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Se potevano non saltare alla mente tutti i singoli avvenimenti della prima stagione, sicuramente non è difficile ricordare come l’intero esordio di Sneaky Pete fosse caratterizzato da rapidi cambi stilistici. A colpire in particolar modo fu il pirotecnico finale, con uno sviluppo alla Ocean’s Eleven, un balzo in avanti dal punto di vista della spettacolarità (anche a discapito del realismo). Questa volta è difficile lasciarsi cogliere impreparati, soprattutto perché la preparazione al finale è stata sapientemente portata avanti nelle evoluzioni delle varie sottotrame, ottimamente gestite nell’arco dei 10 episodi. Il grande colpo e la conseguente grande truffa erano ormai da considerarsi parte integrante delle caratteristiche dello show, quasi tappa obbligata per la chiusura del nuovo ciclo di episodi.
Proprio per questo motivo, il furto del bufalo alla fine non appare assolutamente come trama centrale dell’episodio, come fu a suo tempo la truffa a Vince. Ovviamente la rapina e tutti i conseguenti sviluppi prendono una predominante porzione di minutaggio, ma la sensazione è che c’è altro di più importante. Tant’è vero che a giochi quasi fatti ci si accorge che mancano ancora venti minuti alla fine dell’episodio. Venti minuti in cui alcuni nodi vengono al pettine e in cui i personaggi hanno la possibilità di sancire le proprie evoluzioni agli occhi degli spettatori. Soprattutto è stato un finale che ha dato modo di convergere in maniera tutt’altro che forzata alle storyline sparse lungo l’intera seconda stagione, rendendo più omogeneo anche l’inserimento del gran finale al casinò, per forza di cose caratterizzato da un tasso di adrenalina molto più alto.
Ed è questo il grande merito della seconda stagione. Si è scherzato, ma neanche tanto, nelle prime recensioni su come la tecnica del binge watching non fosse proprio ottimale per una ripresa consapevole, a distanza di tempo, della storia in questione. In questo subentra quindi la possibilità di riconoscere un ottimo lavoro dal punto di vista della caratterizzazione di un contesto che è diventato sempre più corale (o forse lo è stato sin dall’inizio). Se Marius si è trovato a dover fronteggiare un vero e proprio “caso di stagione”, emerso nelle ultime battute della 1×10, tutti i membri della famiglia Murphy (Maggie esclusa, ma lei stessa è parte di questa stagione) hanno fronteggiato le conseguenze di azioni e scelte mostrate nel precedente arco stagionale. Alla luce di una probabile e dovuta terza stagione, la tendenza potrebbe continuare ad essere quella, con un avanzamento ulteriore del percorso dei familiari di Pete, probabilmente veri protagonisti morali della serie. Ovviamente il protagonista effettivo manterrà il suo status di variabile impazzita, nonché figura cardine nell’impedire allo show di trasformarsi in una soap opera, grazie anche all’elemento truffa che tanto aggiunge al risultato visivo.
Per quanto riguarda l’intero sviluppo della rapina al casinò, nel momento in cui si stanno scrivendo queste righe (poche ore dopo la visione dell’episodio) già sono svaniti nella mente i particolari di quanto accaduto. Tanto articolata la concatenazione di inganni tra Marius, Maggie, Luka, gli agenti (finti) dell’FBI e tutti gli altri complici che, alla luce anche degli altri sviluppi di trama, il tutto risulta quasi poco importante. Ciò che colpisce positivamente sono le variazioni inserite, nell’atto di evitare una ripetitività, per lo meno strutturale, con il finale della prima stagione. Innanzitutto, particolare non da poco, questa volta Marius non ne esce vincitore ma da truffatore diviene truffato. In secondo luogo, non può non saltare all’occhio il maggior tasso di violenza. Non che nella scorsa stagione non ci fosse scappato il morto (Winslow docet), ma in questo caso è sotto gli occhi di tutti una svolta quasi tarantiniana.
