Continua l’apocalisse tragicomica del nostro oramai ristretto gruppo di sopravvissuti, questa volta alle prese con l’estremo addio a Phil Miller II – per gli amici Stacy – che riesce nella straordinaria impresa di attirare le nostre ire perfino da morto.
Una puntata che arriva perfino a strapparci qualche sorriso nei suoi momenti di massima brutalità, uno dei tratti significativi della serie, dovuto anche al contesto post-apocalittico e dunque al nuovo modo di approcciarsi a faccende delicate, come appunto la morte, dimostrato da parte dei sopravvissuti.
The Last Man On Earth, un po’ come tutte le comedy, rappresenta sempre una sfida, arrivati al momento della stesura di una recensione: da una parte, si ha sempre la sensazione di aver già detto tutto, rischiando così di sembrare ripetitivi; dall’altra, recensire episodi di venti minuti, spesso autoconclusivi – seppur tenuti assieme da backstory significative quali il ricongiungimento ormai prossimo tra i fratelli Miller o il triangolo amoroso Melissa-Todd-Gail – e costruiti attorno alla vicenda centrale di puntata, può portare il recensore sull’orlo della follia nel tentativo di ricercare chissà quale significato celato dietro le azioni compiute dai personaggi.
Dunque, a pochi episodi dal season finale, limitiamoci ad un’analisi, un resoconto se vogliamo, dello show e soprattutto della sua evoluzione, narrativa ma ancor più stilistica. Ciò che appare evidente è come in questa seconda annata la serie abbia conquistato maggiore sicurezza senza però snaturare l’unicità conferita dal contesto post-apocalittico. Questa consapevolezza, maturata anche grazie al passaggio di testimone tra Will Forte e Dan Sterling in merito al ruolo di showrunner, che quindi ha alleggerito da un pesante fardello il creatore e protagonista della serie, ha permesso a quest’ultimo di liberare tutta la sua demenzialità senza accantonare mai del tutto la forte componente emotiva, mettendo da parte solo temporaneamente l’aspetto finzionale dell’opera, per poi rivelare sporadicamente il lato più umano dei nostri protagonisti.
La serie, cucita attorno al personaggio interpretato da Forte e quindi fortemente dipendente dal suo stile recitativo e dalla sua comicità estrema e demenziale, ha il grande pregio di non essere mai scontata, mostrando una notevole capacità di reinventarsi, toccando temi mai prevedibili. Il funerale vichingo organizzato da Phil in questo episodio ne è l’ennesima riprova. Tutti coloro che, più di un anno fa, erano pronti a scommettere sul precoce fallimento della serie, partita (inverosimilmente) come one man show e poi (doverosamente) trasformata nelle dinamiche di base in una classica sit-com corale, dovranno certamente ricredersi giunti a questo punto dello show, piegandosi dinnanzi all’ottimo lavoro autoriale compiuto finora. Un lavoro autoriale che forse non si è tradotto in un susseguirsi continuo di risate, quantomeno non classiche risate di pancia, ma certamente meritevole dei nostri elogi per la capacità di prendere in giro in maniera intelligente tutti gli aspetti più deprecabili relativi all’uomo (non solo americano) del nuovo millennio, utilizzando l’apocalisse come mezzo per analizzare la sua componente più selvaggia, normalmente messa a freno dalle più comuni regole di convivenza civile.
La serie ha naturalmente i suoi alti e bassi, ma la costante esplorazione del contesto di riferimento, unito alle nascenti dinamiche legate alla comedy classica (la scomparsa di uno dei membri del gruppo, il triangolo amoroso, la gravidanza di Erica, le piccole scoperte riguardo l’epidemia, l’arrivo di un nuovo personaggio all’interno del gruppo, ecc.), fanno sì che la serie riesca a tirare avanti senza risultare mai noiosa, avvalendosi anche di un taglio comico spesso ricercato, nonostante la deriva demenziale, arricchito da citazioni e canzonature alla cultura pop cinematografica e non.
The Last Man On Earth, pur restando fortemente salda alla forte componente comedy, rappresenta un ottimo esempio di quel genere “dramedy” tanto amato dalla serialità televisiva negli ultimi anni, raccontando attraverso la sua grottesca comicità la storia di un gruppo di persone alle prese con un mondo ormai prossimo al totale disfacimento. La morale celata dietro episodi come “Valhalla”, in realtà, è molto più semplice da ricercare di quanto sembri. Non occorre dunque essere recensori sulla soglia di una crisi di nervi per arrivarci: in un mondo profondamente cambiato, segnato da una pandemia che inevitabilmente ha messo la parola fine all’umanità come siamo abituati a concepirla, l’unica costante è l’incontrovertibile normalizzazione della condizione umana, indipendente dall’ambiente circostante ma bensì fortemente legata alla nostra natura sociale e alla nostra (inevitabile) dipendenza dai rapporti sociali che instauriamo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Pitch Black 2×11 | 2.72 milioni – 1.1 rating |
Valhalla 2×12 | 2.56 milioni – 1.1 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.