia, la frustrazione e il dolore avessero il sopravvento sulla maschera di gentilezza che ancora indossa, non ha cercato uno scontro diretto con Peter, non si è rasato tutti i capelli, non ha stravolto il proprio show, non è andato oltre qualche isolato e tutto sommato innocuo atto di ribellione contro il padre. Eppure i germi della catastrofe ci sono tutti, a cominciare dall’ossessione per Jill ai limiti dello stalking, che si traduce sovente in piccoli gesti distruttivi e apparentemente irrazionali, dal rubinetto rotto al forno lasciato acceso, dalla torta calciata via con foga al gesto mimato di rigare l’auto di Peter. Ed è in questo che consiste il bello della narrazione che Carrey, Holstein e Gondry stanno mettendo in scena: non c’è nulla di eclatante e di veramente distruttivo finora, nulla che lasci intuire in quale direzione si evolverà la storia o in quali modi esploderanno le tensioni e i malumori che si stanno accumulando. Il discorso vale per Jeff così come vale per Deirdre, i cui tentativi di affrontare la questione dell’omosessualità del marito falliscono ancora miseramente, e per Will, che da bravo adolescente reduce da un trauma elabora il lutto in modi inquietanti tanto quanto gli sfoghi di rabbia repressa del padre. Dove condurrà questo circo di umane miserie ancora non si sa, ma una cosa è certa: se Kidding manterrà questa qualità avrà diritto a un posto nel gotha della serialità americana.
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Kidding non punta certo sul melodramma o sulla teatralità ma il modo in cui mette in scena i sentimenti umani, nel grigiore delle esistenze di persone tutto sommato normali, non ha nulla da invidiare alle migliori scritture televisive degli ultimi anni. Jim Carrey in stato di grazia, poi, è la ciliegina su una torta che si spera diventi sempre più buona, boccone dopo boccone.
Green Means Go 1×01 | ND milioni – ND rating |
Pusillanimous 1×02 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.