Nella sinossi generale della puntata su Netflix si potrebbe semplicemente descrivere tutte le sequenze riguardanti Devil e il Punitore intenti a conoscersi sui tetti di New York e sarebbe più che sufficiente. Esclusi i minuti finali infatti, i due personaggi non fanno altro che parlare, scambiarsi punti di vista e “confidare” all’altro le proprie ideologie, il tutto mentre Foggy e Karen intraprendono semplicemente una ricerca: uno sull’amico Matt, l’altra su Castle. Vista così “New York’s Finest” sarebbe nient’altro che una puntata tranquilla: due chiacchierano, gli altri indagano. È così? Per niente.
Dopo due episodi all’insegna dell’adrenalina, l’elettrizzante caccia all’uomo decide di prendersi una pausa e optare per un episodio che è più “tranquillo” solo sotto l’aspetto della trama, che fa davvero degli avanzamenti minimi, se non microscopici, ma che d’altro canto serve per chiarire la nuova situazione di Hell’s Kitchen ora che ci sono ben due vigilanti. Il fatto che “New York’s Finest” potesse sembrare una puntata tranquilla, quasi per tirare il fiato, è un pensiero maturato dalle tonalità della stessa, dedite più che altro a raccogliere i cocchi seminati in “Bang” e “Dogs To A Gunfight“. Nonostante ciò, una puntata del genere non può dirsi affatto tranquilla proprio per quanto detto in apertura: le sequenze in cui Matt Murdock e Frank Castle si confrontano sono tutt’altro che pacate e dai toni adagiati. Anzi, pur facendo qualcosa come una semplice discussione, i due personaggi riescono a fare più casino e danni con le loro parole che coi loro pugni. Proprio qui, in “New York’s Finest”, si manifestano in tutta la loro potenza le tematiche e la differenza di ideologie tra i due characters, oltre che gli effetti benefici e malefici descritti in “Bang“. Viene messo in atto una operazione di tridimensionalizzazione del personaggio di Punisher concedendogli, finalmente, la possibilità di esprimere le sue motivazioni fino ad ora celatesi dietro una lunga scia di cadaveri e sangue: semplicemente non si poteva chiedere di meglio.
Il confronto verbale, oltre ad essere affascinante e magnetico per gli incredibili e ben studiati dialoghi (parzialmente inventati e parzialmente presi dai fumetti), descrive non solo la relazione tra il Punitore e Devil ma anche la differenza di rapporto a cui ci troviamo davanti. Attualmente Punisher è visto come “il villain” di questa stagione ma il character si presenta in maniera totalmente differente rispetto al suo “predecessore” Kingpin pur mantenendo un’analogia di fondo. Anche Wilson Fisk si considerava un paladino di Hell’s Kitchen solo che la sua visione di “bene” è quello che, secondo l’immaginario collettivo e un generale senso della moralità, è visto come “male”. Inoltre, Kingpin venne da subito descritto come l’altra faccia della medaglia di Devil, come la sua nemesi, come l’avatar di ciò che bisogna combattere e respingere. Quindi, poco importava cosa pensasse Fisk di sé stesso, la sua ideologia rientrava comunque in qualcosa da etichettare come “cattivo”.
Addirittura non si sente nemmeno la mancanza di un vero e proprio antagonista dato che, nel dibattito tra Frank Castle e Matt Murdock, vengono abbattute tutte le barriere e le etichette. Rimangono solamente due rappresentati di due partiti che non sono altro che la stessa faccia della stessa medaglia che combatte il crimine con armi, motivi e ideali diversi ma che è impossibilitata a collaborare perché imprigionata in un circolo vizioso che non ha fine.
Daredevil: “I don’t do this to hurt people.”
Punisher: “Yeah, so what is that, just a job perk?”
Daredevil: “I don’t kill anyone.”
Punisher: “Is that why you think you’re better than me?”
Daredevil: “No.”
Punisher: “Is that why you think you’re a big hero?”
Daredevil: “It doesn’t matter what I think or what I am. People don’t have to die.”
Punisher: “Come on, Red. You believe that?”
Daredevil: “I believe it’s not my call, and it ain’t yours either.”
Punisher: “Somebody ask you to put on that costume or you take it upon yourself? You know what I think of you, hero? I think you’re a half-measure. I think you’re a man who can’t finish the job. I think that you’re a coward. You know the one thing that you just can’t see? You know you’re one bad day away from being me.”
