Mr. Robot 4×12 – 4×13 – whoami – Hello, ElliotTEMPO DI LETTURA 6 min

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But if this world isn’t mine… Then whose is it?

Dopo quattro anni di continui plot twist, rivelazioni impensabili e ribaltamenti di fronti, Mr. Robot giunge alla sua conclusione, e lo fa con un doppio series finale che non soltanto chiude il cerchio sulle vicende riguardanti Whiterose e la fsociety, ma che finalmente riesce a portare un po’ di pace nella testa di Elliot – e soprattutto in quella di noi spettatori. In “whoami” si riprende esattamente dal criptico finale della scorsa puntata per poi esplorare ulteriormente la realtà parallela dove tutto è perfetto e tutti quanti vivono il sogno americano senza curarsi di niente e nessuno. Naturalmente – e in questo caso, scongiurando la possibilità di un finale in salsa sci-fi a spasso tra multiversi, possiamo dire fortunatamente – veniamo presto a scoprire che si tratta dell’ennesimo trip mentale di Elliot e che lo spettatore, in realtà, pur ritrovandosi al centro dell’ennesima “truffa”, non è stato altro che un voyeur sapientemente guidato in quello che, a tutti gli effetti, è stato un viaggio dalle coordinate retrospettivamente ragionate.
Nulla è accaduto per caso, ogni tassello ha trovato la sua perfetta collocazione e, al termine del percorso, ci rendiamo conto che ciò a cui abbiamo assistito non era un puro e semplice racconto televisivo, ma una vera e propria esperienza a cui noi tutti abbiamo preso parte inconsapevolmente (“The voyeurs who think they aren’t a part of this despite being here for all of it.”).

You have to finally let yourself be happy. That’s all it takes. It’s just a choice that you have to make, a switch that you have to flick on.

Con l’assassinio della versione alternativa di Elliot per mano del suo cupo alter-ego e il vis a vis con Mr. Robot sulla spiaggia, l’ennesima illusione creata da Esmail comincia a sgretolarsi sotto i piedi, riportando alla realtà, o meglio, riportando a quella che, e per la prima volta si può dirlo con certezza, rappresenta la verità dei fatti. Grazie alle parole di Krista Gordon, viene finalmente presentato un quadro esaustivo della situazione: tutto ciò a cui si è assistito in questi quattro anni non è stato frutto soltanto dell’alternarsi di due personalità – Elliot/Mr.Robot – bensì si tratta di un disturbo dissociativo dell’identità che ha coinvolto addirittura quattro personalità diverse:

  • Mr. Robot, la figura paterna (The Protector), colui che aveva il compito di colmare il vuoto lasciato dal padre;
  • la madre (The Persecutor), colei che invece incolpava Elliot per l’abuso subìto;
  • il bambino, versione infantile di Elliot, creato per sopportare l’abuso altrimenti insostenibile; e infine, sotto gli occhi di noi “guardoni”,
  • il burattinaio (The Mastermind), la figura dell’hacker vigilante, colui che si è preso carico della rabbia di Elliot.

Tutte queste persone finiscono così col collidere. La costruzione dell’identità diventa la somma di tutte le maschere che indossiamo, di tutte le esperienze che ci portiamo dentro, a patto però che tutto questo percorso passi per uno dei processi più difficili: l’accettazione di se stessi.
L’odio per la società, il bisogno di creare un mondo sicuro per se stesso, quel se stesso che merita un futuro migliore, tutto questo non può bastare senza l’affetto e la comprensione di chi ci ama. La stretta di mano di Darlene, una sorta di totem alla Inception, contatto con ciò che è reale, rappresenta così la spinta necessaria ad andare avanti, a tornare ad essere l’Elliot di un tempo, rimasto nascosto dietro quella porta azzurra e col tempo divenuto impossibile da raggiungere. Tutto, come al solito, sta lì: problemi di incomunicabilità.
Il bisogno, seppur sepolto sotto metri e metri di orgoglio e bugie raccontate a se stessi, di lasciarsi ascoltare, di capire se stessi e riconoscersi nelle parole dette a chi ci sta di fronte. L’Elliot che merita un posto migliore si trova così in un mondo perfetto, in un loop senza fine che non potrà mai arrivare al cosiddetto lieto fine, perché a mancare è la cosa più importante: l’amore incondizionato delle persone in grado di accettare qualsiasi lato della nostra personalità, a prescindere da quanto esso possa essere oscuro e incomprensibile.

What if changing the world was just about being here, by showing up no matter how many times we get told we don’t belong, by staying true even when we’re shamed into being false, by believing in ourselves even when we’re told we’re too different?

E se tutto stesse lì? Se cambiare il mondo significasse stare immobili, cominciando a cambiare noi stessi, il nostro modo di pensare, allontanando i pregiudizi e coltivando la diversità, arrivando finalmente a capire che la normalità è un concetto del tutto relativo e infondato. Cambiamo il mondo cambiando prima noi stessi, decidendo di non omologarci, decidendo di uscire dalla prigione che ci siamo creati, aprendo quella porta rossa e tornando alla realtà. Una realtà fatta di rabbia, dolore e frustrazione. Non permettiamo ad odio e rancore di dominare la nostra esistenza, ma trasformiamo quel veleno in qualcos’altro, rendiamolo il fuoco alla base della nostra determinazione.
Usciamo da quella porta azzurra, dalla nostra comfort zone, superiamo i limiti creati dalla nostra paura e mettiamoci in gioco. Perché perfino dopo aver sconfitto – letteralmente – un esercito, affondando una società segreta radicata nei piani più alti dell’élite mondiale, scongiurando infine un disastro nucleare, ciò che Elliot insegna con questo inappuntabile monologo conclusivo, è che i nemici più temibili sono i demoni che vivono dentro di noi e che si nutrono delle nostre inadeguatezze. E perfino ogni piccola e insignificante scelta che decidiamo di compiere, può in ultima istanza contribuire al cambiamento. E se così non fosse, quantomeno avrà contribuito al miglioramento di noi stessi.

E anche se non ci saremo più, è come ha detto Mr. Robot, saremo sempre una parte di Elliot Alderson. E saremo la sua parte migliore, perché saremo la parte che si è messa in gioco. La parte che è rimasta. La parte che l’ha cambiato. E chi non ne sarebbe orgoglioso?

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Un doppio finale perfetto in ogni sua singola parte
  • Nulla, nonostante la parziale cecità dovuta alla schermata rossa in apertura

 

Esmail chiude il suo ciclo quadriennale con uno dei series finale più emozionanti e profondi visti in televisione negli ultimi anni, concludendo inoltre il suo percorso narrativo in maniera coerente e tenendo fede al suo stile unico e originale. Senza dubbio Elliot Alderson e le sue molteplici personalità ci mancheranno, ma non possiamo che sentirci appagati – e benedetti – nell’assistere ad un finale di tale livello. Hello, e goodbye, Elliot.

 

eXit 4×11 0.44 milioni – 0.1 rating
Whoami 4×12 0.46 milioni – 0.1 rating
Hello, Elliot 4×13 0.32 milioni – 0.1 rating

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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