Nella costante tendenza, quasi vizio, a catalogare tutto secondo schemi pre-esistenti, sono ormai cinque anni che ci si chiede: Orange Is The New Black è una comedy o un drama? Lo si può definire dramedy (termine tanto comodo quanto inutile)?
La durata degli episodi, oltre alla drammaticità di certi risvolti, porta a pensare più alla seconda opzione. Tuttavia il contenuto di ogni singolo episodio, così come il suo linguaggio, tendono radicalmente verso la prima. Ovviamente non esiste una risposta a tale domanda e sicuramente tra diversi anni ci si troverà a commentare una nuova serie, catalogandola e definendola, magari forzatamente ed erroneamente, come “in stile OITNB”.
Occorre soffermarsi, tuttavia, verso l’aspetto strettamente comedy della serie per interpretare la costruzione di questi primi cinque episodi della quinta stagione. Caratteristica peculiare delle comedy è quella di inserire trame e storie come scusa per lo sviluppo di “situazioni” e dialoghi, esattamente come nei drama il dialogo, quale che sia la sua qualità, è strumento unico per il tratteggio di una storia. Osservando un lungo episodio di OITNB, è possibile notare come tale abbondante minutaggio sia giustificato dall’approfondimento di un così largo e crescente parco personaggi. Personaggi che durante un episodio dialogano, affrontano problematiche quotidiane, in un insieme di minuscoli frammenti perfettamente incasellati nel creare poi macroscopici movimenti di trama.
Tutto questo preambolo per arrivare alla quinta stagione, quindi alla 5×05. Lo stratagemma narrativo della stagione in esame cambia l’andamento cronologico, tirando violentemente il freno a mano e concentrando gli eventi in uno stretto e delimitato lasso di tempo. Di conseguenza risulta ancora più lampante come gli schemi interni della serie siano immutati. Il dialogo tra Red e Caputo si sarebbe potuto svolgere ugualmente nell’ufficio di quest’ultimo in qualsiasi altro momento delle precedenti stagioni. Allo stesso modo la crisi di coscienza di Alex e conseguente discussione con Piper ha poco a che vedere con la rivolta nel carcere (elementi comedy inseriti in un movimento drama).
Più malignamente si potrebbe affermare che il triplo rinnovo della serie, arrivato lo scorso anno, abbia garantito al team creativo una notevole libertà di azione ma, allo stesso tempo, la necessità di frenare notevolmente il progredire temporale. Identificabile, quindi, “Sing It, White Effie” come inizio di una seconda parte della narrazione. Se i primi quattro episodi presentavano una netta continuità (anche con il precedente finale di stagione), il quinto episodio inizia nella maniera più didascalica possibile: con un risveglio. Quasi beffardo mostrare dei buchi nella narrazione, in stile “The Hangover” (più conosciuto in Italia come “Una Notte Da Leoni”), in un tale rallentamento temporale dove si supera quasi la narrativa in tempo reale.
A questo punto è opportuno tornare per l’ennesima volta su un argomento ricorrente nelle recensioni delle serie Netflix. Legittimo che il lettore non stia puntualmente a notare l’autore della singola recensione, ma si noterà una reiterazione continua, da parte di chi scrive, nel voler affrontare un certo aspetto delle serie prodotte dalla celebre piattaforma online. Producendo serie più o meno riuscite (ovvio che OITNB si collochi tra le più riuscite), sembra si voglia perseguire sempre di più l’affezione del fan. Fan il quale, dovendo essere “ipnotizzato” in un vortice di binge watching, dovrà entrare in dipendenza con i personaggi presentati. Pur vantando una scrittura di altissimo livello, Orange è uno degli esempi più lampanti di questo aspetto. Pensando ai classici flashback durante la prima stagione, non si può non pensare ad un tipo di narrativa lineare, dovendo garantire al pubblico un approfondimento sui personaggi e sulla vita al di fuori dal carcere. Giunti alla quinta stagione, i flashback (quasi sempre riusciti, gradevoli ed efficaci) hanno perso una funzione esclusivamente descrittiva e narrativa, per assumerne una didascalica. In “Sing It, White Effie”, viene mostrato il “prequel” del flashback della prima stagione su Watson in versione atleta. A livello di utilità narrativa (per ora) questo flashback è assolutamente inutile, non serve a presentare un nuovo personaggio, conferisce nuovamente importanza ad una figura lasciata da parte nelle precedenti stagioni (ovviamente il fatto che durante le stagioni vengano inseriti nuovi personaggi, dando la possibilità per nuovi flashback, oppure che si dia importanza a personaggi precedentemente secondari è solo una delle dimostrazioni di quanto affermato precedentemente: con OITNB Netflix punta all’abbondanza, a riempire la pancia dell’insaziabile spettatore, consapevole della brillante formula sotto mano).
Il flashback di Watson poteva anche non esserci, nell’economia della descrizione dei personaggi, tuttavia ha l’enorme merito di caricare ulteriormente l’intensità del monologo finale di Taystee. La tematica razziale diviene universale. L’urlo di Tasha è un urlo di dolore che, conseguenza della morte dell’amica, fa il punto sulle condizioni mostrate per quattro stagioni.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Litchfield’s Got Talent 5×04 | ND milioni – ND rating |
Sing It, White Effie 5×05 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.