Moffat l’allegro trollone
“Go to hell, Sherlock.”
Fine di “The Six Thatchers”: qualcuno assorbe anche l’ultimo titolo di coda di questa sospirata e poco frequente serie, qualcuno chiude il video. Netflix stessa ha il vizio di indurre lo spettatore a non godersi fino alla fine i titoli di coda, come quella fastidiosa abitudine degli spettatori nei cinema ad alzarsi non appena lo schermo diventa nero. Ma, come detto, qualcuno vuole assorbire fino alla fine i primi 90 minuti di questa sospirata stagione, parzialmente calmata dallo scorso speciale natalizio. Inizia a circolare la voce: “aspettate fino alla fine dei titoli, manca ancora qualcosa”. Ed ecco la frase ad effetto della defunta Mary, frase ad effetto che, se fosse stata in un finale di stagione, avrebbe potuto prendere il posto dell’onnipresente “miss me?”.
Ma l’opera di Steven Moffat e Mark Gatiss sembra creare un dualismo particolare nella ricezione degli spettatori. Sherlock crea un fandom, è vero. Regala fan-service con cui ci si può trastullare nei lunghi mesi di attesa. Questo può essere un elemento anche di disturbo in certi telespettatori, il cui purismo li porta a rifiutare qualsiasi creazione iconica extra-scenica. Ma, nei 90 minuti, nello scorrere dell’episodio, tutto ha un suo perché. Tutto viene motivato, se necessario canzonando lo spettatore.
Così. la frase ad effetto di Mary diventa il motore trainante di tutti i 90 minuti di questa 4×02. In Doctor Who, Moffat ha spesso dimostrato di non essere un grande sostenitore della continuità temporale, creando spesso degli stacchi niente male (se ne è parlato abbondantemente qui). L’impressione può essere la stessa anche in Sherlock, eppure andando nel profondo, dopo l’ennesimo confusionario inizio, è possibile notare come ogni dettaglio, ogni particolare apparentemente insignificante sia ricamato alla perfezione in una futura svolta di trama. Alzi la mano chi non aveva sentito pizzicare il proprio senso di ragno vedendo, sin dallo scorso episodio, un insieme di donne tutte vagamente simili, tutte simili a quella Irene Adler citata, tirata in ballo per confondere le acque e lasciata perdere al momento della rivelazione finale con annesso cliffhanger.
Si potrebbe obiettare riguardo la leggera forzatura sull’inserimento della storia del serial killer e di come Eurus ne sia venuta a conoscenza. Tuttavia, si può anche accettare che, quando il colpo di scena clamoroso non coglie tutti di sorpresa, possa intervenire un piccolo particolare sotto forma di mini-spiegone utile a tessere gli unici punti sconnessi della trama.
I’m a doctor.
“What kind of doctor are you?”
A partire dall’inizio di “The Lying Detective” l’ipotesi più plausibile, anche grazie alle prime inquadrature, è quella riguardante una ripresa di John. La morte di Mary nello scorso episodio è un passo assai grande nella serie per non concedere un episodio di “transizione” e rimettere la coppia John-Sherlock in carreggiata. Poi ci si rende conto che una serie con tre soli episodi a stagione non può permettersi puntate di transizione, ci si sente stupidi ad averlo pensato e si abbassa la testa.
In ogni caso, la nostra curiosità su Watson ci spinge a seguire con una certa dose di stupore le vicende di Sherlock, quasi fosse un intruso. Vederlo al limite del tracollo sembra quasi ingiusto nei confronti di colui che ha effettivamente subito il lutto. Anche questa una percezione sbagliata, abilmente rivoltata da Moffat nello scorrere dei 90 minuti. Per due motivi.
Il primo è costituito da quel “Go to hell, Sherlock” di cui si è già parlato. L’azione auto-distruttiva è motore della trama e salvezza nei confronti di John Watson.
Il secondo motivo è costituito dal lento progredire della spalla del protagonista alle spalle del protagonista (bla bla bla Martin Freeman bla bla bla attore bravo). Il suo continuo dialogo con la defunta Mary (sì, forse un cliché vagamente ridondante), nonché il rimando al bastone, ricorda molto ciò che avveniva nella 1×01. Sherlock Holmes guarisce la zoppia psicosomatica di John semplicemente non facendogli pensare ad essa, coinvolgendolo in un inseguimento. Allo stesso modo, durante la visita all’ospedale, vediamo le apparizioni di Mary ridursi sempre di più. Fino ad arrivare alla fine dell’episodio, quando di fronte alla sua visione Watson confessa il suo peccato, ostentando quasi disprezzo verso se stesso e rancore verso la moglie che ha scelto deliberatamente di sacrificare la sua vita.
Faith/Euros: “Big brother is watching you.”
Sherlock: “Literally.”
Recensire 90 minuti lascia sempre quella sensazione di superficialità. Sicuramente ci si sta dimenticando qualcosa. O meglio: sicuramente si è parlato di troppo poco. Non basta parlare del trattamento di Watson e dell’andamento della trama dettato dalla frase post-titoli di coda dello scorso episodio (da notare come sia stata inserita gradualmente la sua rivelazione, quasi a dare per scontato che sia stata persa da gran parte del pubblico nel precedente episodio).
Non basta parlare di questi due elementi, seppur macroscopici, perché non si renderebbe giustizia ad un episodio con una fotografia di altissima fattura (si sarebbe potuta estrapolare l’immagine della recensione da quasi tutti i fotogrammi), con un villain occasionale veramente niente male. Toby Jones che interpreta Donald Trump il viscido Culverton Smith dà una nuova linfa alla sempre più trascurata trama verticale nella serie. La sete di conoscenza del fandom, gli impegni dei due attori principali e la straripante creatività degli autori sono elementi che hanno inevitabilmente determinato una densità di elementi nei soli tre episodi di una stagione, rendendo praticamente impossibile la creazione di casi autoconclusivi, senza nessun tipo di implicazione “orizzontale” (qualcuno ha detto “hound“?).
La velocità sempre travolgente e straniante delle azioni e dei dialoghi interni ad un episodio di Sherlock, in questo caso, vanno a braccetto con la sempre vincente scelta di inserire un trip a condire il tutto. La cocaina dei romanzi di Conan Doyle aveva nella prima stagione lasciato spazio a riferimenti alla nicotina, fino a che recentemente si era arrivati a parlare di eroina. “The Lying Detective” ha decisamente creato un episodio “monografico” in tal senso.
Si potrà perdonare l’astensione in questa recensione a riferimenti, elucubrazioni, ipotesi e commenti all’apparizione finale di Euros. Preferiamo attendere gli sviluppi che il season finale ci darà in tal senso. E comunque non saranno sufficienti a farci capire cose che solo i rewatch dei futuri mesi di attesa ci faranno capire.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
The Six Thatchers 4×01 | 8.1 milioni – 33.0 share |
The Lying Detective 4×02 | 6.0 milioni – 27.4 share |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.