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Parlar male delle doti recitative di un attore o di un’attrice in ogni singolo episodio della serie in cui compare può sembrare un inutile e sadico accanimento, e in altre circostanze chi scrive se ne sarebbe astenuto già dopo la prima menzione settimane e settimane fa; ma la seconda stagione di Star Trek: Discovery sta puntando come non mai sul personaggio su Michael Burnham mettendola di fronte a parenti che credeva perduti, a rivelazioni scioccanti sul passato e a momenti di indubbio pathos, e di conseguenza un accenno seppur minimo all’incredibile capacità di Sonequa Martin-Green di rendere involontariamente comica persino la scena più melodrammaticamente lacrimosa, diventa sempre d’obbligo. Ed è un vero peccato, perché senza la sua espressione da eterno pesce lesso e i suoi buffi tentativi di assumere invano un’espressione sofferente o sorpresa che sia un minimo credibile, i capricci infantili (ma in parte comprensibili) della protagonista e i momenti stucchevoli con la madre cronoviaggiatrice che costituiscono l’ossatura narrativa di “Perpetual Infinity” sarebbero stati quantomeno digeribili.
La tendenza di Star Trek: Discovery è sempre stata quella di coniugare orizzontalità e verticalità, mandando avanti episodio dopo episodio la macro-trama generale ma cercando nel contempo di confezionare episodi incentrati su problemi risolvibili nell’arco di una cinquantina di minuti. “Perpetual Infinity” non fa eccezione, sicché ci si ritrova di fronte ad una narrazione molto densa, piena com’è di eventi, di informazioni e di colpi di scena, ma decisamente meno caotica di “Point of Light”. E ancora una volta come da tradizione Trek, la prima metà della puntata è una lenta e tranquilla preparazione dell’azione e dell’adrenalina del secondo tempo, in cui prepara il terreno per i botti finali con dialoghi, confronti tra personaggi e spiegoni che forse risulteranno un po’ indigesti, ma che portano ulteriori pezzi del puzzle al loro posto. La centralità dell’archivio ricevuto dalla creatura-sfera di “An Obol for Charon” è non solo rimarcata ulteriormente, ma finisce per costituire il nucleo attorno a cui si costruisce il problema della settimana: e allora la missione della USS Discovery diventa quella di trovare un modo per impedire all’AI ribelle di mettere le mani su quella preziosa massa di informazioni, passando dalla proposta di distruggerla completamente all’idea geniale di spedirla in un lontanissimo futuro. Certo, si sarebbe potuto spendere un po’ di tempo in più sul dibattito riguardante il destino dell’archivio, alla luce delle implicazioni etiche e pratiche che la perdita di una tale fonte di conoscenza creerebbe, ma siamo ormai abituati alla tendenza della serie di glissare sugli spunti di riflessione più intriganti e degni di approfondimento per favorire piuttosto una trama molto action.
E di azione, come si è già accennato, ce n’è a iosa, grazie al malefico piano messo su da un Leland ormai pienamente controllato dal Controllo (ci si perdoni il bisticcio linguistico). Anzi, forse sarebbe più giusto dire “assimilato”, perché in certe scene che riguardano il comandante della Sezione 31 è palese l’allusione degli autori ai Borg, celeberrimi antagonisti della saga che fecero la loro comparsa esattamente trent’anni fa (per la precisione nell’episodio “Q Who” dell’8 maggio 1989) e che si caratterizzavano propria per la natura ibrida biologico-cibernetica. Resta il dubbio se si tratti solo di un omaggio o se davvero stiamo assistendo alla nascita dei Borg, scelta che legherebbe Discovery non solo alla serie originale ma anche a The Next Generation. E per rimanere in tema di strizzatine d’occhio ai fan, il futuro tutt’altro che roseo che Gabrielle predice al capitano Pike è un riferimento a quello che gli succederà tra qualche anno e che lo trasformerà nello sfigurato rudere umano visto nel doppio episodio “The Menagerie” della serie classica.
Ma torniamo a Leland. Fondamentale, sia per mandare in porto il suo piano di acquisizione dell’archivio sia per sventarne il pieno completamento, si rivela Philippa Georgiou, personaggio su cui purtroppo a questo giro viene fatto un lavoro psicologico piuttosto sommario. Era prevedibile che la vita nell’universo “canonico” stesse stretta a una donna che nell’altra realtà governava sull’intera umanità e portava morte e distruzione in ogni angolo della galassia, ma il modo in cui Leland riesce a raggirarla, facendo leva su questo malcontento, è piuttosto semplicistico e fa fare all’ex-imperatrice la figura della bimbetta inesperta, manipolabile senza troppi problemi. Fortuna che a un certo punto rinsavisce, anche se pure qui compie una scelta piuttosto risibile quale fermare Leland col solo aiuto di Ash Tyler (che tanto per cambiare le prende sonoramente) invece di chiedere aiuto alla Discovery. Certo, avvertendo Pike e compagni non ci sarebbe stata la scena di battaglia adrenalinica con Leland alla fine e le esigenze di sceneggiatura si possono accettare fino a un certo punto, ma resta il fatto che ancora una volta la narrazione di Star Trek: Discovery sembra più interessata alla creazione di momenti specifici, con tutte le forzature richieste, che alla coerenza e alla verosimiglianza dell’intreccio e dei personaggi. Poco male: ormai è palese l’approccio che Kurtzmann e compagni hanno alla materia trekkiana, tanto vale godersi le botte e i saltuari momenti in cui lo spirito Trek balugina tra le righe di qualche dialogo, senza pretendere di più.
