Peaky Blinders 6×03 – GoldTEMPO DI LETTURA 6 min

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Recensione 6x03 Peaky BlindersOrmai sembra futile spendere parole di merito nei confronti di Peaky Blinders. Una serie che in sei stagioni non ha mai mostrato neanche il più lontano segno di cedimento, che ha offerto al suo pubblico uno spettacolo degno, se non in alcuni casi migliore, di una pellicola destinata al cinema. E che, nel suo contenuto numero di episodi stagionali, ha preferito sempre la qualità al solito brodo allungato solitamente propinato al pubblico dalla gran parte dei drama contemporanei; riuscendo sempre ad alternare azione e approfondimento dei personaggi in maniera impeccabile, e andando avanti per la sua strada senza seguire necessariamente il gusto del pubblico, bensì plasmando una propria identità, forte e ben radicata all’interno dell’attuale panorama televisivo, e che, nel tempo, ha contribuito a rendere la serie il piccolo capolavoro universalmente apprezzato che è oggi.

ADA F*CKING THORNE


It’s amazing what English upper class women can do with just skin, bone and arrogance.

Sebbene il fulcro delle emozioni dell’episodio sia riservato alla storyline che coinvolge Tommy, Esme, Lizzie e la figlia Ruby, il vero character al comando di questo terzo episodio è Ada, responsabile della Shelby Company Limited in assenza del fratello e leader estremamente risoluto che nulla ha da invidiare alla leadership di Thomas.
A voler essere onesti, si tratta di un episodio che, ancora una volta, mette in risalto soprattutto le figure femminili del telefilm, partendo dalla suddetta Ada, ma passando anche per Diana, Gina e la già citata Esme, che in qualche modo rappresentano quella voce sempre più insistente, ma ancora soffocata dalle evidenti barriere di genere ancora presenti nella cultura di quegli anni, di tutte quelle donne che reclamano il proprio posto all’interno di una società che le vorrebbe unicamente come sostegno (e badanti) dei propri uomini.
Non vi era alcun dubbio in merito al fatto che Ada Thorne fosse una donna con due ovaie giganti. Basti solo citare l’intervento nella battaglia tra i Peaky Blinders e gli uomini di Billy Kimber avvenuta al termine della prima stagione, durante il quale la donna, con annessa carrozzina e bebè, ebbe la forza e il coraggio di interporsi tra le due bande, pronte a devastarsi a suon di botte, coltellate e schioppettate in mezzo alla fronte. In questa puntata, però, oltre a mostrare il suo ben noto temperamento aggressivo, la donna mostra di possedere doti di comando esattamente alla pari di quelle del fratello, doti che però sembrano qui essere riposte in una mente ben più sgombra, lucida, in grado di prendere decisioni importanti senza che esse vengano condizionate dalla sfera emozionale o dalle secolari tradizioni legate al proprio retaggio familiare.
La riunione in compagnia di Mosley, Diana, Gina e Nelson è senza dubbio il momento più intenso dell’episodio (salvo ovviamente la rivelazione finale) e trova proprio nelle barriere di genere sopracitate – e nell’antisemitismo, ma questo è un altro discorso – le sue più profonde radici.
La citazione ad inizio paragrafo, pronunciata da Jack Nelson in uno dei suoi pochi ma lapidari giudizi, rappresenta infatti l’essenza di ciò che uomini come Nelson e Mosley rappresentano. Individui ricolmi soltanto di odio, frustrazione e vanità, e che trovano unico piacere nell’annichilimento del più debole, in virtù di una presunta superiorità intellettuale e genetica nei confronti di chi non ha la “fortuna” di appartenere alla medesima razza o ceto sociale. Mentre le parole di Ada in merito alla sua appartenenza ad una famiglia gipsy, rivolte al tanto raccapricciante quanto accurato ritratto di una moglie fascista regalato dall’inaspettata new entry Amber Anderson, rappresentano così l’altra faccia della medaglia, quella dei poveri individui ingiustamente perseguitati: “It’s a class thing, a genetic thing. He puts his daughter’s welfare before business.” Una frase che nasconde, dietro il suo pungente sarcasmo, tutto l’odio covato dalla famiglia Shelby nei confronti dell’ideologia fascista, e che inoltre rappresenta l’ennesimo roast ai danni dei futuri coniugi Mosley, oramai bersaglio preferito di tutte le donne della famiglia Shelby.

