Da tempo ormai è in corso una diatriba tra i seguaci dello show di Chuck Lorre, che noi stessi, pur non volendo il più delle volte sembrar troppo ripetitivi, ci ritroviamo per forza di cose a ribadire, se non altro quando ci troviamo di fronte difetti eccessivi e altrettanto ridondanti. Innumerevoli sono gli argomenti, episodio dopo episodio, per quanto in fondo si rivelano poi sempre gli stessi, creando due categorie piuttosto definite: chi pensa che si siano snaturati i personaggi, chi dopo nove stagioni trova naturale una loro evoluzione; chi taccia gli altri come criticoni dell’ultima ora dopo che la serie è diventata tanto popolare e “mainstream”, accusati poi a loro volta di esser dei “fanboy” che non vogliono ammettere l’evidenza; c’è poi chi ha sempre sbeffeggiato la serie, rea di aver marciato su facili stereotipi “nerd” e quindi poco veritieri, boicottando lo show e chiudendosi in un “rewatch” di 30 Rock o Parks And Recreation. Perché poi alla fine si riduce tutto lì, a un mera (e forse più giusta) dicotomia tra ciò che fa davvero ridere e cosa no, malgrado le risate registrate vogliano sostituire la nostra soggettività.
Il nostro compito è infatti quello di andare oltre i gusti personali e la concezione del tutto individuale di comicità alta e raffinata che ognuno può avere, concentrandoci invece su quelli che sono i dati più insindacabili e sotto gli occhi di tutti, ma non per questo troppo banali o scontati. Innanzitutto, le domande da porsi, tanto per cambiare, anche qui sono piuttosto semplici: cosa non va per nulla in The Big Bang Theory oggi? C’è qualcosa che funziona e, se sì, ci sono ancora spiragli di buona televisione oppure è arrivata l’ora di abbandonare la buona e vecchia gang una volta per tutte? Per rispondere a tali quesiti, i due ultimi episodi oggetto della nostra analisi sono probabilmente il pretesto più lampante ed efficace per argomentare e magari sbrogliare in qualche modo l’annosa controversia.
“The Empathy Optimization” rappresenta quindi “cosa non va”, rispondendo così già alla prima domanda. Il fulcro, come al solito, è Sheldon Cooper, il protagonista più popolare, l’attore più pagato, simbolo massimo, o più probabilmente vittima se preferite, del presunto declino dello show. In questo episodio, il fisico più famoso al mondo fa probabilmente ciò per cui tutti i detrattori della serie lo criticano, nel suo dimostrarsi non solo irriconoscibile rispetto a una volta, soprattutto tradendo la sua impostazione di base, oltre che ovviamente apparendo ai più ripetitivo e poco divertente. Sta infatti tutto qui il confine sottilissimo che separa l’evoluzione di un personaggio, che se ben congegnata può solo far bene specialmente in una serie così duratura, dalla sua completa snaturazione, perché lo spoglia di tutte quelle caratteristiche e prerogative che lo rendono semplicemente quello che è. Non vi sono ricercate sfumature, quindi, ma solo nuove e incongruenti modalità di comportamento, macchiate, inoltre, da una scrittura sciatta e abbastanza pigra.
Non basta una scialba riproposizione dello Sheldon “malatto” per farci riprendere familiarità col passato se poi, a maggior ragione, lo si vede intraprendere un “tour di scuse” per il suo atteggiamento, provando addirittura “empatia”, con tanto di imbarazzanti tentativi in camera; è insomma la differenza che c’è tra una scelta controversa come quella della perdita della verginità consumatasi in “The Opening Night Excitation“, inammissibile durante i fasti dello show ma costruita pian piano e in maniera credibile, e quella che lo fa pregare la compagnia di salire sul “disco bus” e correre gioioso perché alla fine glielo permettono, quando un coerente Sheldon sarebbe stato più che felice di restare a casa a farsi i fatti suoi (e il problema è che non ci sono giustificazione reali perché ciò non sia accaduto). La scena finale diventa così l’emblema di tutto ciò che la categoria dei più disillusi lamenta, con dei “comprimari” ridotti a poco più di spalle comiche, funzionanti solo per esaltarne o al contrario limitarne le stranezze (e, ora siamo noi a pregare gli autori, lasciate in pace il povero Stuart, davvero).
“The Meemaw Materialization” presenta d’altro canto gli elementi positivi e concreti su cui uno show arrivato, come detto, al suo nono anno di messa in onda, per giunta su di un network generalista e quindi con 24 episodi da dover scrivere, potrebbe e forse dovrebbe puntare. Non gridiamo certo al miracolo, sia chiaro, ma comunque non sono di piccola rilevanza le potenzialità espresse da quest’ultima puntata, in termini più che altro di mera lungimiranza.
Partiamo ancora una volta dallo Sheldon protagonista, con l’arrivo della “nonna”, fattasi attendere(?) per così tanto tempo. Forse, va detto, la visita può dirsi abbastanza deludente, perlomeno rispetto alle aspettative, ma comunque si nota una certa cura nei dettagli da parte degli autori (e del casting), specialmente nell’aspetto da “nonna affettuosa”, perfettamente corrispondente ai racconti di Sheldon. Un amore che si ripropone nell’inaspettato ed improvviso attacco a Amy, figlio quest’ultimo non di un ferreo e intransigente lato nascosto della donna (che abbiamo visto appartenere più alla mamma), quanto piuttosto raffigurazione di una nonna innamorata totalmente del proprio nipote. Ma ovviamente è la reazione di Sheldon che ci preme di più analizzare e, a tal proposito, notate bene quanto cambia rispetto al precedente. Pur dimostrando ad Amy una protezione sorprendente rispetto al passato (per la quale comunque c’è voluto l’intervento degli amici), Sheldon rimane insensibile alla gratitudine di lei (la gag del fazzoletto, al momento del suo pianto) esattamente come la (diciamolo, piuttosto arguta) battuta pronunciata alla fine del coito con Amy sul rifarlo l’anno successivo.
Dall’altro versante però, stupisce (ed è tutto dire) quanto i comprimari, stavolta, la facciano da padrone o almeno alcuni di loro (i citati Leonard e Penny, infatti, mantengono la loro vena “spettatoriale”, eppure anche qui, in maniera decisamente più simpatica ed esilarante del precedente). La storyline, di Raj, Howard e Bernadette finalmente procede per i propri passi presentando tutta una propria importanza di trama, puntando soprattutto sui punti forti del background di ognuno di loro, e sì, con relative evoluzioni (vedi le battute da “sposini” dei coniugi Wolowitz). Lo scambio dialogico che si consuma alla fumetteria tra Raj e la nuova “fiamma”, con un Howard in grande spolvero in questa versione magari matura ma sempre irriverente, è solo il preambolo alla scena della discussione a cena, a casa della coppia. L’indiano chiede consiglio (tradizione), Howard e Bernadette lo aiutano prendendolo comunque in giro (tradizione), Raj però rimedia l’appuntamento (evoluzione), ma in fondo mantenendo sempre lo stesso tipo di approccio da eterno romantico ma “sfigato” (la supplica al telefono, la visione finale), restando quindi tutti fedeli ai propri caratteri distintivi. Magari fosse sempre così.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Sales Call Sublimation 9×12 | 15.85 milioni – 3.8 rating |
The Empathy Optimization 9×13 | 15.75 milioni – 3.8 rating |
The Meemaw Materialization 9×14 | 15.29 milioni – 3.8 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.