The Walking Dead 4×09 – After – SmarritiTEMPO DI LETTURA 9 min

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Ed eccoci ritrovati al nuovo/vecchio corso di The Walking Dead; vecchio, perché ci troviamo ancora nella quarta stagione del serial liberamente tratto dall’opera originale di Robert Kirkman che ci terrà compagnia per altri sette episodi (se escludiamo questo di cui stiamo parlando or ora); nuovo, perché (come ormai è di consuetudine dello show) l’odissea zombie di Rick Grimes e della sua cumpa riprendono esattamente dallo stesso punto in cui si è concluso il mid-season finale che nessuno dei noi potrà mai più dimenticare, con nuove trame e nuovi sviluppi. Se come me avete avvertito un certo senso di deja-vù allora potete stare tranquilli perché non state impazzendo come ha fatto Michonne in questo nono episodio e come Rick ancor prima di lei (ve lo ricordate quando giocava al telefono senza fili con la moglie defunta?), poiché sono sensazioni legittime, fondate e allo stesso tempo… diverse. L’episodio parte con una certa freddezza già riscontrata in precedenza, per l’esattezza, nel primo episodio di questa season ma, come anticipato, è una freddezza diversa. In “30 Days Without An Accident/Calma Apparente” possiamo definirla più come una freddezza tendente alla “diffidenza” dove gli sceneggiatori hanno preferito puntare sulla carburazione di puntate “diesel” per concentrarsi sull’assenza/annullamento totale di qualsiasi sentimento/legame per evitare di soffrire ulteriormente in questo orribile scenario post-apocalittico. In questo “After/Smarriti”, sceneggiatori e registi si concentrano solo su alcuni spettri delle emozioni umane: la frustrazione, il rimorso, la rabbia e la depressione, elementi di una equazione che possono dare un risultato solo, ossia, la tristezza…e non è forse la tristezza il sentimento più freddo per antonomasia? Oh si, c’è anche tanto senso di colpa e senso di smarrimento, ma quelli vengono serviti come dessert in questo banchetto che possiamo classificare come una delle puntante più tristi di The Walking Dead. E non tristi nel senso ironico, ma tristi nel senso che conosciamo tutti.
Nonostante ciò, tra i fan dell’opera televisiva tratta dal fumetto della Image Comics c’è ancora una sacca di resistenza che guarda il serial in attesa che diventi più simile a uno di quei capitoli brutti della saga cinematografica di Resident Evil (che per altro, non assomiglia per niente all’opera originale da cui è tratta), poichè sono convinti che sia quello in vero modo di rappresentare una storia survival horror, cioè con un manipolo di uomini armati di munizioni infinite che manco in un film di John Woo contro un gregge esagerato di azzannatori, come li chiamava il compianto (?) Governatore. A tutti questi tipi di spettatori, consigliamo di rivolgere la loro attenzione su altri media, poichè (lo ridiciamo per l’ennesima volta) Robert Kirman, l’inventore di questa serie nonchè sceneggiatore di questa puntata, ha reinventato un genere introducendo umanità e introspezione psicologica, elementi che saltano fuori in tutta la loro profondità in questo episodio e gli spettatori che prediligono l’azione piuttosto che pagare un penny per i pensieri dei protagonisti, difficilmente potranno apprezza (ma sopratutto, capire) questo episodio..
L’adattamento italiano del nome dell’episodio, “Smarriti”, basta e avanza per riassumere tutto il concetto trainante di “After” (e, probabilmente, anche delle puntate successive) molto più di quanto potrebbe fare la letterale traduzione del titolo di questi quaranta minuti. Quelli che sono veramente smarriti e perduti, sono i Grimes, naufragati nuovamente in un mondo di incertezze e, sopratutto, in loro stessi. E’ smarrito Carl, il protagonista principale dell’episodio, un figlio che non sa bene se odiare o no suo padre a causa della sua incapacità di proteggere le persone importanti per lui; un ragazzo che ha raggiunto la consapevolezza che suo padre non vivrà per sempre (lo sapeva prima, figuriamoci ora in questo scenario post-apocalittico!) e che cerca, dunque, di trovare la sua dimensione che sembra portarlo al bad-assismo, ma ancora non riesce a rappresentarla al meglio, azzeccando discrete e goffe figure di merda. E’ arrabbiato, frustrato e cerca ad ogni costo di prendersi ogni piccola vittoria (“I win” cit.) per dimostrare più a Grimes Sr., che a se stesso, di essere un uomo ma, in cuor suo, sa ancora di aver bisogno del padre e si perde dunque in questa ambiguità di sentimenti.
E’ smarrita Michonne, altra grande protagonista della nona puntata, schiacciata ormai dal peso dei ricordi, da questo passato dimenticato che cerca con prepotenza di riaffiorare, un passato che non tarda a farle perdere la sua solita compostezza da samurai e a far strage di camminatori nel tentativo di sfogarsi/annegare i ricordi nella violenza (a volte, anche gli zombie hanno la loro utilità). Quella che vediamo è una Michonne che cerca, più che trovare la sua dimensione, di ri-trovarla e riattaccare quei pezzi di sè che lentamente si stanno staccando e che lentamente stanno indebolendo quelle spalle che prima riuscivano benissimo a sopportare il rimorso per la perdita dei suoi cari vista in quel allucinato flashback/sogno, mettendola a nudo davanti allo spettatore e mostrarlo il suo (per il momento) enigmatico passato. Qualcuno potrebbe anche lamentarsi del fatto che, a quanto pare, la produzione voglia svelare con il contagocce il passato di Michonne; ovviamente, in questo discorso, abbiamo due diverse scuole di pensiero: quella che vuole sapere e quella che preferisce non sapere. Noi di RecenSerie puntiamo più l’attenzione non tanto sul cosa deve essere raccontato, quanto sul come. Questo non dovete prenderlo nè come un pro, nè come un contro, solo un puntare i riflettori su una manovra narrativa abbastanza pericolosa, poichè (se raccontate male queste origini) il gradimento del personaggio potrebbe cambiare drasticamente.
