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Se non fosse stata annunciata già tempo fa una terza stagione, l’episodio finale della seconda stagione di Star Trek: Discovery potrebbe benissimo essere scambiato per una conclusione definitiva. Ma la consapevolezza che una continuazione ci sarà porta con sé inaspettate speranze per il futuro, perché la scelta narrativa di spedire la USS Discovery in avanti nel tempo fino al XXXII secolo apre scenari totalmente inediti, mai toccati dalle opere precedenti. Chissà, forse sarà riciclata in parte l’idea alla base del mai realizzato progetto Star Trek: Federation di Bryan Singer.
Il futuro della saga, però, è un argomento che andrà affrontato a tempo debito, quando arriverà la terza stagione. Adesso preoccupiamoci di dare un giudizio sulla conclusione della seconda, mettendo subito in chiaro che il season finale in questione è migliore di quanto ci si potesse aspettare. Beninteso, la seconda parte di “Such Sweet Sorrow” non è un capolavoro di scrittura e non bastano le luci, le esplosioni e la CGI per coprire tutte le mancanze, ma fa dignitosamente il suo dovere: intrattenere lo spettatore, chiudere un ciclo narrativo e aprirne uno nuovo. E in ogni caso, qualsiasi cosa sarebbe stata meglio del deludente episodio precedente. Il fulcro della narrazione, ovviamente, è la battaglia tra le USS Enterprise e Discovery da un lato e la Sezione 31 manipolata dal Controllo dall’altro: uno scontro sfavillante, sgargiante, adrenalinico e al cardiopalma, a tratti epico, degno di essere accostato ai grandi spettacoli bellici a cui un’altra saga che reca “Star” nel nome ci ha abituato, sì, ma sul grande schermo.
Purtroppo, duole ammetterlo ma è così, Kurtzman e le sceneggiatrici che l’hanno affiancato in questa puntata non rinunciano a tutta una serie di cliché e luoghi comuni che rendono l’andamento dello scontro prevedibile e a volte anche frustrante. Basti pensare all’immancabile sacrificio di uno dei personaggi (l’ammiraglia Cornwell) per permettere a un altro personaggio (il capitano Pike) di mettersi in salvo, oppure all’arrivo in pompa magna della cavalleria Klingon e Kelpiana proprio nel momento in cui i protagonisti stavano per soccombere, o ancora alla fortuna sfacciata di cui godono tutti i personaggi principali, sopravvivendo allo scontro anche quando ricevono ferite gravi. Non si può nascondere una punta di delusione per l’uscita di scena di Leland e del Controllo, troppo semplicistica e banale nonostante per settimane si fosse rimarcata l’onnipotenza dell’entità artificiale; ma dopo la maldestra gestione di Lorca e la frettolosità con cui è stata chiusa la guerra Klingon l’anno scorso, gli spettatori ci hanno ormai fatto il callo. Immancabile, infine, il momento strappalacrime tra Michael e Spock, che per ovvie esigenze di canone doveva rimanere confinato nel passato e non poteva seguire la USS Discovery nel futuro: inutile dirlo ma lo diciamo lo stesso, le smorfie di pseudodolore della Martin-Green sono assicurate.
Mandare la Discovery nel terzo millennio ha i suoi indubbi vantaggi. Innanzitutto, rappresenta un escamotage narrativo tutto sommato soddisfacente per spiegare come mai non si sia mai parlato in passato della sorellastra di Spock o del motore a spore. In secondo luogo, è una scelta che genera un discreto hype per la terza stagione, perché si tratta di un periodo cronologico mai toccato dalle precedenti serie o film e questo conferirà sicuramente alle nuove avventure di Michael e compagni quel senso di esplorazione dell’ignoto, di scoperta che un’ambientazione già ampiamente nota non poteva dare. Certo, viene da chiedersi perché Kurtzman e Fuller non siano partiti direttamente con una storia ambientata nel XXXII secolo, invece di creare un prequel della serie classica con tutto il suo corollario di incongruenze, forzature e retcon, ma è andata così e dobbiamo accontentarci di queste correzioni in corso d’opera.