L’INIZIO DELLA FINE…


Nei primi due episodi lo spettatore ha potuto assaporare la consueta quiete prima della tempesta. La mente di Tommy aveva subito un duro colpo nel corso della precedente stagione, ma l’improvvisa decisione di smettere con il whiskey sembrava aver fatto recuperare parte della lucidità perduta. Lucidità che naturalmente ha portato con sé l’impossibilità per il protagonista di sfogare le sue ansie e frustrazioni affogandole nell’alcol e che quindi arriva insieme ad un lauto prezzo da pagare. Ciò che prima veniva somatizzato dal consumo di alcolici, ora finisce per abbattersi direttamente sulla mente di Tommy. E come spesso accade, insieme ai problemi legati alla sfera emotiva, l’uomo comincia anche a mostrare i primi segni di cedimento fisico. A peggiorare il tutto giunge anche la malattia di Ruby, ennesimo problema nella testa del leader dei Peaky Blinders, che diventa così ossessionato dalla ricerca di una soluzione “ultraterrena” al malessere della figlia.
Una quest che in questa puntata sembra cominciare, promettendo interessanti sviluppi nei restanti episodi, e che invece, con un colpo di scena inaspettato, viene bruscamente interrotta dalla notizia della morte di Ruby, un filmine a ciel sereno che sferra a Tommy il colpo di grazia e che lo catapulta, inevitabilmente, verso la conclusione della sua parabola discendente, rendendolo di fatto un uomo disperato, senza più nulla da perdere, capace di compiere azioni deprecabili se mosso da rabbia e odio nei confronti del suo nemico.
E a proposito di uomini disperati, una piccola menzione finale va ad Arthur, che per un attimo fa respirare al pubblico le atmosfere delle prime stagioni guidando la sua spedizione punitiva all’interno del magazzino di Haydn Stagg – un Stephen Graham (Boardwalk Empire, Time, Taboo) che come al solito non tradisce le aspettative – salvo poi ritrovarsi di fronte ad un uomo in grado di leggere la sofferenza nel suo volto, regalandogli in pratica una seduta gratuita di psicoterapia che, in fin dei conti, produce l’effetto desiderato, salvando lui e i suoi uomini da un sicuro linciaggio. Un momento che, comunque, seppur privata della violenza promessa ad inizio sequenza, riesce in maniera del tutto inaspettata e non convenzionale a mostrare tutta la sofferenza di Arthur, che arriva per la prima volta a non scegliere la violenza come valvola di sfogo per il proprio dolore, fidandosi invece delle parole di Stagg il quale, tra l’altro, se non dovesse trovare successo nel mondo del crimine potrà sempre optare per una sfavillante carriera da psicoterapeuta.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Ada F*cking Thorn
  • La riunione di affari tra Diana, Gina, Mosly e Nelson
  • Arthur e Haydn Stagg
  • La quest di Tommy ed Esme che viene vanificata dalla morte di Ruby
  • Da adesso in poi la serie promette di entrare nel suo momento più intenso di sempre
  • Se ne trovate sentitevi liberi di scriverci

 

Spendere ulteriori parole in merito alla puntata e ai suoi innumerevoli pregi risulterebbe ridondante.
Altro Bless portato a casa – non certo l’ultimo – e punto di non ritorno ufficialmente raggiunto. Se la bomba Thomas Shelby stava solo aspettando uno scossone che la facesse esplodere, la morte di Ruby segna decisamente la fine del character per come il pubblico è abituato a conoscerlo. Da adesso in poi inizia il vero epilogo della storia di Tommy e dei Peaky Blinders, un epilogo che si preannuncia tragico e che potenzialmente potrebbe coinvolgere ogni personaggio mostrato finora. Senza alcuna eccezione.

 

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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