Come preannunciato un paio di recensioni fa, The Umbrella Academy chiude il suo percorso stagionale con un prevedibile quanto sacrosanto momento corale, durante il quale gli autori decidono di sciorinare praticamente l’intera lista di cliché supereroistici dell’era Avengers, chiudendo comunque la narrazione in maniera coerente e senza risultare ridondanti. Nonostante la prevedibilità di alcuni esiti, come il viaggio nel tempo a scopo di reset che tanto piace agli autori e che tanto fa indignare lo spettatore, la serie porta a casa un’altra ottima stagione, fatta di personaggi già divenuti iconici, una storia leggera che punta maggiormente sul sensazionalismo visivo e la ricerca del colpo di scena piuttosto che sull’introspezione (nonostante molti temi delicati vengano toccati all’interno della serie) e una colonna sonora sempre azzeccata in grado di spaziare da un genere all’altro senza che questo salto risulti traumatico per lo spettatore, bensì conferendo ulteriore personalità e spessore alla narrazione e ai suoi protagonisti.
THE UMBRELLA ACADEMY: ENDGAME
Nell’era del Marvel Cinematic Universe (e di quell’altro con Batman, Superman, Khal Drogo e Jared Leto) risulta quasi maleducato non azzardare un confronto tra prodotti cinetelevisivi a stampo supereroistico. Lungi dal voler paragonare opere ben distinte tra loro, è innegabile quanto questo season finale abbia attinto dal cestello dei cliché supereroistici in offerta, mettendo in scena in soli quaranta minuti di episodio tutti gli schemi narrativi di genere che si possano immaginare pensando ad eroi in calzamaglia e universi paralleli. E il tutto senza risultare ridicolo o noioso, che di questi tempi, caratterizzati da una sempre più crescente offerta di cinecomics spazzatura, non è cosa facile.
Si trova davvero di tutto, a partire dal classico viaggio nel tempo per salvare i protagonisti trucidati a tradimento, elemento che sicuramente porterà alla consueta polemica del “eh vabbé così son capaci tutti” ma che invece si inserisce bene all’interno della narrazione grazie al precedente scambio di opinioni tra n°5 e Reginald e che (pur trattandosi di una svolta molto telefonata e certamente convenientissima) regala un bel momento finale in stile The Departed. Il tutto, comunque, potrà al massimo essere criticato per la facilità con cui Axel the Swede decide di gettare l’arma senza nemmeno tirare un’occhiataccia alla vera responsabile della morte di suo fratello.
C’è il sempre presente tema della diversità e dell’accettazione di se stessi, non soltanto con Vanya ma anche con Klaus e Luther, tutti alle prese con “diversità” – che siano emotive, fisiche o banalmente sessuali poco importa – che a lungo andare appaiono sempre più come “singolarità” in grado di definire l’identità di un essere umano rendendolo di fatto unico; l’oramai consumato concetto del “da grandi poteri derivano grandi responsabilità“, ben esemplificato dalla decisione di Sissy di non seguire Vanya, consapevole del fatto che una vita normale al suo fianco non sarebbe mai un’opzione, a maggior ragione tenendo in considerazione l’oramai traumatizzato a vita Harlan, che in pratica ha già la strada spianata per un futuro ruolo da villain.
Ma soprattutto: il multiverso. Le cosiddette dimensioni parallele all’interno delle quali i supereroi si trovano puntualmente sfigurati, mutilati, traumatizzati da qualche evento che li ha fatti diventare emo depressi con l’eyeliner o più semplicemente degli stronzi. Trovata, quest’ultima, di certo non innovativa a livello televisivo – e non solo nel filone supereroistico – ma che, in primis, apre le porte ad infiniti percorsi narrativi.
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL CINECOMICS
Volendo tirare le somme in merito a questa seconda stagione, difficile non ritenersi soddisfatti. Divenuto in brevissimo tempo un prodotto mainstream, consumato da un pubblico molto variegato che non comprende soltanto amanti del genere ma anche profani e spettatori occasionali, The Umbrella Academy ha saputo mettere in scena una storia che di fatto tocca temi già affrontati in tutte le salse da decine e decine di altre opere coeve, sfruttando il talento dei suoi interpreti e la varietà dei suoi character per conferire quell’alone di unicità ad un prodotto che, altrimenti, si sarebbe perso nel marasma di cinecomics, universi cinetelevisivi espansi e mutande sopra i pantaloni nel quale oramai, volenti o nolenti, il pubblico sguazza quotidianamente.
Molto spesso prodotti di questo genere vengono attaccati a prescindere, soprattutto dai puristi del fumetto, ma considerando che nel momento in cui ci si approccia a serie televisive come questa lo si fa per staccare il cervello e godersi un po’ di sana ignoranza senza doversi preoccupare di ricordarsi cosa accadde sette anni prima negli ultimi cinque minuti del pilot così da praticare dell’autoerotismo pensando a quanto siano malati gli sceneggiatori, risulta sicuramente molto facile promuovere la serie. Senza dubbio alcuni plot twist sono stati piazzati meglio di altri all’interno della narrazione, e magari alcuni cliché come il viaggio nel tempo possono aver stufato lo spettatore, ma se si cerca dell’intrattenimento leggero caratterizzato da sequenze action molto ben girate e visivamente d’impatto, allora questo è il telefilm adatto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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E comunque alla fine se uno va alla ricerca del cinema d’autore magari si va a guardare la retrospettiva su Fellini, mica va a vedere Endgame.
743 2×09 | ND milioni – ND rating |
The End Of Something 2×10 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.