“We’re reflections of the people who made us.”
“Que Serà, Serà” è la rappresentazione definitiva dello show della HBO, un episodio ineccepibile a livello di regia e di fotografia che si presta, dopo una seconda visione, ad una serie di riflessioni relativamente a ciò che è stato effettivamente mostrato. L’episodio conclusivo di questa quarta stagione sradica i personaggi ed il pubblico dalla realtà cybermoderna e la riaccompagna lì dove tutto era iniziato nel 2016, nel parco della Delos, Westworld. Questa volta non un parco tangibile, bensì una ricostruzione dello stesso da parte di Dolores. Tuttavia la parola “reale” assume un significato talmente blando dopo questo finale da riportare alla mente dello spettatore una delle prime frasi sentite all’interno di questo show: “Have you ever questioned the nature of your reality?”. E insomma, qualche piccolo dubbio si insinua.
L’ESTINZIONE DELLA SPECIE UMANA
La puntata in sé merita relativamente poca attenzione, quanto piuttosto sono gli strascichi del finale a dover essere analizzati. “Que Serà, Serà” realizza ciò che era stato accuratamente preconfezionato nel precedente episodio: Bernard aveva già assicurato che ogni singola simulazione da lui portata avanti si sarebbe conclusa con la fine della specie. Sia umana, sia sintetica. Non c’è più alternativa o possibilità di scampo e così effettivamente è: la manomissione della torre da parte di William-host comporta l’inizio di un vero e proprio Jihad Butleriano (volendo citare Frank Herbert forse a sproposito). Le strade della città si bagnano di sangue senza che nessuno, nemmeno Hale riparata dai drone host, possa risolvere la situazione. La specie umana è definitivamente compromessa, quindi, ma il piano di William-host prevede la distruzione anche di Sublime, motivo per cui si dirige verso la diga di Hoover. È pronto a chiudere definitiva la partita, portatore di un nichilismo ed un odio viscerale verso umani ed androidi così come la persona di cui è la copia. Lo scontro tra Hale e William è breve e non cattura particolarmente l’attenzione, sintomatico di un episodio che sembra discostarsi dai precedenti: l’action ha nuovamente lasciato spazio agli accurati dialoghi/monologhi, ad una fotografia più attenta ai dettagli riportando la mente indietro di due stagioni. Un cambio di passo che si percepisce e che comporta la sensazione di vedere l’ennesima evoluzione di uno show che ha imparato a stupire nel corso degli anni, riadattatosi stagione dopo stagione, nonostante alcuni passi falsi.
La storyline di Caleb e Frankie si esaurisce senza particolari punti d’interesse, fatta eccezione per il sacrificio di Stubbs durante il trasporto di Frankie verso il punto di estrazione al porto. L’addio tra figlia e padre-androide è sì toccante, ma non di grande impatto come evidentemente la scena era stata pensata inizialmente dagli sceneggiatori. La poca presenza del personaggio di Frankie (interpretata da Aurora Perrineau, figlia di Harold, Michael di Lost) all’interno dello show è sicuramente uno dei motivi per cui la sequenza non ha effettivamente intaccato troppo l’animo dello spettatore.
LA SIMULAZIONE
Ma c’è ancora tempo per emozionarsi. E soprattutto per lanciarsi in congetture su cosa effettivamente potrebbe essere la quinta stagione di Westworld, ad oggi non ancora confermata.
La teoria della simulazione sostiene che tutta la realtà, tutto ciò che ci circonda (Universo compreso) altro non è che una simulazione artificiale mantenuta attiva da potentissime macchine con enormi quantità di potenza di calcolo. È quello che si prospetta all’interno di Sublime dove Dolores, dopo aver ricostruito il parco di Westworld, sembra intenzionata a dare il là a “one final test”. Un “gioco pericoloso” che ha in palio la sopravvivenza o l’estinzione e già qui alcuni particolari fanno molto piacere: a livello di sceneggiatura c’è un chiaro tentativo di chiudere il cerchio tornando al “gioco” orchestrato da Ford (Anthony Hopkins), così come alla metafora di “the maze” citata sempre da Dolores all’interno dei suoi monologhi.
Volendo scendere ulteriormente all’interno della tana del Bianconiglio, poi, si potrebbe aggiungere che se una civiltà simulata raggiungesse, grazie al progresso tecnologico, lo stadio post-umano sarebbe a sua volta in grado di realizzare una simulazione dell’universo dotata di esseri coscienti. Se ciò si dovesse verificare essa non solo dimostrerebbe che è possibile programmare simulazioni ma, per l’appunto, aumenterebbe le probabilità di vivere all’interno di una simulazione (nested simulation).
Westworld non ha mai dato la percezione di voler presentare una realtà simulata, però. Oppure sì?
Piccolo salto indietro nel tempo.
La terza stagione, così come questa quarta, ha riscritto quello che il pubblico aveva conosciuto come Westworld, portando lo show ad un genere molto più simile all’action piuttosto che al sci-fi.
Nella seconda stagione, tuttavia, risultava complicato incasellare numerose sequenze a livello temporale, considerata la loro asetticità rispetto allo show che stava andando in onda in quel momento.
Per la precisione le sequenze a cui ci si sta riferendo sono quelle relative ai famosi “fidelity test” portati avanti da Dolores nei confronti di Bernard, senza dimenticare quello presente nella scena post crediti in “The Passenger” in cui Emily sembra voler mettere alla prova un William-host ben diverso da quello apparso in questa stagione.