E’ smarrito anche Rick, letteralmente, dato che non solo sparisce un pò sul fondale della sceneggiatura presentandolo più come una comparsa, ma si perde in sè stesso forse più degli altri due; dorme per giorni apparendo come morto, menomato nello spirito e nel corpo trasformandosi nella rappresentazione vivente dell’espressione “toccare il fondo”; nemmeno lui sa bene cosa fare, ma deve andare avanti per il figlio nonostante sensi di colpa per decisioni che lui stesso reputa discutibili e rimorsi del “avrei potuto agire diversamente”; come farà ad andare avanti, non si sa ma di sicuro un modo troverà (scusate la rima).
E, sorpresa delle sorprese, è smarrito anche lo spettatore vedendosi distrutto davanti agli occhi tutto quello che aveva imparato a voler bene da qualche episodio a questa parte: Prigioneville ora caput mundi degli zombie, distrutta e stuprata; il Governatore cadavere (ammettiamolo, era un grande villain) e il povero Hershel fatto a pezzi e costretto a morire un’altra volta in una grande scena dove Michonne lo abbatte come un cane rabbioso, trapassandogli la testa zombieficata con la sua katana. Robert Kirkman, che già da qualche puntata sta mettendo direttamente mano alla sceneggiatura, si comporta da vero bullo verso lo spettatore, comprandogli un bel regalo di Natale e poi bruciandoglielo davanti agli occhi per convincerlo ad andare avanti, superando questo trauma in attesa del prossimo; ormai lo spettatore, arrivato a provare in simbiosi le stesse sensazioni dei personaggi in una sorta di muta empatia, è smarrito quanto loro e si chiede: “dopo tutto quello che ho visto e provato, che senso ha andare avanti?”. Il danno è così grande e le ferite così aperte e sanguinanti, che l’andare avanti, il sopravvivere… è ormai diventato non un obiettivo, ma solo l’alternativa migliore ad una sorte peggiore. Meglio essere morto (dentro) ma vivo, che un morto vivente. Questi sono sensazioni che arrivano forti, chiare e in maniera comprensibile e semplice. Ma, come in tutte le cose, le puntate perfette sono rare e questa (come molte) non è esente da qualche difetto che più che “difetto” chiameremo “sbavatura”.
Kirkman, come sceneggiatore, ci prende sempre più gusto ma a differenza del suo lavoro come scrittore di fumetti e di tanti altri capolavori al di fuori di The Walking Dead (come Invincible, che vi consigliamo) deve ancora prenderci la mano, dato che sulla carta il creatore della serie riesce a trasmettere nella storia omonima le stesse sensazioni che riesce a trasmettere anche in quest’episodio, con la differenza che impiega meno tempo e lo fa in maniera ancora più incisiva di quanto visto in “After”; il re-inventore del genere survival horror deve ancora imparare a dosare bene i tempi di caratterizzazione e a ri-creare i dialoghi brillanti che inserisce nell’opera da cui trae spunto il serial; è giusto soffermarsi su alcune cose, ma il soffermarsi troppo su alcuni aspetti/sensazioni di un gruppo ristretto di personaggi, rischia di far monopolizzare agli stessi i quaranta minuti disponibili quando le cose (visto il talento dello scrittore) potevano essere presentate in un lasso di tempo minore, con maggior incisività e avere addirittura tempo per presentare qualche altro personaggio del post Woodbury 2.0 VS Prigioneville, e magari un twist finale. Benchè il risultato sia stato estremamente godibile, la sensazione che la produzione abbia girato in torno alla puntata sfoggiando un sacco di giri di parole, non è assolutamente un’impressione; non si dice di presentare un episodio ignorante con solo azione e basta, la scelta di concentrarsi sui sentimenti era a conti fatti la scelta migliore (visto il mid-season finale), si dice solo di non perdersi troppo su certi aspetti.
Altro piccolo difettuccio, è che lo spettatore potrebbe essere portato a pensare che Rick, Carl e Michonne stiano diventando i tre protagonisti morali del telefilm, il che è un peccato, poichè fa passare in secondo piano Glenn, Maggie, Daryl e gli altri che in questa stagione si sono visti poco o non hanno avuto lo stesso trattamento dei tre, quando nelle stagioni passate s’era fatta molta attenzione al loro sviluppo. Sviluppo che, per altro, non si vede in questa puntata (ma che sicuramente si vedrà nella prossima) e qui torniamo al punto di prima, che se Kirkman si fosse dato una mossa, magari li avremmo visti. Sarebbe un peccato non dare al resto del cast la stessa importanza che si era data in precedenza. Ultimissimo piccolo difetto è che, la gradita scelta di una maggior introspezione dei tre protagonisti dell’episodio, è un arma a doppio taglio che costringe automaticamente ad una lentezza generale dell’episodio; nonostante questo non rovini assolutamente la visione, di puntante lente all’interno della Season Four ce ne sono state un pò troppe.

