“You know, I loved being you. Back when I first started, at the very beginning, I was always trying to be old and grumpy and important – like you do, when you’re young. And then I was you, and it was all dashing about and playing cricket and my voice going all squeaky when I shouted. I still do that, the voice thing, I got that from you. Oh, and the trainers. And… snap! ‘Cos you know what, Doctor? You were my Doctor“.
Nel mini episodio “Time Crash” del 2007, con il cameo di Peter Davison, Steven Moffat e David Tennant omaggiano così il “loro” Dottore. Forse non ha avuto un ruolo importante come Hartnell e Troughton, oppure non è rimasto impresso nell’immaginario popolare come Tom Baker, però uno spettatore dell’ultima ora non potrà non apprezzare il quinto Dottore. E questo per alcuni motivi molto semplici che possono essere ricondotti fondamentalmente a due punti essenziali: la presa di coscienza della mitologia fin lì costruita e la conferma totale del processo di ringiovanimento del personaggio. Il secondo motivo è quello che, da spettatori della nuova serie, più ci tocca da vicino. Per quanto riguarda il primo, le cose vengono subito messe in chiaro. Se Tom Baker appena rigenerato strizzava l’occhio al passato semplicemente cercando le chiavi del Tardis nelle scarpe (come aveva fatto Pertwee), Peter Davison, nella sua prima apparizione (“Castrovalva”), sfoga la confusione post-rigenerativa in un delirio che lo porta a nominare tantissimi precedenti companions, modi di dire delle precedenti incarnazioni (“when I say run, run!”), ma a rompere anche con il passato più prossimo, smembrando completamente la celebre sciarpa. Sempre prendendo a modello le battute di Tennant da “Time Crash”, ci colpiscono altri due particolari importanti. Intanto, per una scelta della produzione, il Dottore di Davison inaugura il periodo senza sonic screwdriver, che finisce distrutto da un momento all’altro, poiché iniziava a sembrare un mezzo troppo facile con cui uscire da certe situazioni (e pensare che fino a poco tempo prima avevamo K9 che girava, seminando il panico); c’è da registrare poi come il giovane aspetto del Dottore, che come dice Tennant smette di essere “old and grumpy”, porta le prime conseguenze che lo segneranno più in là. Inizialmente infatti (come accadde con Ian e Barbara) la companion Tegan non è poi così interessata a vagare per lo spazio e il tempo. Vorrebbe solo raggiungere Heathrow e prendere il volo a cui era destinata già in “Logopolis”. Questa apparente noncuranza, se da un lato renderà Tegan una delle compagne più affezionate (e poco considerate), porta anche ai primi conflitti. Il ragazzo raccolto dall’E-Space nella precedente incarnazione, Adric, indubbiamente geniale, incomincia a dimostrare segni di ottusità che lo porteranno prima a litigare con il Dottore (fidatevi, litigi del genere nella nuova serie non se ne vedono) e poi a pagare carissima la sua testardaggine. “Earthshock”, dopo 19 anni di trasmissione, ci lascia in silenzio nel finale, senza musica, 21 anni prima di “Rains Of Castamere”. Il cliffhanger che si apre, oltre a confermare la nuova tendenza di una maggiore omogeneità tra i vari episodi (senza che sia forzata come accadeva precedentemente), ci pone davanti ad un interrogativo: il Dottore di Davison reagirà come il Dottore di Smith, davanti ad una perdita? No. Si vede tutta la sua gioventù proprio nella reazione. Se infatti Smith in “The Snowmen” elabora il lutto passando tantissimo tempo in una nuvola nella Londra vittoriana, Davison vuole solo dimenticare e andare avanti.
Gli episodi con Peter Davison non conoscono mezze misure: quelli negativi difficilmente si salvano, ma quando ci troviamo di fronte ad un buon episodio, bisogna veramente inchinarsi come mai prima d’ora. La sceneggiatura è fresca e brillante e, come si è già detto, l’attenzione per la mitologia della serie diventa un fattore imprescindibile. Sono frequenti i ricordi del Dottore che ci permettono di ripercorrere i suoi vecchi volti, come quando in “Earthshock” ricorda i precedenti incontri con i Cybermen. Rivediamo poi con grande piacere il Brigadier Lethbridge-Steward nel genialissimo e wibbly wobbly “Mawdryn Undead”. La mitologia si fa addirittura “retroattiva” quando in “Arc Of Infinity” riconosciamo nella guardia gallifreiana Maxil, Colin Baker, alias la sesta incarnazione del Dottore. Ancora non è stata data spiegazione a questo evento, ma, a mio modestissimo parere, Romana (che prende le sembianze di una principessa precedentemente incontrata) ci insegna che forse i Time Lords, più o meno inconsciamente, possono pilotare la rigenerazione con volti registrati nella propria mente. Questo non giustifica per ora il caso Capaldi, il quale compare più di una volta nell’universo whovian (“Fires of Pompeii” e “Children Of The Heart”, terza stagione di Torchwood).
Con la dipartita di Adric, le sole Nyssa e Tegan come compagne danno il via alla ventesima stagione. Stagione che ha come caratteristica quella di riportare in ogni serial un nemico storico del Dottore. A celebrare infatti i vent’anni dello show, vediamo avvicendarsi Omega (Time Lord fondatore, rinnegato ed esiliato, già apparso in “The Three Doctors“), Mara (“Kinda”) e The Black Guardian (dall’arco narrativo “The Key To Time“). Tuttavia ad eccezione di “Arc Of Infinity” (altro episodio girato fuori dall’Inghilterra, precisamente ad Amsterdam) e del già citato “Mawdryn Undead” non siamo certamente di fronte ad episodi capolavoro, sebbene alcuni decisamente interessanti. Pura libido invece è il celeberrimo “The Five Doctors”, andato in onda tra la ventesima e la ventunesima stagione. Sebbene ci siano delle mancanze che mi hanno fatto rabbrividire (il secondo Dottore che ricorda l’incontro con il terzo; nessuna precisazione sui momenti in cui i vari Dottori vengono “dirottati”; Tom Baker che rifiuta di partecipare), la visione di questo episodio è assolutamente e caldamente consigliata. Ho fatto un salto sulla sedia sentendo Richard Hurndall (che per evidenti motivi sostituì William Hartnell) dire, nel congedarsi con la sua quinta incarnazione: “it’s reassuring to know that my future is in good hands”. Per non parlare del buon vecchio Troughton che riferito allo studio di Lethbridge-Steward afferma “Oh you’ve redecorated… I don’t like it” (come già aveva detto riferendosi al Tardis di Pertwee in “The Three Doctors”). Evidentemente Moffat nel suo “The Day Of The Doctor” si è divertito con il copia-incolla. E queste in fin dei conti sono le cose che piacciono di più ai fan. A conferma poi di tutto quello che ho detto fino ad adesso sulla figura di Davison, abbiamo la sua considerazione finale, nettamente meta-televisiva: “I’m definitely not the man that I was. Thank goodness.”
Sono lontani i tempi di Jamie, di Sarah Jane e di Romana, questo va riconosciuto. Adric, Nyssa, Tegan e Turlough non passano certo alla storia. Eppure anche loro hanno un perché. Di Adric si è già parlato; Nyssa risulta discretamente anonima (anonimato che sparisce nel momento in cui decide di togliersi la gonna nella sua ultima apparizione in “Terminus”) se non fosse per il fatto che la poveraccia ogni volta che incontra The Master si trova davanti la faccia del padre scomparso (“The Keeper Of Traken“). Tegan, partita in sordina in “Logopolis“, oltre ad essere la prima compagna terrestre dopo diverso tempo, presenta alcune peculiarità: oltre alle ottime recitazioni di Janet Fielding, è la prima companion a ricongiungersi al Dottore dopo essere rimasta sulla Terra (tra “Time Flight” e “Arc Of Infinity”); è poi una delle prime a non poter più sopportare la quantità di morte che spesso si trova davanti, e per questo alla fine decide di abbandonare il Tardis (avviene nel bellissimo “Resurrection Of The Daleks”). Interessantissimo è Vislor Turlough, sia per la sua presenza antieroica, sia per l’arco narrativo a lui dedicato. La sua è infatti una continua e unica trama orizzontale che ci porterà, in “Planet Of Fire”, finalmente a scoprire la sua provenienza extraterrestre. Partito come personaggio negativo incaricato dal Black Guardian di uccidere il Dottore, Turlough subirà un’evoluzione fantastica attraverso un vero e proprio percorso di formazione e redenzione. La sua interpretazione in “Enlightenment” è da applausi. Ci troviamo di fronte forse ad uno dei compagni più sottovalutati di sempre. Sicuramente non è una novità la lacrimuccia durante il suo addio. Con Turlough finisce il periodo della “famiglia allargata” all’interno del Tardis, per tornare ad una “monogamia” che ci mancava dai tempi di Pertwee e T. Baker. E come di tradizione, ecco una nuova companion che si unisce giusto in tempo per le ultime avventure prima della rigenerazione (era già successo con Ben e Polly su “The Tenth Planet” e con Adric, Nyssa e Tegan in “Logopolis”, in maniera più estesa con Sarah Jane durante l’undicesima stagione e con Clara durante la settima della nuova serie). Citando il Dottore: “welcome aboard, Peri”. Ecco quindi Perpugilliam “Peri” Brown, bellissima studentessa americana (tanto per cambiare un po’) che si unisce al Dottore, perché “in vacanza e con voglia di viaggiare”.
Dal canto suo, sono interessantissime le interpretazioni di Peter Davison. Per la prima volta ci troviamo di fronte ad un Dottore posato e gentile, ma soprattutto equilibrato. Sparita la seriosità di Hartnell e Pertwee, sparita anche la lunaticità di Troughton e T. Baker. Proprio per questo la sua intenzione di uccidere Davros (“Resurrection Of The Daleks”) e il suo non intervento nel salvare The Master (“Planet Of Fire”) risultano ancora più efficaci. E’ proprio il suo equilibrio a risultare efficace. Grazie a questo, risalta moltissimo la sua risolutezza e la sua (non nuova) propensione al sacrificio nel momento in cui deve salvare Peri da un virus mortale, da cui era stato anche lui colpito. Alla fine di “Caves Of Androzani”, considerato uno dei migliori serial di sempre, la sua corsa lascia lo spettatore con il fiato sospeso. In questo serial tetro, crudo e claustrofobico, con tantissima morte e tantissimi spari, il Dottore si fa strada tra le vie sabbiose del pianeta. Giusto in tempo per salvare la sua nuova amica, dopo averla trasportata dentro il Tardis. In quel momento capisce di non avere scampo e si insinua nella sua mente la possibilità di una morte definitiva. “Is this dead?” chiede, ed ecco nuovamente scorrere le immagini dei suoi recenti compagni di viaggio ad incoraggiarlo, con tanto di Master invece a sancire un perentorio “Die Doctor, Die Doctor!”. Sicuramente la sua è una rigenerazione più elaborata delle precedenti, con particolari effetti di luce. E Colin Baker che appare all’improvviso (ricordando molto l’apparizione immediata di Capaldi), con le sue due battute di presentazione, ci dice già tutto sul personaggio che ci attende.
Note sparse
– In “Planet Of Fire”, per The Master doveva essere l’ultima apparizione in quanto scadeva il contratto di Anthony Ainley. Era previsto il colpo di scena di lui come fratello del Dottore. Per fortuna non se ne è fatto niente.
– “Resurrection Of The Daleks” fu trasmessa in due sere invece che in quattro, dando così il via all’idea del nuovo format con episodi da 45 minuti che sarà presente soltanto nella stagione successiva.
– Russell T. Davies aveva ipotizzato, in “Resurrection Of The Daleks” una nuova avvisaglia della Time War, nel piano dei Dalek di mandare una copia del Dottore a uccidere i membri del consiglio di Gallifrey.
– Il robot Kamelion compare soltanto in due serial. Previsto come nuovo companion del Dottore, il suo approccio alla serie fu totalmente fallimentare.
– Fino alla fine dell’era Davison troviamo tre serial girati al di fuori dall’Inghilterra: “City Of Death” (con T. Baker) a Parigi, “Arc Of Infinity” ad Amsterdam e “Planet Of Fire” a Lanzarote.
– L’abbandono da parte di Davison, è il primo da “The Tenth Planet” a non avvenire in un finale di stagione.
Prime apparizioni: Rassilon.
I’m definitely not the man I was. Thank goodness.”
da “The Three Doctors”, 1983
“Brave heart, Tegan.”
da “Resurrection Of The Daleks”, 1984
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.