Dopo il consueto anno di stop, Orange Is The New Black riprende esattamente da dove ci eravamo lasciati, con alcune delle detenute – il focus group sul quale gli agenti hanno deciso di investigare in questa stagione – costrette ad abbandonare il complesso di minima sicurezza di Litchfield in seguito all’estenuante rivolta raccontata nella precedente stagione e la polizia intenta a coprire l’omicidio di Piscatella, avvenuto per mano di un collega (tanto per cambiare) negligente, cercando di far cadere la colpa sulle detenute.
Niente previously on…, niente spiegoni d’inizio puntata, gli autori accantonano come di consueto il fattore narrazione per potersi concentrare su un altro elemento, quello che più di tutti ha contraddistinto la serie Netflix fin dalla sua primissima messa in onda: l’empatia con le detenute e l’inferno da loro affrontato ogni giorno all’interno di quelle quattro mura. Cambia la location ma la storia è sempre la stessa. Violenza indiscriminata, noncuranza nei confronti del genere umano, molestie ai danni delle detenute, continui abusi di potere, sempre queste le tematiche, stavolta rese più spaventose a causa del cambio di struttura, immediatamente percepita dalle protagoniste – e dallo spettatore – come un inferno dal quale è impossibile uscire tutti interi. Tocca quindi a Suzanne dare il via alle danze, al centro di una sequenza introduttiva totalmente delirante che prenderà forma davanti ai nostri occhi man mano che la puntata procederà in avanti. Attraverso gli “occhi pazzi” di Suzanne ci vengono raccontati gli avvenimenti che da lì a poco accadranno, edulcorati da una sorta di filtro televisivo immaginato dalla detenuta. Filtro che però, associato anche allo sguardo fisso in macchina che per un attimo sembra voler mettere lo spettatore al centro dello schermo, assume un ulteriore significato: quasi come un promemoria lasciato dagli autori, questo avvio stagionale vuole ricordarci che tutte le storie narrate, per quanto irriverenti e grottesche, traggono la loro forza da una spaventosa realtà, quella appunto riguardante le condizioni delle detenute nelle affollatissime carceri americane, romanzata per noi spettatori per pure e semplici esigenze televisive.
Nel complesso, chiaramente, si tratta del consueto episodio introduttivo, dunque non crea stupore l’assenza di colpi di scena o l’estrema linearità della narrazione. Nonostante ciò, comunque, i 50 minuti scorrono piacevolmente – una caratteristica che da sempre rende Orange Is The New Black uno degli appuntamenti estivi più gradevoli – regalando una bella panoramica sul focus group, e in particolare su alcuni dei suoi membri:
- Suzanne, come già detto, alle prese con allucinazioni sempre più elaborate e la sua difficoltà nel negare la verità (da qui il suo cattivo rapporto con denail the crocodile, il pupazzo di Red in versione clown);
- Piper, disco incantato di utopiana memoria con il suo “where is Alex?” e personaggio che per il momento sembra avere difficoltà a trovare il proprio posto all’interno della serie;
- Gloria e Maria prima venute alle mani e poi costrette a limonare dai soliti secondini pervertiti che evidentemente devono essere assunti per legge in ogni prigione femminile americana;
- Frieda e il tentato suicidio, avvenimento un po’ debole perché chiaramente nessuno poteva morire nella premiere;
- Taystee e la sua vecchia amica Tanika Ward, la classica amica di vecchia data che è riuscita a darsi una regolata grazie all’uniforme;
- Dayanara, senza dubbio quella messa peggio, in costante isolamento perché accusata di aver ucciso una guardia e malmenata costantemente dai secondini della prigione.
- Meno posto invece per Nicky, Blanca e Cindy, probabilmente esplorate in maniera più accurata nei prossimi appuntamenti e qui chiamate in causa solamente nei momenti più corali, legati alla trama del focus group.
A conti fatti si tratta quindi di una premiere dal sapore tutto introduttivo, impreziosita in particolare dalla performance di Uzo Aduba, oramai perfettamente calata nel personaggio di Suzanne e capace di restituire tutte le ansie e le paure della detenuta, esempio lampante dell’indifferenza e della negligenza del sistema carcerario in genere. L’impressione comunque, al termine di questa premiere, è quella di assistere ad una serie che ha ancora molto da dire in termini di trama ma che fatica un po’ a conservare quell’equilibrio tra componente comedy e componente drama, con quest’ultima in netta preponderanza rispetto alla prima. Giunti al sesto anno di programmazione è inevitabile che la serie cominci a mostrare i primi segni di cedimento, a partire appunto dall’umorismo più fiacco appena menzionato, ma anche dall’eccessiva stereotipizzazione delle guardie, divise oramai in due categorie: gli stronzi e gli stronzi pure un po’ scemi. Una categorizzazione che come al solito solleva molti dubbi su chi siano i buoni e chi siano i cattivi, un aspetto sempre molto interessante, ma che d’altra parte rischia di far perdere il contatto con la realtà, vero punto di forza dello show senza il quale la serie non avrebbe mai riscosso il suo attuale successo e senza il quale la stessa perderebbe la sua vera raison d’être.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Storm-y Weather 5×13 | ND milioni – ND rating |
Who Knows Better Than I 6×01 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.