Punisher, al termine di “Dogs To A Gunfight“, non aveva alcun obbligo morale di salvare Daredevil dai poliziotti eppure lo fa e lo fa per poter aver modo di spiegare la missione, far capire il perché delle sue azioni e magari trovare in Daredevil un alleato che capisca la sua posizione e comprenda che il fine ultimo di entrambi è lo stesso. Nello scambio di battute di cui sopra emerge infatti la differenza chiave del loro modo di agire: il Punitore accusa Murdock di essere solo un palliativo, Matt dal canto suo schernisce Frank dandogli dello psicolabile.
Nella contrapposizione di ideologie tra Punisher e Daredevil non c’è una netta divisione di cosa sia realmente giusto e realmente sbagliato visto che i due personaggi hanno contemporaneamente torto e ragione a causa di due grandi problematiche:
- Il fallimento della società sotto ogni punto di vista a livello di protezione e prevenzione del crimine;
- Le imperfezioni degli stessi Daredevil e Punisher che, come prontamente ognuno di loro due fa notare all’altro, sono pieni di contraddizioni. Nei loro discorsi si può osservare una bontà di intenti portata avanti dall’ardore scaturito dalla tragedia ma a causa dello sfondo socio-politico di Hell’s Kitchen (città nella città di New York) i due personaggi Marvel finiscono per essere un enorme agglomerato di controsensi e ipocrisie.
Ciò su cui si dibatte è una questione meramente etica e sociale. Matt Murdock, avvocato di giorno e vigilante di notte, deve credere che la legge venga applicata e, qualora non si riesca ad ottenerla nelle aule di tribunale, si dà una mano di notte dal suo alter ego cornuto. Per Matt il sistema non funziona ma pur non funzionando bisogna avere fiducia che si possa migliorare perché senza l’anarchia regnerebbe sovrana. Nell’altro angolo di questo ring ideologico c’è Frank Castle che non ha fiducia nel sistema, nella sua efficienza e nella attuabilità e, proprio per questo, ammazzando tutti i criminali fa giustizia nell’unico modo che conosce: estirpando alla base il male.
Punisher: “Yeah, what do you do? What do you do? You act like it’s a playground. You beat up the bullies with your fists. You throw ‘em in jail, everybody calls you a hero, right? And then a month, a week, a day later, they’re back on the streets doing the same goddamn thing…”
Daredevil: “Yeah, so you just put ‘em in the morgue.”
Punisher: “You’re goddamn right, I do.”
Non ci si risparmia nemmeno sul discorso delle maschere, che può sembrare superfluo nell’economia del Marvel Cinematic Universe (visto che quasi tutti i supers hanno una identità pubblica e/o nota solo alle autorità) ma che qui acquista una grande valenza, in quanto Devil è attualmente l’unico personaggio con una identità segreta in questo universo. Questo crea un background filosofico davvero intrigante, dove il serial può solo mettersi in una posizione super partes e lasciare allo spettatore il compito di scegliere cosa sia veramente giusto questa volta.
Punisher: “I think you and me are the same!”
Daredevil: “That’s bullshit, Frank, and you know it!”
Punisher: “Only I do the one thing that you can’t. You hit ‘em, and they get back up. I hit ‘em, and they stay down. It’s permanent. I make sure that they don’t make it out on the street again. I take pride in that.”
Il tête-à-tête tra il Cornetto e il Punitore progredisce fino ad un crescendo tanto gradito quanto inaspettato, concludendo la porzione di trama legata ai due personaggi in costume con quella che, speriamo, diventi un appuntamento ricorrente nel serial: una hallyway fight, stavolta più lunga, articolata e piena di combattimenti meglio coreografati e dalla regia che ricorda molto i videogiochi. Sopratutto le scene d’azione mischiate con cutscene interagibili.
Nella scorsa stagione in “Cut Man” si assisteva con piacevole sorpresa ad un piano sequenza in un angusto e claustrofobico corridoio in cui Daredevil (e Charlie Cox) dava il meglio di sé. Anche in questa stagione si replica il piano sequenza ed è inutile dire che da solo vale l’intera puntata: maestoso e impeccabile sia per atmosfere che per coreografie, oltre che ovviamente regia. Dal minuto 40:16 al 45:50 l’occhio della telecamera non si distrae mai e segue, impassibile ed assiduo, un Daredevil stremato che semplicemente scrive la storia della serialità televisiva incidendo a fuoco la sua omonima serie. Non si può muovere alcuna critica a “New York’s Finest”, al contrario si può solo battere le mani in un fragoroso applauso per la purezza e l’audacia con cui è stato costruito e realizzato.
