Una perfetta simmetria, come quella dei movimenti dei personaggi perfettamente in sincrono, caratterizza la struttura di questo ottavo, nonché ultimo, episodio della prima stagione di The OA. Tutta la stagione è andata avanti scandita dal binomio tra presente e passato mediante il flashback di Prairie. Il tutto era però nato da un particolare quanto brusco stacco all’interno del primo episodio, dove improvvisamente un clima intimo e “grigio” aveva lasciato spazio ad uno scenario luminoso, onirico e fiabesco. Più si è andati avanti, più lo schema standard della stagione ha lasciato poco spazio alle sorprese. Poi è arrivato “Invisible Self”, con la sua struttura peculiare e armonica: l’alternanza viene troncata prepotentemente a metà episodio, con un’interruzione del racconto (ma forse poco altro c’era da raccontare) e con la seconda parte di “Invisible Self” dedicata interamente al presente, lo stesso grigio presente che aveva caratterizzato la prima metà di “Homecoming”.
Tanto è stato forte questo binomio che sia lo spettatore vero che quelli interni al racconto (i ragazzi) hanno bramato per ogni incontro/episodio di sapere come sarebbe andata a finire la storia di prigionia che ha coinvolto gli ultimi 7 anni della vita di Prairie. O, più precisamente, sapere in che modo si erano sviluppati gli eventi tanto da richiedere un aiuto da parte di cinque elementi per salvare Homer e gli altri. Il culmine degli eventi raccontati da Prairie, quindi la svolta della sua prigionia, arriva con quello che è un colpo di scena tutto da analizzare. La moglie del poliziotto Stan, malata di SLA, è colei che, totalmente a sorpresa, custodisce il quinto movimento, utile ad aprire il famoso passaggio per le altre dimensioni. Questa scelta narrativa offre diversi spunti, soprattutto alla luce della percezione “illuminista” che si ha oggi del racconto televisivo. La coincidenza cosmica e il caso fortuito non sono sempre ben visti, troppo riconducibili, più o meno maliziosamente, ad un’idea di scorciatoia. Per farla semplice: lo sceneggiatore che vuole sbrogliare una situazione senza sapere come, prima o poi, aggiungerà un tipo di coincidenza trascendente dal semplice causa-effetto che tanto ha avuto fortuna in alcune serie TV che hanno fatto del realismo il loro punto di forza. Si capirà che non è certo il realismo che ha portato avanti una serie come The OA, il cui motore trainante è stato determinato dalla pura e semplice ambiguità. La dimensione estremamente fiabesca (potenziata dal racconto “intorno al fuoco“) ha reso quindi a modo suo coerente l’aspetto deterministico dell’incontro con la donna malata di SLA, che aveva avuto in passato la premonizione del suo incontro con i “due angeli”. Abbiamo quindi una dichiarazione d’intenti niente male: il rapporto causa-effetto sorretto dal caso viene lasciato da parte, in favore di un determinismo in cui il Destino la fa da protagonista (tanto è vero che Prairie stessa ha delle premonizioni, come quella della sparatoria all’interno della mensa).
Ma l’ambiguità è anche un’ulteriore protagonista, nello specifico, di questo ottavo e ultimo episodio. Occorre partire da un punto ben preciso. Il racconto di Prairie viene interrotto bruscamente (senza più riprendere) nel momento in cui viene abbandonata da Hap. In quel momento l’alternanza tra presente e passato si fa sempre più sottile, gli eventi a noi mostrati e quelli solo narrati sono scanditi da una durata sempre minore, quasi un monito per gli spettatori che ritornerà utile più tardi: ci si può credere quanto si vuole, ma è pur sempre un racconto.