 

PRO:

  • Episodio che trasmette molte emozioni
  • Brillante e sentita introspezione di Rick, Michonne e Carl
  • La scena della testa di Hershel
CONTRO:
  • Puntata un pò lenta
  • Ancora nessuna traccia di Glenn, Maggie e gli altri. Che peccato!
  • Robert Kirkman, come sceneggiatore televisivo, ha ancora un pò di strada da fare

 

La somma algebrica di tutti questi elementi trasforma la puntata in un episodio che sta nel mezzo di tutto l’insieme delle puntate da ricordare e tutto l’insieme delle puntata da dimenticare. “After” non è un episodio da sottovalutare, nè tanto meno una puntata che lo spettatore può permettersi di perdere dato che vengono introdotti concetti importanti non tanto per la trama generale, quanto per la futura evoluzione dei personaggi che senza ombra di dubbio servirà ad affrontare eventi futuri ancora più disastrosi del mid-season finale (conoscendo Robert Kirkman). Anche se questo nono episodio della seconda metà della quarta stagione si presenta un pò lento e con qualche imperfezione, The Walking Dead rimane l’appuntamento imperdibile che è.

 

Too Far Gone – Indietro Non Si Torna 4×08 12.05 milioni – 6.1 rating
After – Smarriti 4×09 15.76 milioni – 8.2 rating

 

VOTO EMMY


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