Tutti i fan dell’iconica saga videoludica targata Capcom hanno ormai perso da anni le speranze di potere vedere adattate in maniera dignitosa le avventure dei propri beniamini. Il film del 2021 in parte era riuscito in questa ardua impresa, restituendo agli amanti del franchise quantomeno una storia che non si discostasse poi molto dall’originale, stuprando intellettualmente alcuni dei suoi personaggi, questo sì – in particolare il protagonista di Resident Evil 2, 4, 6 e del prequel Biohazard: The Darkside Chronicle, Leon Kennedy – ma conservando quantomeno le atmosfere dei primi capitoli del videogioco senza cambiare radicalmente il concept originale.
Un B-Movie fatto e finito, questo è fuori da ogni discussione, ma obiettivamente godibile se si pensa che ci si sta approcciando alla visione di una pellicola basata su un’invasione zombie. D’altronde, non stamo a fa’ Kubrick, e questo il fan medio della saga lo sa bene, ma se si decide di portare sul piccolo schermo un’opera chiamata “Resident Evil“, almeno bisognerebbe garantire al proprio pubblico due cose basilari: una storia che effettivamente segua le vicende del videogioco da cui trae ispirazione, e quindi anche dei personaggi che rispecchino l’opera originale (sennò tanto vale fare l’ennesimo film a tema zombie, senza cannibalizzare un franchise già ampiamente sfruttato e violato) e una carneficina zombie degna di essere chiamata tale. Sul secondo punto più o meno l’obiettivo può dirsi raggiunto, ma sul primo – quello più importante – la situazione è, come sempre, tragica.
ALBERT WESKER, PADRE DI FAMIGLIA
“Scientists said the world would end in 2036. Climate change, pollution. The oceans would boil. The air, you wouldn’t be able to breath it. Billions of people would die. But they were wrong. The world ended a long time ago…“
Fin dalle prime battute del telefilm appare evidente come la serie abbia deciso di fregarsene bellamente della coerenza circa l’opera originale, propinando al pubblico l’ennesima serie che DEVE per forza includere la parentesi teen drama, con annessi teenager a petto nudo, tavoli della mensa divisi tra “sfigati” e “ragazzi popolari”, risse filmate con lo smartphone e futili drammi esistenziali, e la consueta ipocrisia della (finta) diversity & inclusion, che in questo caso ha trasformato l’iconica figura di Albert Wesker, pazzo scriteriato e temibile antagonista senza scrupoli, in un padre di famiglia afroamericano diviso tra famiglia e lavoro che deve lottare contro la supremazia dei bianchi nel loro nuovo quartiere di New Raccoon City, ex complesso industriale in Sud Africa (???).
Da una parte, rivedere Lance Reddick (Lost, Fringe, The Wire) sul piccolo schermo è sempre un piacere, questo va detto, ma dall’altra, vedere Andrew Dabb prendere uno dei character più affascinanti dell’intero franchise per poi scaricarlo nella fossa biologica senza il minimo rispetto per gli anni di onorato servizio prestati come villain in una delle saghe videoludiche più famose di sempre, obiettivamente, rovina la magia.
OK BOOMER
Il problema forse più grosso dell’intera puntata – e probabilmente, senza aver visto le altre sette, anche dell’intera stagione – è l’alternanza tra le due storyline. Nel 2022, anno in cui l’epidemia ha avuto inizio vi è, come già detto in precedenza, il classico teen drama condito da musica pop su licenza fatto di cliché ben noti a chiunque sia cresciuto a pane e Disney Channel o, più in generale, a chi abbia visto almeno un film/telefilm incentrato sulla vita degli adolescenti; nel 2036, invece, arriva la parte più action-survival, quella che dovrebbe in pratica ricordare al pubblico di trovarsi di fronte ad una serie basata sull’universo narrativo di Resident Evil.
Il continuo passaggio tra una linea temporale e l’altra spezza incredibilmente il già claudicante ritmo diegetico, segmentando inoltre la narrazione ed evidenziando così le estreme differenze tra le “anime” opposte delle due storyline. Il tentativo di coinvolgere un pubblico più giovane e generalista, buttando nella mischia le sopracitate risse filmate con gli smartphone, l’immancabile pezzo targato Billie Eilish e la consueta ragazzina vegana presa in giro dagli estimatori della carne, si conclude quindi con un nulla di fatto, dimostrando per l’ennesima volta che per coinvolgere il pubblico, a prescindere dalla fascia d’età, non servono soltanto beceri espedienti narrativi – probabilmente ideati da over 40 – ma anche e soprattutto una trama solida e intrigante. Elemento del tutto assente in questo pilot.
Si potrebbe analizzare ogni singolo frame di questo episodio (salvando solo ed unicamente il dialogo tra Wesker e Dave, il padre della bulletta, momento più alto dell’episodio grazie all’interpretazione di Reddick) per dimostrare l’inutilità dell’intera ora di pilot, ma è sufficiente soffermarsi sull’irruzione di due ragazzine in un complesso di massima sicurezza per capire il tipo di prodotto a cui ci si sta approcciando. Tralasciando la facilità con cui due presunte minorenni siano riuscite a superare un avanzato sistema di sorveglianza e la totale assenza di guardie in un complesso come quello della Umbrella Corp., che letteralmente crea virus in grado di trasformare esseri viventi in letali macchine da guerra, la cosa che forse farà arrabbiare di più i fan del videogioco è la facilità con cui una ragazzina riesca a far fuori un dobermann mutato con due colpi di estintore, dinamica decisamente poco plausibile se si pensa a quanti proiettili occorrevano per farne fuori uno all’interno del videogioco.
Per concludere, sebbene non sia mai giusto tirare le somme dopo aver visionato appena un episodio di una stagione, sarebbe bene riflettere su un assunto frutto di una ricerca empirica oramai quasi ventennale portata avanti dal recensore che sta scrivendo: sebbene una bella serie possa essere rovinata da un pessimo finale, non accade MAI che una porcata finisca per trasformarsi in un capolavoro al termine della stagione. Quindi, se proprio si vuole guardare un’opera a tema Resident Evil, meglio guardare Resident Evil: Welcome To Raccoon City, che non sarà un capolavoro, ma almeno vi ricorderà dell’opera dalla quale è stato tratto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Non c’è granché da aggiungere. Se siete stati così fortunati da leggere questa recensione prima di procedere con la visione del pilot, fatevi un favore e non perdete tempo prezioso che potreste spendere facendo cose molto più costruttive, tipo giocare con l’asciugacapelli nella vasca o pulire le prese di corrente con la forchetta.
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.