Non manca una dolce frustrazione nel finale, parzialmente compensata dalla natura del cliffhanger. Si è fatto riferimento a come la situazione verticale dell’episodio (e della stagione) fosse palesemente marginale, proprio per favorire lo sviluppo di personaggi e dinamiche ormai più solide. Per questo tutto doveva portare alla rivelazione sull’identità di Marius. La chiusura della scena con il vero Pete e Audrey (a metà episodio circa), ripresa molti minuti dopo, faceva sperare proprio in uno sviluppo in tal senso. Risulta anche ovvio che quello è l’elemento da cui tutto è partito e abbatterlo presto potrebbe essere controproducente. Si potrà essere rimasti delusi sul perché Pete non abbia detto niente alla nonna, oppure si potrà aver imprecato per la (riuscitissima) chiusura di episodio, tuttavia bisognerà dosare di molto la scoperta delle rispettive identità. Si può dire che già in questa stagione i passi in avanti vi siano stati (con il culmine della surreale cena a casa dei Murphy), c’è quindi ragione di credere ad una lenta progressione, utile però a mantenere vivo il fuoco dell’interesse nello spettatore, nonché quel senso di pericolo e rischio costante, vero motore della serie.
Due indizi fanno una prova, quindi si può dedurre con un discreto tasso di sicurezza che la terza stagione non dovrebbe deludere, proprio per la maggiore stabilità creativa portata in questa seconda parte e soprattutto per la freschezza di scrittura che gli autori hanno dimostrato, nel bilanciare soprattutto le varie storyline e il minutaggio riservato a ogni personaggio. Certo, a voler essere pessimisti, nascoste dietro al cliffhanger che mina l’identità di Marius, vi sono due semi lanciati per probabili sottotrame della prossima (eventuale) stagione. Intanto la lettera misteriosa di Lila, la sorella di Maggie, che getta ombre sulla versione della morte sua e del marito. Per carità, c’è grande curiosità per come è stata impostata la vicenda tuttavia, quando si va a rimescolare il passato familiare con rivelazioni shock, l’elemento soap è in agguato più che mai. L’intero sviluppo aziendale prospettato dall’amante di Taylor lascia poi spazio alla possibilità, una volta scampata l’accusa dell’omicidio di Winslow, di gettare la famiglia Murphy nella difesa della propria attività. Non proprio un balzo in avanti. Ma inutile fasciarsi la testa, oltre alla già citata garanzia data da autori apparentemente molto capaci, la vera attenzione dovrà essere diretta al vero colpo finale e a quella domanda posta proprio da Julia, la meno diffidente dei cugini, ma colei che già aveva conosciuto l’agente di Marius e che l’aveva sentito chiamare “Josipovic”.“All right, well, my boyfriend… what’s his name?”
Proprio per questo motivo, il furto del bufalo alla fine non appare assolutamente come trama centrale dell’episodio, come fu a suo tempo la truffa a Vince. Ovviamente la rapina e tutti i conseguenti sviluppi prendono una predominante porzione di minutaggio, ma la sensazione è che c’è altro di più importante. Tant’è vero che a giochi quasi fatti ci si accorge che mancano ancora venti minuti alla fine dell’episodio. Venti minuti in cui alcuni nodi vengono al pettine e in cui i personaggi hanno la possibilità di sancire le proprie evoluzioni agli occhi degli spettatori. Soprattutto è stato un finale che ha dato modo di convergere in maniera tutt’altro che forzata alle storyline sparse lungo l’intera seconda stagione, rendendo più omogeneo anche l’inserimento del gran finale al casinò, per forza di cose caratterizzato da un tasso di adrenalina molto più alto.
Ed è questo il grande merito della seconda stagione. Si è scherzato, ma neanche tanto, nelle prime recensioni su come la tecnica del binge watching non fosse proprio ottimale per una ripresa consapevole, a distanza di tempo, della storia in questione. In questo subentra quindi la possibilità di riconoscere un ottimo lavoro dal punto di vista della caratterizzazione di un contesto che è diventato sempre più corale (o forse lo è stato sin dall’inizio). Se Marius si è trovato a dover fronteggiare un vero e proprio “caso di stagione”, emerso nelle ultime battute della 1×10, tutti i membri della famiglia Murphy (Maggie esclusa, ma lei stessa è parte di questa stagione) hanno fronteggiato le conseguenze di azioni e scelte mostrate nel precedente arco stagionale. Alla luce di una probabile e dovuta terza stagione, la tendenza potrebbe continuare ad essere quella, con un avanzamento ulteriore del percorso dei familiari di Pete, probabilmente veri protagonisti morali della serie. Ovviamente il protagonista effettivo manterrà il suo status di variabile impazzita, nonché figura cardine nell’impedire allo show di trasformarsi in una soap opera, grazie anche all’elemento truffa che tanto aggiunge al risultato visivo.