Il futuro della saga, però, è un argomento che andrà affrontato a tempo debito, quando arriverà la terza stagione. Adesso preoccupiamoci di dare un giudizio sulla conclusione della seconda, mettendo subito in chiaro che il season finale in questione è migliore di quanto ci si potesse aspettare. Beninteso, la seconda parte di “Such Sweet Sorrow” non è un capolavoro di scrittura e non bastano le luci, le esplosioni e la CGI per coprire tutte le mancanze, ma fa dignitosamente il suo dovere: intrattenere lo spettatore, chiudere un ciclo narrativo e aprirne uno nuovo. E in ogni caso, qualsiasi cosa sarebbe stata meglio del deludente episodio precedente. Il fulcro della narrazione, ovviamente, è la battaglia tra le USS Enterprise e Discovery da un lato e la Sezione 31 manipolata dal Controllo dall’altro: uno scontro sfavillante, sgargiante, adrenalinico e al cardiopalma, a tratti epico, degno di essere accostato ai grandi spettacoli bellici a cui un’altra saga che reca “Star” nel nome ci ha abituato, sì, ma sul grande schermo.
Purtroppo, duole ammetterlo ma è così, Kurtzman e le sceneggiatrici che l’hanno affiancato in questa puntata non rinunciano a tutta una serie di cliché e luoghi comuni che rendono l’andamento dello scontro prevedibile e a volte anche frustrante. Basti pensare all’immancabile sacrificio di uno dei personaggi (l’ammiraglia Cornwell) per permettere a un altro personaggio (il capitano Pike) di mettersi in salvo, oppure all’arrivo in pompa magna della cavalleria Klingon e Kelpiana proprio nel momento in cui i protagonisti stavano per soccombere, o ancora alla fortuna sfacciata di cui godono tutti i personaggi principali, sopravvivendo allo scontro anche quando ricevono ferite gravi. Non si può nascondere una punta di delusione per l’uscita di scena di Leland e del Controllo, troppo semplicistica e banale nonostante per settimane si fosse rimarcata l’onnipotenza dell’entità artificiale; ma dopo la maldestra gestione di Lorca e la frettolosità con cui è stata chiusa la guerra Klingon l’anno scorso, gli spettatori ci hanno ormai fatto il callo. Immancabile, infine, il momento strappalacrime tra Michael e Spock, che per ovvie esigenze di canone doveva rimanere confinato nel passato e non poteva seguire la USS Discovery nel futuro: inutile dirlo ma lo diciamo lo stesso, le smorfie di pseudodolore della Martin-Green sono assicurate.
Mandare la Discovery nel terzo millennio ha i suoi indubbi vantaggi. Innanzitutto, rappresenta un escamotage narrativo tutto sommato soddisfacente per spiegare come mai non si sia mai parlato in passato della sorellastra di Spock o del motore a spore. In secondo luogo, è una scelta che genera un discreto hype per la terza stagione, perché si tratta di un periodo cronologico mai toccato dalle precedenti serie o film e questo conferirà sicuramente alle nuove avventure di Michael e compagni quel senso di esplorazione dell’ignoto, di scoperta che un’ambientazione già ampiamente nota non poteva dare. Certo, viene da chiedersi perché Kurtzman e Fuller non siano partiti direttamente con una storia ambientata nel XXXII secolo, invece di creare un prequel della serie classica con tutto il suo corollario di incongruenze, forzature e retcon, ma è andata così e dobbiamo accontentarci di queste correzioni in corso d’opera.
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Una gioia per gli occhi, un po’ meno per il cervello e per il cuore: il season finaledi Star Trek: Discovery punta in alto e potrebbe rivaleggiare con certe space operas cinematografiche, ma si conferma quel prodotto nazional-popolare che può soddisfare sul serio solo gli spettatori di bocca buona. Perlomeno, si è riusciti a rimettere a posto il canone della saga e lo scenario del XXXII secolo è sufficiente a suscitare una discreta curiosità per la terza stagione.
Such Sweet Sorrow 2×13 | ND milioni – ND rating |
Such Sweet Sorrow (Part 2) 2×14 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.