Come si diceva nella ipotetica sinossi iniziale, Karen Page e Foggy Nelson si ritagliano (con gli interessi) lo spazio che non hanno avuto nella scorsa stagione di Marvel’s Daredevil. Sopratutto il secondo sembra desideroso di riscatto visto che è già il secondo episodio che Foggy sfrutta le sue competenze da avvocato per uscire vittorioso in ben due situazioni pericolose, riuscendo in entrambe a ritagliarsi memorabili scene di protagonismo grazie alla sua forbita loquacità. Questo non può che giovare ad entrambi i personaggi, i quali riescono a compiere il loro ruolo di supporter character in maniera perfetta non annoiando e mandando avanti le loro storyline in maniera costante. Questo conferire loro una tridimensionalità non può che renderli personaggi ancora più indipendenti e accattivanti oltre che incredibilmente vivi.
E quando si parla di personaggi forti e dalle caratteristiche vincenti, non può che spuntare fuori Claire Temple interpretata dalla sempre magnifica Rosario Dawson, qui nel duplice ruolo di guest-star e di “collante” fra tutti i futuri membri dei Difensori. Pensateci, attualmente, la Temple è l’unica che ha incontrato i 3/4 dei Difensori, mentre coloro che dovranno essere compagni di squadra hanno solo sentito parlare gli uni degli altri. Fossero tutti così i trait d’union!
Poteva RecenSerie non sbattersi per voi a raccattare tutte le curiosità, e le ammiccate d’occhio per questa incarnazione live-action del difensore di Hell’s Kitchen? Maccerto che no! Doveva eccome! Per la gioia dei nostri carissimi lettori, di seguito, come fatto per Marvel’s Agents Of S.H.I.E.L.D., Marvel’s Agent Carter, The Flash, Gotham e Marvel’s Jessica Jones eccovi la “guida” a tutti i vari easter eggs e trivia sulla puntata.
- È possibile che la suora che si vede all’inizio sia Maggie Murdock, la madre di Matt, che lasciò lui e il padre quando il figlio era ancora molto piccolo per prendere i voti.
- In questa puntata “scopriamo” il nome per intero del Punitore: Frank Castle (il nome lo dice Frank stesso, mentre il cognome “Castle” lo si può leggere sulla cartelletta in mano a Karen Page). Nei fumetti, il personaggio ha origini Italo-Americane e il suo nome completo è Francis Castiglione, poi naturalizzato in Frank Castle.
- Il signore anziano con cui Frank intrattiene una chiacchierata è stato creato appositamente come citazione all’originale passato del Punitore, citandone addirittura il plotone di cui faceva parte. Siccome sarebbe stato inverosimile avere un personaggio ancora così giovane come reduce del Vietnam, nel serial Frank Castle ha servito in Iraq.
- L’episodio citato da Claire è quello di “AKA Smile” in Marvel’s Jessica Jones dove la Temple aiuta Luke Cage a riprendersi dalle sue ferite, difficilmente curabili a causa della sua pelle impenetrabile. Esattamente grazie a questa frase si riesce a stabilire che questa stagione di Daredevil si colloca dopo la 1° di Marvel’s Jessica Jones.
- La radiografia del teschio di Frank Castle stesso apparsa a fine episodio è una citazione all’iconico logo che compare sulla maglia del Punitore.
- Le scene madri dell’episodio, quelle che hanno Devil (legato ad un comignolo) e il Punitore che parlano di supereroi, morale, etica e giustizia sono delle sequenze prese in maniera estremamente fedele da The Punisher #3 del 2001, numero molto incentrato sulla scelta che il Diavolo Rosso è poi chiamato a fare. L’unica differenza tra il fumetto e quanto mostrato nell’episodio è che la sequenza avente Devil con la pistola legata alla mano arriva subito dopo che Frank tramortisce l’eroe. In “New York’s Finest”, invece, ci si occupa e preoccupa di spiegare i retroscena di come si è arrivati a quella scena con il Cornetto legato.
- Il Punitore chiama più volte Devil “Rosso”. Il termine, nei fumetti, era usato in maniera affettuosa dalla Vedova Nera, quando questi convivevano a San Francisco ed agivano come coppia di supereroi.
- Il titolo dell’episodio è una citazione al termine “World’s Finest”, termine con cui si indicano la coppia di supereroi Batman e Superman.
- “Ti basterà una giornata no per diventare come me“. Un grande omaggio ad una delle scene madri di Batman: The Killing Joke.
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Una enorme nota di merito va a Jon Bernthal che già in precedenza aveva mostrato un Punitore convincente ma che solo ora, con più minutaggio e linee di dialoghi disponibile, ha dimostrato di aver capito e interiorizzato questo personaggio tanto da farlo completamente suo. L’ex-Shane di The Walking Dead e il Punitore sono una cosa sola ora con buona pace di Lori Grimes.
Dogs To A Gunfight 2×02 | ND milioni – ND rating |
New York’s Finest 2×03 | ND milioni – ND rating |
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