Per quanto riguarda l’intero sviluppo della rapina al casinò, nel momento in cui si stanno scrivendo queste righe (poche ore dopo la visione dell’episodio) già sono svaniti nella mente i particolari di quanto accaduto. Tanto articolata la concatenazione di inganni tra Marius, Maggie, Luka, gli agenti (finti) dell’FBI e tutti gli altri complici che, alla luce anche degli altri sviluppi di trama, il tutto risulta quasi poco importante. Ciò che colpisce positivamente sono le variazioni inserite, nell’atto di evitare una ripetitività, per lo meno strutturale, con il finale della prima stagione. Innanzitutto, particolare non da poco, questa volta Marius non ne esce vincitore ma da truffatore diviene truffato. In secondo luogo, non può non saltare all’occhio il maggior tasso di violenza. Non che nella scorsa stagione non ci fosse scappato il morto (Winslow docet), ma in questo caso è sotto gli occhi di tutti una svolta quasi tarantiniana.
Non manca una dolce frustrazione nel finale, parzialmente compensata dalla natura del cliffhanger. Si è fatto riferimento a come la situazione verticale dell’episodio (e della stagione) fosse palesemente marginale, proprio per favorire lo sviluppo di personaggi e dinamiche ormai più solide. Per questo tutto doveva portare alla rivelazione sull’identità di Marius. La chiusura della scena con il vero Pete e Audrey (a metà episodio circa), ripresa molti minuti dopo, faceva sperare proprio in uno sviluppo in tal senso. Risulta anche ovvio che quello è l’elemento da cui tutto è partito e abbatterlo presto potrebbe essere controproducente. Si potrà essere rimasti delusi sul perché Pete non abbia detto niente alla nonna, oppure si potrà aver imprecato per la (riuscitissima) chiusura di episodio, tuttavia bisognerà dosare di molto la scoperta delle rispettive identità. Si può dire che già in questa stagione i passi in avanti vi siano stati (con il culmine della surreale cena a casa dei Murphy), c’è quindi ragione di credere ad una lenta progressione, utile però a mantenere vivo il fuoco dell’interesse nello spettatore, nonché quel senso di pericolo e rischio costante, vero motore della serie.
Due indizi fanno una prova, quindi si può dedurre con un discreto tasso di sicurezza che la terza stagione non dovrebbe deludere, proprio per la maggiore stabilità creativa portata in questa seconda parte e soprattutto per la freschezza di scrittura che gli autori hanno dimostrato, nel bilanciare soprattutto le varie storyline e il minutaggio riservato a ogni personaggio. Certo, a voler essere pessimisti, nascoste dietro al cliffhanger che mina l’identità di Marius, vi sono due semi lanciati per probabili sottotrame della prossima (eventuale) stagione. Intanto la lettera misteriosa di Lila, la sorella di Maggie, che getta ombre sulla versione della morte sua e del marito. Per carità, c’è grande curiosità per come è stata impostata la vicenda tuttavia, quando si va a rimescolare il passato familiare con rivelazioni shock, l’elemento soap è in agguato più che mai. L’intero sviluppo aziendale prospettato dall’amante di Taylor lascia poi spazio alla possibilità, una volta scampata l’accusa dell’omicidio di Winslow, di gettare la famiglia Murphy nella difesa della propria attività. Non proprio un balzo in avanti. Ma inutile fasciarsi la testa, oltre alla già citata garanzia data da autori apparentemente molto capaci, la vera attenzione dovrà essere diretta al vero colpo finale e a quella domanda posta proprio da Julia, la meno diffidente dei cugini, ma colei che già aveva conosciuto l’agente di Marius e che l’aveva sentito chiamare “Josipovic”.“All right, well, my boyfriend… what’s his name?”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il bless sotto riportato è dovuto ad alcuni motivi particolari. Innanzitutto la 2×10 corona una stagione che, anche con derive vagamente fantasiose, si è lasciata guardare tutta d’un fiato grazie ad un buon dosaggio delle sue storyline. Ma questa è un’opinione altamente soggettiva e chiunque potrebbe venire a ribattere. Veniamo quindi al motivo vero per cui questo buon finale merita la valutazione massima, pur portando con sé qualche fisiologico difetto: Sneaky Pete è una serie seguita da pochissimi, se ne parla pochissimo e il giorno che diventerà mainstream potremo vantarci, tra le altre cose, di aver recensito il pilot nel lontano 2015. In un’epoca in cui tante serie si cullano sugli allori, il rapporto qualità/notorietà è fondamentale.
Buffalo Soldiers 2×09 | ND milioni – ND rating |
Switch 2×10 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.