Quando poi French, infatti, andrà a cercare informazioni all’interno della casa vuota di Abel e Nance, una potenziale verità viene sbattuta in faccia agli spettatori di tutti i tipi (quelli reali, quelli interni al racconto). Come la sequenza precedentemente descritta ci ha fatto notare, tutto quello che è stato mostrato nei 7 anni di sparizione di Prairie, veritiero per noi perché davanti ai nostri occhi, altro non è stato che una storia, la cui veridicità è tutta da mostrare e dimostrare. Il momento in cui anche lo spettatore davanti Netflix si pone delle domande – una delle quali contempla anche l’effettiva presenza di una seconda stagione – è sostanzialmente breve (si è alle battute finali dell’episodio), sicuramente meno breve di quello di Steve e soci, sottoposti ad un “avanti veloce” scenico, tornati alla loro quotidianità.
In generale, viene messo tutto particolarmente in discussione, non solo per i libri trovati da Alfonso. C’è un dettaglio, interno alla casa vuota di Prairie, forse più significativo ancora. Alfonso, prima di trovare i libri, apre l’armadio e indirizza la sua attenzione su un violino. Viene da chiedersi: ma se Prairie, secondo il suo racconto, era stata adescata mentre suonava in una stazione della metropolitana, e nel momento del suo ritrovamento evidentemente non aveva un violino, come può trovarsi questo nel suo armadio? Poteva averne più di uno, è vero, può anche essere una svista degli sceneggiatori, ma viene da chiedersi il perché si è indugiato su tale particolare (potenziato da Steve e Alfonso che trovano un suo video su YouTube).
L’anti-climax della seconda metà di episodio, in cui si torna su Abel e Nance, veramente protagonisti della prima metà del primo episodio, serve quindi a spegnere gli animi, ormai trascinati dal metafisico spinto. L’ambiguità sopra-descritta, quindi, apre più domande di quante ne fossero state poste durante la prima metà del racconto. La sequenza finale, epica a dir poco, sembra tranquillizzarci da un lato, sulla veridicità di quello che ha raccontato Prairie (se uno effettivamente vuole crederci: di fatto non è che si vede accadere niente di particolare), ma allo stesso tempo ci catapulta prepotentemente in una nuova spirale di domande. Una storia che si stava dispiegando in maniera così limpida, scivolando verso un anti-climax senza precedenti, ci lascia di stucco e letteralmente non capiamo cosa sia successo. Le mosse dei cinque in mensa hanno portato a qualcosa? Prairie, nel finale, colpita da un proiettile, sta vivendo l’ennesima EPM? Oppure è riuscita effettivamente a varcare una soglia? Inutile dire che tutti gli eventi degli ultimi minuti si pongono coerentemente nella già citata categoria del nonsocosahovistomaèstatomaestoso. I movimenti in sincrono di personaggi così diversi tra loro, oltre alla spettacolarità scenica, garantiscono la ciliegina sulla torta di una tendenza narrativa che ultimamente sta trovando terreno fertile soprattutto su Netflix. Basti pensare a Sense8 o Stranger Things dove ciò che più avvicina lo spettatore agli show è anche e soprattutto l’unione e l’unità di personaggi più o meno compatibili. Nel caso di The OA sono addirittura due i gruppi che vediamo unire e cooperare.
A questo punto, come ogni serie Netflix in cui non c’è nemmeno il tempo e il modo di intuire la possibilità di un rinnovo o di una cancellazione, è lecito iniziare a farsi qualche domanda sulla prosecuzione della serie. Volontà della piattaforma streaming a parte, indubbiamente non si possono chiudere gli occhi di fronte agli evidenti cliffhanger che ci lasciano totalmente bloccati e già in astinenza, con la voglia di vedere ancora episodi di The OA.
Se qualcuno mastica serie TV da una sufficiente quantità di tempo, intuirà che effettivamente c’è la possibilità che le mosse dei cinque personaggi all’interno della mensa potrebbero se non altro aver spostato il centro narrativo da un’altra parte, per cui sarebbe effettivamente necessaria una seconda stagione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Empire Of Light 1×07 | ND milioni – ND rating |
Invisible Self 1×08 | ND milioni – ND rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.