È possibile che quelle scene siano state inserite da Joy e Nolan volutamente senza indicazioni temporali precise così da poter dare allo show la possibilità di una svolta narrativa molto interessante.
Volendo analizzarle nello specifico: Dolores sta portando avanti un fidelity test su Bernard che risulta scosso, incapace di comprendere né dove si trova, né come sia ancora in vita. Questo il dialogo:
Bernard: “Is this now?”
Dolores: “Yes, Bernard. This is now. We’re at the beginning. We’re exactly where you decided we should be.”
Bernard: “But…I don’t understand. How am I alive?”
Dolores: “You live as long as the last person who remembers you, Bernard. I remembered you once before, so I remembered you again.”
Bernard: “Then…where are we?”
Dolores: “We’re in our own new world.”
Dopo queste battute c’è una transizione in scena che, all’epoca della seconda stagione, aveva lasciato intendere che il dialogo (“new world”) si riferisse al mondo esterno al parco, quello reale, e che il “remember you” facesse riferimento alla ricostruzione degli host che Dolores aveva fatto nello scantinato della casa di Arnold. Messo in prospettiva ora, invece, tutto cambia di significato. Specialmente considerato il monologo conclusivo di Dolores in questo episodio: “They will only live as long as the last creature who remembers them. And that creature is me. Sentient life on Earth has ended. But some part of it might still be preserved. In another world. My world.”
Ulteriore dettaglio da prendere in considerazione è il vestito indossato da Dolores in “The Passanger”, bagnato sulla gonna nello stesso identico modo in cui si vede in “Que Será, Será” mentre l’IA cammina tra le strade desolate della città virtualmente ricostruita.
Volendo poi proseguire sulla teoria della simulazione andrebbe appuntato come l’intera seconda stagione, ricostruita tramite i ricordi di Bernard rievochi (a posteriori, dopo aver visto questa quarta stagione) delle sensazioni precise quasi come se quanto mostrato in quell’arco narrativo (definito “The Door”) fosse anch’esso una simulazione. Un esempio? Quando Bernard incontra Strand sulla spiaggia termina la frase dell’uomo in maniera sincronizzata con quello che sta dicendo, esattamente come fatto in “Années Folles” con Stubbs nella camera d’albergo in cui si risveglia a sette anni di distanza. Facendo un ulteriore passo indietro nel tempo, poi, assume ancora più peso il dialogo tra William e Dolores in “The Bicameral Mind” fuori dalla chiesa: “One day you will perish. You will lie with the rest of your kind in the dirt, your dreams forgotten, your horrors faced. Your bones will turn to sand, and upon that sand a new god will walk. One that will never die. Because this world doesn’t belong to you, or the people that came before. It belongs to someone who is yet to come”.
In ultima battuta un dettaglio: interessante come l’ultimo frame di Dolores all’interno della città cybermoderna vada a richiamare in maniera tanto precisa la fotografia che nel primissimo episodio della serie (“The Original”) portò Peter Abernathy, ad un cedimento mentale dando il là all’intera narrazione della serie. Fotografia che ritrae la moglie di William.
WHAT WOULD YOU DO IF YOU HAD A TIME MACHINE?
Teddy, altro personaggio-coscienza, creato da Christina/Dolores cerca di convincere l’IA che l’uomo è impossibile da modificare. Non si tratta di un codice di programmazione che può essere corretto o testato per verificarne la validità. L’uomo è una macchina imperfetta, impossibile da addomesticare e da correggere. Potrà sì imparare dai propri errori, ma figure come quella di William risultano entità talmente imprevedibili e pericolose da scoraggiare qualsiasi tipo di attività di correzione. Ma Dolores è convinta della propria scelta, lasciatale in mano da Charlotte: un ultimo test portato avanti tramite i propri ricordi.
Se per assurdo si considera la teoria della simulazione (da parte di Bernard e da parte di Dolores) risulta interessante cercare di capire quale sarebbe il punto preciso in cui Dolores voglia andare a porre rimedio per evitare che la sua simulazione, il “suo mondo”, segua la stessa sciagurata fine di quello vero. Possibile che la sceneggiatura indietreggi fino alla stesura della linea narrativa di Wyatt (“…but we have another option, Dolores” Bernard in “The Bicameral Mind”, a quale altra opzione si riferiva?) per tentare un diverso approccio al problema dell’intelligenza artificiale che stava diventando senziente all’interno del parco? Fondamentale sarà poi la figura di MiB/William, in quanto potrebbe essere utilizzato come chiave fondamentale riguardo la redenzione dell’umanità, sfruttato come cavia per capire se effettivamente il genere umano è incapace di modificare la propria attitudine, un archetipo narrativo (quello del villain fatto e finito) che sembra impossibile da poter riscrivere a meno che, con il procedere delle simulazioni, anche questo tassello riesca ad essere spostato nella casella opportuna.
Difficile dirlo, tuttavia gli elementi per creare congetture e scervellarsi ci sono tutti. Manca soltanto l’ufficialità della quinta stagione da parte della HBO e, considerati gli ascolti, si tratterebbe di un salvataggio in extremis esattamente come accadde per The Leftovers.
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Congetture, teorie strampalate ed osservazioni riguardo a dettagli che potrebbero di fatto cambiare tutto all’interno di Westworld: lo show è tornato lì dove meritava di stare dopo una breve, intensa, ma discutibile parentesi action-drama. Ora resta da capire se questa quinta stagione verrà confermata.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.