Dopo numerosi easter eggs, citazioni più o meno dirette agli albi originali e la volontà di sdoganare il tema della salute mentale, Moon Knight (la sesta miniserie targata MCU, inclusa anche What If) arriva alla sua conclusione dopo sei episodi caratterizzati da alti e bassi.
Ad essere il vero protagonista di “Gods And Monsters” è il rapporto tra Marc e Steven che, dopo l’emozionante scorsa puntata, era arrivato ad un punto di svolta. Svolta che non si fa attendere: dopo che Steven si è sacrificato per lui, Marc potrebbe scegliere di accettare una morte pacifica nell’aldilà.
La scelta di Marc di tornare indietro e il breve, ma intenso, monologo che ne consegue con Steven pietrificato è l’apice del rapporto tra i due. Un rapporto fatto di conflitti, della poca sopportazione di Marc nei confronti di Steven e della volontà di quest’ultimo di comprendere e coesistere con una parte di se stesso che ha sempre cercato di reprimere.
“You saved me. I survived because I knew I wasn’t alone. You’re always there, alice, full of hope.“
Marc accetta la sua malattia mentale e di condividere il suo corpo e la sua vita con Steven. Lo stesso Oscar Isaac ha spiegato che l’obiettivo della serie sia quello di sensibilizzare, di creare empatia verso temi ancora poco trattati soprattutto dai colossi hollywoodiani.
Un risultato, da questo punto di vista, più che soddisfacente che si conclude con una nuova dinamica tra i due, esaltata da un montaggio eccellente nel combattimento finale dove Marc e Steven utilizzano il medesimo corpo con fluidità, con un fine comune.
L’ARRIVO – FINALMENTE – DI JACK LOCKLEY
Se Steve e Marc hanno trovato pienamente una loro sintonia, si può dire lo stesso anche di Khonshu e la terza personalità.
È dedicata a loro due la fondamentale scena post-credit situata nel bel mezzo dei titoli di coda che potrebbe accendere le speranze per una probabile seconda stagione, ma soprattutto chiude un cerchio aperto già ad inizio serie.
La presenza di una terza personalità era ovvia anche per chi non ha dimestichezza con la storia a fumetti grazie ai vari riferimenti sparpagliati nelle puntate precedenti, dalla presenza di un secondo sarcofago nell’ospedale psichiatrico ai blackout che colpivano Grant e Spector nei momenti di massimo pericolo, per poi ritrovarsi davanti ad un bagno di sangue una volta che riuscivano a prendere nuovamente possesso del loro corpo.
“Marc Spector truly believed that after he and I parted ways, I wanted his wife to be my Avatar. Why would I ever need anybody else when he has no idea how troubled he truly is?”
Nella scena post-credit, Harrow si ritrova in un ospedale psichiatrico stranamente simile a quello dove Marc e Steven hanno affrontato il loro viale dei ricordi ampliando così le domande: esiste davvero quell’ospedale? Cosa è vero, allora, e cosa è frutto solo della loro mente frantumata?
Harrow, ritrovandosi su una sedia a rotelle in uno stato fisico e psicologico logoro dopo la battaglia, viene preso in custodia da un misterioso uomo che parla in spagnolo e portato verso una limousine bianca con l’eloquente targa SPKTR. Al suo interno, Khonshu presenta a Harrow e allo spettatore la terza personalità, Jack Lockley, che è rimasto il suo avatar.
Con questo ultimo colpo di scena, Khonshu continua il suo percorso di Dio ipocrita e manipolatore, molto differente dalla figura che lui stesso dice di essere.
SCARLET SCARAB
Un’altra dinamica apprezzabile – ma non soddisfacente – è l’arco narrativo riservato a Layla. Il personaggio, introdotto nella seconda puntata, aveva tutte le caratteristiche per essere solamente la spalla del protagonista, la moglie senza nessuna caratterizzazione di sorta a lei riservata.
Non è inusuale per i personaggi femminili un destino simile dove, alla fine della narrazione, l’unica peculiarità degna di nota sia la relazione romantica intrapresa con il protagonista. Purtroppo Layla non ci va molto lontana, almeno fino alla quinta puntata.
Rinunciando di fare da Avatar a Khonshu per essere sottomessa a un personaggio simile della quale non si fida, accetta la proposta di Tawaret diventando così la prima supereroina egiziana dell’universo cinematografico targato Marvel.
Poco dopo la trasformazione, Layla è protagonista per pochi minuti del combattimento contro Harrow affianco a Mr. Knight e a Moon Knight, almeno fino a quando diventa una testimone oculare della furia omicida di Jack.
Un piccolo passo avanti apprezzabile, ma si è ancora molto lontani dal creare personaggi secondari (soprattutto femminili) sfaccettati e più interessanti. Questo anche a causa della scelta di sviluppare Moon Knight solo per sei puntate, non sufficienti per poter approfondire altri aspetti se non quelli basilari.
UNA CADUTA DI STILE
Ad essere sottotono è tutta la restante puntata, dedicata a quello che dovrebbe essere l’asso nella manica della Marvel: i combattimenti.
Sebbene l’arrivo della Dea Ammit perfettamente raffigurata come una creatura ibrida – con il muso da coccodrillo, la testa, il tronco e le zampe anteriori di una leonessa e la parte posteriore di un ippopotamo – sia di grande impatto visivo poco altro merita questa definizione.
Il grande scontro preannunciato dal regista si rivela essere tale solo per le dimensione dei due Dei che si scontrano. Il già accennato montaggio tra Steven e Marc è l’unico elemento visivo davvero ben sviluppato. Un duro colpo per la Casa delle idee che, in tutti i suoi precedenti progetti, ha fatto delle scene d’azione e delle coreografie il suo asso nella manica.
Il risultato è un finale fin troppo veloce in alcune sue parti, poco approfondito se non per il rapporto conflittuale tra Marc e Steven e il loro passato.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Moon Knight si conclude con una puntata che soddisfa gli standard fino ad ora imposti dalla stessa serie, con dei picchi in ambo i sensi che stabilizzano la miniserie in un risultato apprezzabile, ma lontana dalla perfezione.
Quanto ti è piaciuta la puntata?
4
Nessun voto per ora
Tags:
Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.