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“What do we when our world is turned upside down? When everything we thought to be true is ripped away, and we’re forced to face a new reality? Sophie Gelson has just awoken to the fact that when we put away childish things, we may be closing our eyes instead of opening them. And that perhaps our only hope is to face all reality, a multitude of truths, not shrinking from that vital, arrogant, fatal, dominant “X” beyond imagination, but to embrace it. To open ourselves to the unknown, not the end of the story but a new beginning for The Twilight Zone.”
La prima stagione di The Twilight Zone termina qui. Per il terzo remake televisivo del fortunato show di Rod Serling non si tratta di un addio ma di un semplice arrivederci, visto il rinnovo concesso già settimane fa da CBS All Access. E l’episodio con cui Jordan Peele si congeda momentaneamente dagli spettatori è forse il più ambizioso dei dieci trasmessi quest’anno, una riflessione sulla vera natura dello show e insieme una grandissima dichiarazione di affetto e di rispetto nei confronti della serie classica e del suo creatore, Rod Serling.
“Blurryman” si apre con quello che sembrerebbe il caso della settimana: lo scrittore Adam Wegman ha un’intuizione geniale per la sua prossima storia, ma nel momento in cui verga le prime righe descrivendo un mondo post-apocalittico, si accorge con orrore che ciò che ha scritto è diventato realtà. Si tratta di un canovaccio fin troppo simile a quello del primo episodio, “The Comedian”, e l’irruzione di Peele-narratore sulla scena conferma sulle prime la sgradevole impressione di trovarsi dinanzi all’inutile ripetizione di un tema già affrontato; ma subito dopo l’attore interrompe il monologo e allora appare chiaro che ci si trova proprio sul set di The Twilight Zone, durante le riprese del season finale.
Jordan Peele, che qui non interpreta più il narratore fittizio ma semplicemente se stesso nei panni del creatore e produttore della serie, non è soddisfatto dal lavoro della sceneggiatrice Sophie Gelson, e in particolare del modo troppo plateale e didascalico con cui tratta il tema dell’episodio che stanno girando.
Nel breve ma significativo dialogo tra Sophie e Jordan si tocca una questione tutt’altro che banale: cos’è effettivamente The Twilight Zone? Una raccolta di storie per intrattenere lo spettatore e sorprenderlo con plot twists spiazzanti, oppure un mezzo per veicolare riflessioni su temi di un certo peso? Jordan si fa alfiere della prima posizione e di un tipo di narrativa più leggera e meno impegnata, in cui il messaggio di fondo va smussato, stemperato, messo in secondo piano rispetto alla narrazione pura e semplice: sostanzialmente il tipo di fantascienza che va per la maggiore oggigiorno, nascondendo una pochezza contenutistica a volte allucinante dietro luci, esplosioni, effetti speciali e colpi di scena. Sophie, invece, non ha dubbi: l’opera deve avere un messaggio di fondo, deve farne il fulcro della narrazione e deve sforzarsi il più possibile di farlo risaltare, perché è questo che eleva The Twilight Zone dalla bassa fantascienza di consumo o dalle storielle dell’orrore che si raccontano intorno al fuoco in campeggio. La grande lezione di Rod Serling sta proprio nell’aver preso un genere apparentemente d’evasione e averlo sfruttato per trattare temi importanti e a volte scomodi senza incappare nelle censure televisive.
Jordan Peele, che qui non interpreta più il narratore fittizio ma semplicemente se stesso nei panni del creatore e produttore della serie, non è soddisfatto dal lavoro della sceneggiatrice Sophie Gelson, e in particolare del modo troppo plateale e didascalico con cui tratta il tema dell’episodio che stanno girando.
Nel breve ma significativo dialogo tra Sophie e Jordan si tocca una questione tutt’altro che banale: cos’è effettivamente The Twilight Zone? Una raccolta di storie per intrattenere lo spettatore e sorprenderlo con plot twists spiazzanti, oppure un mezzo per veicolare riflessioni su temi di un certo peso? Jordan si fa alfiere della prima posizione e di un tipo di narrativa più leggera e meno impegnata, in cui il messaggio di fondo va smussato, stemperato, messo in secondo piano rispetto alla narrazione pura e semplice: sostanzialmente il tipo di fantascienza che va per la maggiore oggigiorno, nascondendo una pochezza contenutistica a volte allucinante dietro luci, esplosioni, effetti speciali e colpi di scena. Sophie, invece, non ha dubbi: l’opera deve avere un messaggio di fondo, deve farne il fulcro della narrazione e deve sforzarsi il più possibile di farlo risaltare, perché è questo che eleva The Twilight Zone dalla bassa fantascienza di consumo o dalle storielle dell’orrore che si raccontano intorno al fuoco in campeggio. La grande lezione di Rod Serling sta proprio nell’aver preso un genere apparentemente d’evasione e averlo sfruttato per trattare temi importanti e a volte scomodi senza incappare nelle censure televisive.
