Si chiude con un altro buon prodotto questo marzo di Apple Tv+. Dopo essersi presentato con un Samuel L. Jackson in grande spolvero in The Last Days Of Ptolemy Grey e aver raccontato la scalata e il fallimento della compagnia WeWork in WeCrashed, è ora il turno di Pachinko.
Drama composto da otto episodi (come di consueto i primi tre già rilasciati in contemporanea), Pachinko è stato completamente prodotto in tre lingue: coreano, giapponese e inglese. Creata da Soo Hugh e diretta dal duo Kogonada – Justin Chon, la serie si basa sull’omonimo bestseller del New York Times scritto nel 2017 dall’autrice e giornalista Min Jin Lee, da sempre attenta alle questioni socio-culturali che riguardano l’ambiente coreano-americano, essendo lei stessa figlia di immigrati coreani stabilitisi a New York.
Dopo il successo ottenuto dal romanzo, Apple si è aggiudicata i diritti per la riproposizione in chiave televisiva nel 2019, dando subito il via al progetto con la ricerca del cast. Una ricerca sparsa per tutto il mondo che, per ammissione della stessa Soo Hugh, ha impiegato circa sei mesi per essere definita e che ha portato al casting di attori come Lee Min-ho, Kim Min-ha, Jin Ha e soprattutto l’attrice sudcoreana pluripremiata Youn Yuh-jung, inserita tra l’altro nella lista delle 100 persone più influenti del 2021 dal Time.
LA RIVINCITA ORIENTALE
Pachinko ha le proprie radici prevalentemente nella cultura coreana, non dimenticando però l’influenza subita dal dominio giapponese. L’opera, infatti, viene per gran parte ambientata a partire dal 1910, ossia quando il Giappone dopo aver invaso la Corea, la ingloba definitivamente come colonia del suo Impero.
Ma al di là dei rifacimenti storici e delle diverse nazioni protagoniste, Pachinko è un prodotto propriamente orientale e questo non fa altro che andare ad ampliare un trend sempre più in ascesa. Inutile negare che nel recente passato i prodotti orientali siano stati abbastanza snobbati a livello mondiale e solo di recente l’interesse verso una nuova globalizzazione culturale ha ampliato gli orizzonti anche in tale direzione.
Spinto dalla figura del suo regista, Bong Joon-ho, ad aprire le danze è stato Parasite nel 2020, primo film sudcoreano candidato agli Oscar e vincitore per l’occasione di ben quattro statuette, compresa quella per il Miglior Film. Rimanendo in Corea, non si può non nominare la serie evento del 2021, quel Squid Game che ha travolto inaspettatamente il mondo seriale. Infine, attualissima è la vittoria del film giapponese Drive My Car che si è appena portato a casa l’Oscar come Miglior Film Internazionale.
Un mercato, quello cinematografico e seriale orientale, in continua evoluzione che si sta facendo largo a livello globale. Anche per questo, non sorprende affatto l’ottima riuscita di Pachinko che sin dal pilot si dimostra una serie all’altezza, con una storia solida coadiuvata da un’ottima regia e fotografia che donano maggiore potenza all’intera narrazione.
UNA SAGA FAMILIARE
Pachinko è una saga familiare che sviluppa la sua storia attraverso il tempo e lo spazio, passando da quattro diverse generazioni e da un paese all’altro. Questo doppio passaggio, sia generazionale che continentale, aiuta la storia a svilupparsi secondo diverse sfumature riguardo cultura, tradizioni, emigrazione e sopravvivenza. Al centro di tutto vi è la figura di Sunja, nel presente la matriarca della famiglia, interpretata dalla già citata Youn Yuh-jung, ma che lo spettatore impara a conoscere sin dall’infanzia, dato che sarà proprio lei lo spirito guida della narrazione rimanendo il punto fisso durante il passare degli anni. Nel pilot, infatti, le linee temporali presentate sono principalmente due: una ambientata in Corea nei primi anni della dittatura giapponese durante l’infanzia di Sunja, per poi passare alla fine degli anni ’80, dove a prendere la scena è il nipote della donna, Solomon, che spezza la narrazione in un viaggio tra America e Giappone.
“In 1910, Japan colonized Korea as part of its growing empire. Under Japanese rule, many Koreans lost their livelihood, forcing many to leave their homes for foreign lands. Despite this, the people endured. Families endured. Including one family… from one generation to another.”
Le due timeline si incrociano tra loro durante la puntata balzando da una parte all’altra, cercando di dare un primo quadro generale della famiglia, con ogni generazione che racconta con accurata attenzione la propria epoca. Il 1989 per ora risulta più accennato, con sempre la famiglia al centro degli eventi ma con la figura di Solomon in risalto e legato al mondo dell’economia, dato il suo background di studente della Columbia University e ormai entrato nel giro del business americano. Molto più profondo, invece, è il racconto che emerge dalla timeline del 1915. Qui, attraverso la piccola Sunja, Pachinko trasporta lo spettatore attraverso un viaggio emotivamente coinvolgente. Il quadro della Corea sotto dittatura giapponese è ben rappresentato, con le difficoltà del suo popolo costretto ad abbracciare nuove culture e tradizioni rimanendo sempre estranei e sottomessi nel nuovo Impero. La povertà e la censura si intrecciano così con il folklore popolare, dando vita ad un quadro delicato e profondo che porta subito lo spettatore ad interessarsi al lungo viaggio per la sopravvivenza di Sunja e della sua famiglia.
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Pachinko è un viaggio generazionale che attraversa epoche e continenti raccontando non solo una saga familiare, ma anche lo spaccato storico e sociale di un popolo. Consigliatissima per gli amanti del genere.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.