“Evolution… forged the entirety of sentient life on this planet using only one tool… the mistake.”
Qualcosa sta accadendo.
Qualcosa sta cambiando.
Qualcosa si sta evolvendo. Ed è tutta colpa di un errore.
Westworld, episodio dopo episodio, sta distanziando sempre di più le storyline dei personaggi che abitano il parco da quelle dei character che lo gestiscono. È ovviamente scontata come cosa, se si utilizza un minimo di raziocinio, in fin dei conti Bernard e colleghi sono coloro che creano le storie per Dolores & Co., tuttavia paradossalmente è proprio questo divario in costante crescita che avvicina in un certo qual modo i due mondi. “The Stray” si sofferma più dei suoi due predecessori su questo divario/non divario: da un lato con l’asettico Dr. Ford e la sofferenza non palesata di Bernard, dall’altro con i cambiamenti nel modo di ragionare e comportarsi di Dolores. Emblematica in tal senso l’ammonizione verbale fatta da un Hopkins in gran forma ad un suo dipendente circa la copertura dei genitali durante una visita diagnostica.
Ad un certo punto della puntata Stubbs esordisce con un “The only thing stopping the hosts from hacking us to pieces is one line of your code“, esattamente quel genere di frasi che fa riflettere e permette di guardare tutto in prospettiva. Inoltre si può già fare un primo importante collegamento con la frase con cui abbiamo iniziato la recensione, ovvero quella riguardante l’errore. Dr. Ford e Bernard, pur lavorando nella stessa direzione, si approcciano ai robot in maniera diversa nonostante il loro lavoro. Il character di Hopkins è senza dubbio molto più forgiato dall’esperienza e riesce a mantenere un distacco quasi surreale dalle sue creature che ama ma che ritiene comunque degli esseri inferiori a cui lui stesso ha dato la vita e la può togliere; Bernard al contrario, essendo entrato in corsa nel progetto Westworld, non può percepire quel grado di distacco che prova il Dr. Ford e, al contrario, utilizza il personaggio di Dolores come valvola di sfogo e di psicanalisi. In sostanza: Bernard sta avvicinando la sua visione a quella del finora mai citato collega di Ford, Arnold.
“For three years, we lived here in the park, refining the hosts before a single guest set foot inside. Myself, a team of engineers, and my partner.
[…] His name was Arnold. Those early years were glorious. No guests, no board meetings, just pure creation. Our hosts began to pass the Turing test after the first year. But that wasn’t enough for Arnold. He wasn’t interested in the appearance of intellect or wit. He wanted the real thing. He wanted to create consciousness.
[…] See, Arnold built a version of that cognition in which the hosts heard their programming as an inner monologue, with the hopes that in time, their own voice would take over. It was a way bootstrap consciousness. But Arnold hadn’t considered two things. One, that in this place, the last thing you want the hosts to be is conscious, and two, the other group who considered their thoughts to be the voices of the gods. Lunatics.”
La rivelazione circa l’esistenza di un “altro Dr. Ford” è in qualche modo spiazzante sia per i tempi che per i modi con cui viene presentata: generalmente una notizia del genere verrebbe fatta sudare allo spettatore che dovrebbe agognare puntata dopo puntata provando a capire l’identità di Arnold, il tutto poi sarebbe ovviamente presentato quasi come una ricompensa (stile Lost). È quindi apprezzabile e piacevolmente sorprendente la scelta di giocare contro tempo e rivelare fin dall’inizio uno dei tanti segreti che si celano ancora dietro la creazione di Westworld.
Arnold vedeva la vita negli abitanti di Westworld e, come tale, voleva approcciarsi a loro finendo per parlare solamente con loro. Bernard è molto più vicino a questa visione piuttosto che a quella scientifica e asettica di Ford e in Dolores trova una prima vivida sperimentazione del robot dotato di una sorta di coscienza.
Bernard: “Imagine there are two versions of yourself… one that feels these things and asks these questions, and one that’s safe. Which would you rather be?”
Dolores: “I’m sorry. I’m trying, but I still don’t understand.”
Bernard: “No, of course not.”
Dolores: “There aren’t two versions of me. There’s only one. And I think when I discover who I am, I’ll be free.”
Dolores (interpretata da un’ottima Evan Rachel Wood) sta sperimentando in prima persona lo step successivo dell’evoluzione dei robot. La sovrapposizione di esperienze vissute, data da improvvise sostituzioni di facce e situazioni già provate dal ripetersi della giornata, è un qualcosa che si sta presentando sempre più frequentemente e che però nessuno sta notando. Nonostante a Dolores sia stato riservato un trattamento privilegiato da parte di Bernard, nessuno sa infatti cosa stia accadendo realmente ma si può serenamente riassumere il tutto dicendo che c’è stato un piccolo errore durante la scrittura del codice.
“The only thing stopping the hosts from hacking us to pieces is one line of your code” si diceva, e se è vero che fino ad ora gli Host non si sono mai ribellati contro i Newcomer, è anche vero che si stanno prendendo delle libertà oltre quel confine che gli era stato assegnato. Dolores, nuovamente, ritorna come esempio principale: alla fine di “The Original” si assiste al primo vero cambiamento con l’uccisione della mosca, qui in “The Stray” si percepisce nuovamente il distacco tramite il click della pistola, un gesto che non le era stato inserito nel codice che la anima ma che, in qualche modo, ora è stato reso possibile grazie ad una prima evoluzione. Lo stesso dicasi per quel Host che ha cominciato a disegnare la costellazione di Orione ovunque e che alla fine si è suicidato ribellandosi e non rispettando i comandi dati da Elsie.
Chiaramente qualcosa sta cambiando e gli eventi sporadici che travalicano la normale routine del parco si stanno rendendo via via sempre più frequenti. L’evoluzione è iniziata.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Chestnut 1×02 | 1.49 milioni – 0.7 rating |
The Stray 1×03 | 2.10 milioni – 0.9 rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.
Puntata meno "epica" della seconda, che era un gioiellino d'avventura spielberghian-zemeckisiana, ma estremamente consapevole e sagace.
L'accostamento fra immagini e dialoghi, fra reiterazioni e tematiche, portano – volutamente – a pensare varie cose:
1) che Arnold non fosse altri che il primo residente (quello che aveva superato il test di Turing nel primo anno)
1a) che questo Arnold non sia altri che il robot semisquartato con la barba mostrato nel flashback col giovane Hopkins;
1b) che Arnold oggi non sia altri che il robot che suona il piano nello studio di Ford.
2) che Bernard non sia altri che una sorta di Arnold 2.0, cioè un residente: la videochiamata della moglie è sospetta e il dramma del figlio che gli genera il senso di colpa non è altro che un "antefatto" simile a quello innestato a Teddy. Inoltre le velate "minacce" di Ford a non ripetere altri errori hanno un che di figurativo. C'è da dire che anche lo stesso Ford è ambiguo (v. punto 3) e i suoi scopi sono decisamente reconditi (ammesso che ce ne siano).
3) in contrapposizione all'ipotesi 1), non avendo senso che a un robot invecchi la barba, una mente malata può benissimo immaginare che fra Ford e Arnold il primo residente sia Ford (ipotesi che a sua volta apre ad altre diecimila).
Tuttavia, rispetto ai tempi – "ad esempio" – di Lost, oggi c'è molta consapevolezza, non solo in chi scrive, ma anche in chi guarda, per cui queste riflessioni suonano persino troppo ovvie.