Questa tematica viene apparentemente messa in secondo piano nella parte centrale dell’episodio, tutta giocata su atmosfere più da horror movie attraverso la figura del Blurryman, l’uomo sfocato che appare incidentalmente nelle riprese di ognuno dei nove episodi precedenti e che, ad un certo punto, inizia a dare la caccia a Sophie. Ma ancora una volta la scrittura che c’è dietro punta ad effetti ben diversi e, con un plot twist davvero inaspettato, l’inquietante inseguitore si rivela nientemeno che, rullo di tamburi, Rod Serling stesso! Ovviamente Serling è morto da decenni, ma invece di optare per un qualche sosia o attore vagamente simile si è scelto di impiegare la CGI per ricreare le fattezze dello storico autore, in maniera molto simile a quanto visto per esempio in Rogue One: A Star Wars Story con Moff Tarkin.
Non si tratta nemmeno dell’unico omaggio alla serie classica, visti tutti i rimandi più o meno espliciti all’episodio Time Enough at Last, uno dei più noti e amati, andato in onda nel lontano 1959 (piccola curiosità: il protagonista della puntata era Burgess Meredith, noto ai più come l’allenatore Mickey nei film di Rocky). Certo, se non si è fan del vecchio show e non lo si è visto, molta della carica emotiva suscitata da quest’ultima parte dell’episodio rischia di non essere colta. Tuttavia, non siamo di fronte ad una banale forma di fanservice, perché la scelta di tirare in ballo Rod Serling insieme ad uno dei migliori episodi usciti dalla sua penna di sceneggiatore significa prima di tutto ammettere che non si può lavorare ad un remake di The Twilight Zone senza confrontarsi con la sua ingombrante eredità, senza sentirsi in qualche modo schiacciati o perseguitati da essa.
Nella storia di Sophie che prima fugge inseguita dall’uomo misterioso e poi lo segue oltre la soglia del sogno e dell’immaginazione va letto il travaglio di Jordan Peele e di tutti coloro che hanno lavorato a questo revival, consapevoli di quanto fosse serio e impegnativo il loro compito. E in un certo senso, non c’è miglior dichiarazione di affetto e di rispetto nei confronti di Rod Serling di questa.
Non si tratta nemmeno dell’unico omaggio alla serie classica, visti tutti i rimandi più o meno espliciti all’episodio Time Enough at Last, uno dei più noti e amati, andato in onda nel lontano 1959 (piccola curiosità: il protagonista della puntata era Burgess Meredith, noto ai più come l’allenatore Mickey nei film di Rocky). Certo, se non si è fan del vecchio show e non lo si è visto, molta della carica emotiva suscitata da quest’ultima parte dell’episodio rischia di non essere colta. Tuttavia, non siamo di fronte ad una banale forma di fanservice, perché la scelta di tirare in ballo Rod Serling insieme ad uno dei migliori episodi usciti dalla sua penna di sceneggiatore significa prima di tutto ammettere che non si può lavorare ad un remake di The Twilight Zone senza confrontarsi con la sua ingombrante eredità, senza sentirsi in qualche modo schiacciati o perseguitati da essa.
Nella storia di Sophie che prima fugge inseguita dall’uomo misterioso e poi lo segue oltre la soglia del sogno e dell’immaginazione va letto il travaglio di Jordan Peele e di tutti coloro che hanno lavorato a questo revival, consapevoli di quanto fosse serio e impegnativo il loro compito. E in un certo senso, non c’è miglior dichiarazione di affetto e di rispetto nei confronti di Rod Serling di questa.
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Nonostante alti e bassi tra un episodio e l’altro, si può dire che la scommessa di Jordan Peele si è rivelata almeno parzialmente vincente: questo ennesimo remake di The Twilight Zone non è ancora ai livelli della storica serie di Serling (ed è difficile che possa esserlo anche nel prosieguo), ma è consapevole del peso e della gravità del compito prefissatosi e “Blurryman” dimostra quantomeno questa consapevolezza.
The Blue Scorpion 1×09 | ND milioni – ND rating |
Blurryman 1×10 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.