La tendenza di Star Trek: Discovery è sempre stata quella di coniugare orizzontalità e verticalità, mandando avanti episodio dopo episodio la macro-trama generale ma cercando nel contempo di confezionare episodi incentrati su problemi risolvibili nell’arco di una cinquantina di minuti. “Perpetual Infinity” non fa eccezione, sicché ci si ritrova di fronte ad una narrazione molto densa, piena com’è di eventi, di informazioni e di colpi di scena, ma decisamente meno caotica di “Point of Light”. E ancora una volta come da tradizione Trek, la prima metà della puntata è una lenta e tranquilla preparazione dell’azione e dell’adrenalina del secondo tempo, in cui prepara il terreno per i botti finali con dialoghi, confronti tra personaggi e spiegoni che forse risulteranno un po’ indigesti, ma che portano ulteriori pezzi del puzzle al loro posto. La centralità dell’archivio ricevuto dalla creatura-sfera di “An Obol for Charon” è non solo rimarcata ulteriormente, ma finisce per costituire il nucleo attorno a cui si costruisce il problema della settimana: e allora la missione della USS Discovery diventa quella di trovare un modo per impedire all’AI ribelle di mettere le mani su quella preziosa massa di informazioni, passando dalla proposta di distruggerla completamente all’idea geniale di spedirla in un lontanissimo futuro. Certo, si sarebbe potuto spendere un po’ di tempo in più sul dibattito riguardante il destino dell’archivio, alla luce delle implicazioni etiche e pratiche che la perdita di una tale fonte di conoscenza creerebbe, ma siamo ormai abituati alla tendenza della serie di glissare sugli spunti di riflessione più intriganti e degni di approfondimento per favorire piuttosto una trama molto action.
E di azione, come si è già accennato, ce n’è a iosa, grazie al malefico piano messo su da un Leland ormai pienamente controllato dal Controllo (ci si perdoni il bisticcio linguistico). Anzi, forse sarebbe più giusto dire “assimilato”, perché in certe scene che riguardano il comandante della Sezione 31 è palese l’allusione degli autori ai Borg, celeberrimi antagonisti della saga che fecero la loro comparsa esattamente trent’anni fa (per la precisione nell’episodio “Q Who” dell’8 maggio 1989) e che si caratterizzavano propria per la natura ibrida biologico-cibernetica. Resta il dubbio se si tratti solo di un omaggio o se davvero stiamo assistendo alla nascita dei Borg, scelta che legherebbe Discovery non solo alla serie originale ma anche a The Next Generation. E per rimanere in tema di strizzatine d’occhio ai fan, il futuro tutt’altro che roseo che Gabrielle predice al capitano Pike è un riferimento a quello che gli succederà tra qualche anno e che lo trasformerà nello sfigurato rudere umano visto nel doppio episodio “The Menagerie” della serie classica.
Ma torniamo a Leland. Fondamentale, sia per mandare in porto il suo piano di acquisizione dell’archivio sia per sventarne il pieno completamento, si rivela Philippa Georgiou, personaggio su cui purtroppo a questo giro viene fatto un lavoro psicologico piuttosto sommario. Era prevedibile che la vita nell’universo “canonico” stesse stretta a una donna che nell’altra realtà governava sull’intera umanità e portava morte e distruzione in ogni angolo della galassia, ma il modo in cui Leland riesce a raggirarla, facendo leva su questo malcontento, è piuttosto semplicistico e fa fare all’ex-imperatrice la figura della bimbetta inesperta, manipolabile senza troppi problemi. Fortuna che a un certo punto rinsavisce, anche se pure qui compie una scelta piuttosto risibile quale fermare Leland col solo aiuto di Ash Tyler (che tanto per cambiare le prende sonoramente) invece di chiedere aiuto alla Discovery. Certo, avvertendo Pike e compagni non ci sarebbe stata la scena di battaglia adrenalinica con Leland alla fine e le esigenze di sceneggiatura si possono accettare fino a un certo punto, ma resta il fatto che ancora una volta la narrazione di Star Trek: Discovery sembra più interessata alla creazione di momenti specifici, con tutte le forzature richieste, che alla coerenza e alla verosimiglianza dell’intreccio e dei personaggi. Poco male: ormai è palese l’approccio che Kurtzmann e compagni hanno alla materia trekkiana, tanto vale godersi le botte e i saltuari momenti in cui lo spirito Trek balugina tra le righe di qualche dialogo, senza pretendere di più.
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Star Trek: Discovery ha molti pregi ma anche molti difetti, e “Perpetual Eternity” lo dimostra ampiamente, meritandosi una sufficienza ma nulla di più. Un vero peccato, perché col materiale di partenza si poteva (e si può) fare assai meglio. Tranne che con Michael, l’attrice è quella e ce la dobbiamo tenere.
The Red Angel 2×10 | ND milioni – ND rating |
Perpetual Eternity 2×11 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.