“The law is supposed to be fair, not impersonal“.
The Good Wife ultimamente si era dimenticata di essere un legal darma. Diciamo che aveva ben presente la parte drama, meno la parte legal ma già con lo scorso episodio si era fatta perdonare ritornando in carreggiata. Oggi riesce a fare molto meglio legando legge e politica meglio di quanto avesse tentato nel corso della presente stagione.
Mi sto riferendo alla storyline di Diane, personaggio troppo maschile per poter essere la moglie democratica di un repubblicano come si era maldestramente cercato di fare.
Brevemente, Mrs Lockhart viene chiamata dal suo amicone repubblicano conosciuto in Red Meat per una consultazione prima e una simulazione processuale poi. E l’argomento non può che essere dei più attuali: una wedding planner che si rifiuta di organizzare un matrimonio omosessuale per il suo credo religioso. La causa non regge, lo dimostra Diane con i mille esempi durante la prima parte della puntata (quando ancora si ipotizzava su una semplice pasticciera) ma lo dimostra anche nella finta aula di tribunale, quando è chiara la posizione della wedding planner. Quello che si palesa è un chiaro intento discriminatorio, nemmeno poi tanto camuffato: la signora deve svolgere una mera organizzazione, non deve unire civilmente in matrimonio i due clienti e non è vincolata ad assistere alla cerimonia se non vuole. Ad avvalorare l’accusa è il fatto di trovarsi in uno Stato che ha riconosciuto e ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Conclusasi la vicenda in aula, la parte più interessante si concretizza nello scambio di battute tra Diane e R.D. Il motivo per cui è stata imbastita la simulazione non è certo per gridare a gran voce il diritto al proprio credo, ma è una semplice manovra dei repubblicani per andare contro i matrimoni gay e, ancora una volta, si torna a repubblicani vs. democratici: ad Obama fa comodo essere a favore delle unioni omosessuali oggi, quando tre anni fa nessun democratico avrebbe speso una parola in favore della questione. E’ politicamente comodo non essere a favore, è realmente così? La risposta, a mio avviso, la dà lo stesso RD due secondi dopo, a lui piacciono le persone saldamente ancorate alle proprie convinzioni, proprio come la wedding planner (aggiungerei), convinzioni che risalgono si e no a più di sessant’anni fa. La società si evolve e la legge altro non è che frutto dell’organizzazione sociale e civile che muta, è l’espressione di una collettività in quel dato momento storico. La società si evolve e con essa, la legge.
Purtroppo la seconda sottotrama della puntata non è all’altezza dell’aspetto legale della serie. L’idea era partita bene: una giornalista che scredita Alicia tramite le famose email hackerate allo studio. E’ la risoluzione della questione che pone non pochi problemi. Il primo punto che rileva è Alicia che segue le direttive, non tanto di Eli, ma di Peter. Il nuovo Procuratore di Stato dice chiaramente ad Eli che minimizzare, negare la sua storia con Will sarebbe un affronto alla memoria dell’amato collega. In effetti questa è l’Alicia che conosciamo, che non userebbe mai le persone a lei care per pulire la sua immagine. Ma è anche l’Alicia che durante la campagna elettorale non si è tirata indietro e ha ascoltato Eli per quanto riguarda strategia politica, interviste e sorrisi regalati a destra e sinistra. Fin qui, tutto tornerebbe se non fosse per quel piccolo particolare di far parlare Alicia con Peter. Come se Peter avesse da sempre sulla moglie un’influenza tale da poterle far dire quello che ritiene giusto. E questo minimizza le scelte di Alicia come avvocato, moglie, donna e politico, considerando che ella non rispetta e stima Peter né come procuratore, né come marito, né come uomo, né come politico.
Il riavvicinamento amicale tra i due non è per niente coerente e in il linea con le scelte operate fino adesso dagli sceneggiatori: i due si odiano, non stanno più insieme da anni e mandano avanti quello che è solo un matrimonio di facciata, comodo politicamente per entrambi.
Parallelamente si snoda la vicenda di Kalinda che si è messa nei guai ad inizio stagione falsificando delle prove per il processo di Cary. Ora, pur apprezzando la continuity della serie che non dimenticata e accantona le azioni dei nostri personaggi, tuttavia non sfugge dalla nostra riflessione il fatto che Kalinda è stata appioppata -nel vero senso della parola- al personaggio di Bishop per più o meno tutta la sesta stagione. Ed ora, quasi alla fine, si cambiano le carte in tavola? No, non va bene. Strattonare Kalinda da un guaio ad un altro è la mossa peggiore non solo per lei ma per qualunque personaggio, specie se il guaio precedente non è stato sviluppato per nulla. E dello stesso problema soffre lo scoop finale del servizio realizzato su Alicia: siamo stati un numero considerevole di episodi a parlare dell’aiuto illecito di Bishop e ora, a fine stagione, sbuca uno scandalo completamente nuovo. Scandalo che molto probabilmente non avrà fondamento, ma invece di utilizzare le ultime puntate per gettare altra carne al fuoco perché non sviluppare, bene, il materiale che già si ha?
Un po’ di dubbi su una stagione non brillante come le altre non ci impediscono comunque di gioire per il rinnovo ufficiale di una settima -probabilmente ultima- stagione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Purtroppo però il voto risente fortemente dell’altra metà episodio, incentrata su scelte autoriali discutibili per quanto riguarda Peter e Alicia e una totale indifferenza nel trattare il personaggio di Kalinda.
Undisclosed Recipients 6×17 | 9.37 milioni – 1.1 rating |
Loser’s Edit 6×18 | 7.78 milioni – 1.0 rating |
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Lunatica, brutta, cinefila e mancina. Tutte le serie tv sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre.