The Last Man On Earth non è la solita comedy. Quante volte abbiamo ripetuto questa frase? Sinceramente, molte. Non tanto per mancanza di fantasia (un po’ sì) ma perché, a prescindere dal proprio livello di tolleranza nei confronti del genere dramedy – genere ibrido che vede in TLMOE una perfetta sintesi – lo show ideato da Will “Tandy” Forte rappresenta una delle alternative più interessanti ai titoli comedy maggiormente consumati dal pubblico cosiddetto generalista. In sintesi, serie come The Big Bang Theory o Modern Family (nomi non certo casuali), le quali, a prescindere da ciò che gli autori diranno per convincervi del contrario, hanno evidentemente raggiunto il proprio punto di saturazione, possono essere viste come il grado zero della comicità contemporanea. Questo perché la loro scrittura, oramai priva di qualsivoglia mordente, finisce per obliterare il principio cardine alla base della comedy: far ridere. Un principio che, superati i 5/6 anni di programmazione, diventa difficile portare avanti mantenendo alto il livello di comicità senza scadere nel riciclaggio di vecchi cliché o, ancor peggio, nella comicità fine a se stessa.
Ed è proprio in tal senso che The Last Man On Earth si è dimostrata imbattibile. Comicità sì demenziale, ma mai fine a se stessa. L’impostazione non-sense su cui si fonda l’intera economia della serie, che piaccia o meno, ha progressivamente trovato un suo perfetto equilibrio con la componente drama (Scrubs docet), producendo come primo effetto una forte empatia con i protagonisti delle vicende, sprovvisti di divani in pelle e salotti artificiosamente arredati e per questo molto più veri nonostante il particolare contesto post-apocalittico. Il secondo effetto riguarda invece un aspetto molto più raro da riscontrare in una serie studiata allo scopo di far ridere, effetto scaturito dall’insolito contesto entro cui si muovono i nostri protagonisti: l’incertezza. Incertezza dal punto di vista narrativo, questo sì. Tutto può succedere (e succede) in qualsiasi momento, così, senza preavviso. Ma anche incertezza riguardo le sorti dei nostri protagonisti, alle prese con un mondo in rovina pronto a collassare su se stesso da un secondo all’altro.
Un collasso che infatti non tarda ad arrivare. Come pronosticato dal buon vecchio Lewis, per l’occasione reincarnatosi in aspirabriciole, è soltanto questione di tempo prima che la tecnologia, senza un doveroso controllo umano, cominci a soccombere all’ordine naturale delle cose. Prima i satelliti, poi le centrali nucleari, e così la profezia del pilota d’aerei con la carriera più breve della storia si avvera, ponendo i nostri sopravvissuti in una posizione estremamente scomoda, la più scomoda vista finora: fuggire da un imminente olocausto nucleare (o nuculare se volete) in un paese che genera quasi il 20% della propria energia elettrica proprio grazie all’energia atomica.
Si produce così una sorta di “Effetto Game Of Thrones” – tale principio viene così enunciato: l’impercettibile battito d’ali compiuto da una farfalla in un determinato luogo del pianeta può condurre all’atroce morte del tuo personaggio preferito dalla parte opposta del globo, senza alcun rispetto della sua importanza all’interno della narrazione – grazie al quale lo spettatore è in grado di avvertire un costante alone di pericolosità ruotare attorno ai suoi beniamini, costretti a vivere in un mondo che sfugge da qualsiasi tipo di controllo da parte dell’essere umano.
Solitamente la falce autoriale finisce con il colpire personaggi estranei al nucleo principale formato da Phil, Carol, Todd, Melissa, Gail ed Erica, ma comunque soltanto in seguito allo sviluppo di un legame affettivo creatosi con uno dei membri del main cast (con l’unica eccezione del Gordon di Will Ferrell, il cui legame con Gail, seppur forte, viene solo accennato allo spettatore). In questo modo è possibile per gli autori gestire la dipartita del character a proprio piacimento, sfruttandola dal punto di vista drammatico, come accaduto per Mike (vorremmo dire anche di Phil II ma nel suo caso l’indifferenza nei confronti del personaggio era tale da non suscitare un bel niente, se non un sincero sollievo); oppure giocandoci sopra come con Lewis, attraverso un uso intelligente del black humour, tipologia di umorismo connaturata a gran parte del genere dramedy.
Questa volta dinnanzi alla falce si presenta Erica, personaggio sostanzialmente trascurato nel corso di questa terza stagione e utilizzata qui in questo season finale per veicolare, utilizzando l’espediente del parto, un messaggio allo spettatore. Il parto di Erica, o meglio la sua riuscita, rappresenta una tappa fondamentale del percorso di sopravvivenza dei nostri protagonisti. Nel caso di Phil II si trattò di un malore improvviso, impossibile da prevedere e quindi molto più difficile da gestire. Questa volta, invece, Gail ha avuto di modo di prepararsi e, attraverso questo successo, gli autori intendono mostrarci il risultato del processo di crescita avviato dal nostro gruppo di sopravvissuti: la forza di Erica, la tenacia di Gail, la sensibilità di Todd, il coraggio di Carol, tutte queste doti contribuiscono alla riuscita del parto, conferendo un’ulteriore spinta emotiva alla già significativa nascita della piccola Dawn.
Ma non dimentichiamoci di Tandy, anche lui portatore di un valore molto importante: l’ingenuità. Ingenuità che spesso si presenta sotto forma di stupidità, ma di quelle gravi, a un passo dal ritardo mentale. Importante perché è proprio questo modo di vedere il mondo, ingenuo ma genuino, il collante necessario al gruppo per andare avanti, evitando ogni possibile sfaldamento e scoprendo ogni giorno una nuova ragione per continuare a vivere in questa terra devastata dal virus. Non è certo un caso che all’allontanamento dalla “sala parto” segua un faccia a faccia tra Tandy e Jasper, grazie al quale abbiamo a disposizione il punto di vista di un bambino rispetto al nuovo modo di vivere post-pandemia. Dialogo che, da un lato, offre nuovi spunti comici grazie alle affermazioni totalmente fuori luogo di Tandy (“You have more of a chance of dying on this slide than Erica has of dying in childbirth”), e dall’altro sottolinea gli effetti che una catastrofe del genere potrebbe avere su un bambino, oramai abituato a dover dire addio a tutte le persone a lui care.
Impeccabile infine la scelta operata sul finale, archiviando in pochi secondi la grande minaccia di stagione grazie all’intervento di Pamela, la donna dietro al drone in “Got Milk?“, che grazie al suo headshot riesce a rendere inaspettata un’entrata in scena che, in condizioni normali, sarebbe risultata estremamente prevedibile. L’ingresso di un nuovo character, in aggiunta ai meno interessanti Jasper e Dawn, rimescola ulteriormente le carte in gioco, ponendo le basi per un possibile cambiamento nelle dinamiche del gruppo e aumentando così l’hype in attesa del prossimo episodio.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Big Day 3×16 | 1.96 milioni – 0.8 rating |
When The Going Gets Tough 3×17 | 1.80 milioni – 0.7 rating |
Nature’s Horchata 3×18 | 1.80 milioni – 0.7 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.